Coronavirus: cambiare abitudini o cambiare il sistema?

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Coronavirus, l'occasione per cambiare il sistema?
Coronavirus, l'occasione per cambiare il sistema?

L’emergenza coronavirus dovrebbe farci capire qualcosa. Per esempio quale debba essere il ruolo dello Stato soprattutto nei settori strategici e nei servizi fondamentali.

Guardiamo la sanità. Da tempo è in atto un progressivo ridimensionamento (si dovrebbe dire annullamento) della sanità pubblica. Il passare da ULSS a ALS non è stato soltanto un cambiamento di sigla. Ha il significato di passare da qualcosa che deve garantire la salute ai cittadini con le risorse necessarie, ad aziende che devono far quadrare i bilanci. Nelle quali, anzi, viene premiato il “risparmio”. Questo unitamente al finanziamento delle strutture private in convenzione ha portato a tagli di posti letto e di personale che, oggi, dimostrano tutta il loro devastante effetto.

E non è che il decentramento a livello regionale abbia migliorato le cose. Lo vediamo proprio in queste settimane che interessano la sanità delle regioni più ricche, quella considerata di eccellenza (e, forse, lo è ma solo grazie al personale medico, infermieristico e di supporto che stanno facendo un lavoro eccezionale). I tagli progressivi hanno portato a postazioni di terapia intensiva non sufficienti all’emergenza e a personale esiguo che non ha la consistenza necessaria. Uno svuotamento di risorse e di potenzialità che sono la dimostrazione plastica di scelte strategiche sbagliate, fatte da chi ha governato il paese in questi ultimi decenni.

Si è andati avanti con lo slogan “privato è bello”, con il dogma che il privato potesse garantire un’efficienza perfetta. Nulla di più sbagliato. Il “pubblico” finanzia strutture private che servono solo a produrre profitto e guadagni per i soci. Strutture che sono finalizzate a quello e che, quindi, non prevedono servizi che non sono remunerativi (proto soccorso, terapia intensiva, rianimazione …). è la solita vecchia storia … i privati servono solo a se stessi, prendono i finanziamenti (li incentivano, spesso e volentieri, con “laute mance”, vedi l’esperienza del presidente della regione Lombardia Formigoni) e creano un circolo vizioso nel quale sempre e comunque è il pubblico che deve risolvere qualsiasi situazione più o meno eccezionale garantendo i servizi più costosi Servizi che, però, sono stati tagliati per mancanza di risorse che sono state trasferite al privato.

Altrettanto è capitato alla ricerca. Pochi investimenti da parte dello stato, qualche delega a quella privata, sempre finalizzata a produrre tornaconto immediata e profitto all’investitore (che, spesso, aveva ricevuto finanziamenti pubblici). La ricerca pura e di base (quella cioè che servirebbe fare comunque anche senza ritorno dell’investimento per spostare sempre più avanti la conoscenza anche di quello che potrebbe accadere) ha ricevuto qualche briciola e molta antipatia.

Non serve, si dice … anche se, adesso, di fronte a un virus “ignoto” e imprevedibile, forse sarebbe stata utile. Forse adesso, nell’emergenza, cominciamo a renderci conto che il futuro non può essere costruito sul profitto di qualche privilegiato ma sul benessere collettivo. Forse ci stiamo rendendo conto che la vera ricchezza non è quella di un’infinitesima minoranza di miliardari, ma quella distribuita a ognuno. Quella che non è il privilegio di pochi ma il diritto di tutti.

Forse questa emergenza sanitaria da Coronavirus forse ci farà cambiare abitudini e comportamenti come auspicano in tanti. Ma non basta, importante e necessario sarebbe trasformare il sistema, renderlo meno individualista, più umano, più equo, più solidale.

(qui la situazione ora per ora sul Coronavirusqui tutte le nostre notizie sull’argomento, ndr)

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.