Su cosa si regge il consenso al potere autoritario? Riflessioni sul ruolo dei popoli

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Popolo in piazza Duomo, credits wikicommons
Popolo in piazza Duomo, credits wikicommons

«Fissare nel cuore stesso dei dominati il necessario potere degli uomini sugli uomini, determinante fino ad oggi per la fisionomia della storia, è una delle funzioni dell’intero apparato culturale delle singole epoche; la credenza nell’autorità, che è insieme risultato e condizione sempre rinnovata di questo apparato, costruisce nella storia una forza umana in parte produttiva, in parte frenante»[1].

La riflessione che la citazione del filosofo e sociologo tedesco Max Horkheimer, contenuta nel suo contributo alla ricerca sul potere e su “autorità e famiglia” dell’Institut für Sozialforschung (la Scuola di Francoforte) fa nascere riguarda il ruolo della volontà, ritenuta storicamente una caratteristica fondamentale dell’uomo razionale: può la società modellare la volontà dell’individuo?

Certamente non possiamo negare che facciamo scelte che a noi sembrano essere volontarie, ma questa non potrebbe essere solo un’illusione? Non potrebbe la società controllare le nostre opinioni, le nostre scelte e quindi modellarci?

Il filosofo Étienne De La Boétie ha chiamato “servitù volontaria” l’asservimento che l’autorità e la società esercitano sulle masse, il «necessario dominio degli uomini sugli uomini», e si è interrogato sul perché le masse sembrano asservirsi all’autorità in modo volontario: «vedere un numero infinito di persone non obbedire, ma servire; essere non governate, ma tiranneggiate […] Quale vizio mostruoso sarà allora mai questo, che non merita nemmeno la qualifica nemmeno di codardia, per il quale non vi è nome sufficientemente volgare, che la natura rinnega di avere creato e la lingua rifiuta di nominare?»[2].

Qual è, allora, l’origine del condizionamento psicologico dell’autorità? Si può realizzare una liberazione dalle catene dell’autorità stessa?

Étienne De La Boétie è stato un filosofo francese nato nel 1530 e vide nella sua vita masse asservirsi all’autorità nonostante le loro pessime condizioni sociali, di cui l’autorità stessa fu responsabile. L’illuminista francese osservava però come «sono infatti i popoli che si lasciano o, piuttosto, si fanno maltrattare»[3], notando anche come sono i popoli stessi che costituiscono la fonte del potere dell’autorità. Senza il sostegno dei popoli, senza il far apparire la sofferenza e l’essere sfruttati come necessario, il potere dell’autorità crollerebbe. Dunque perché l’uomo si arrende allo sfruttamento e non solo obbedisce all’autorità, ma viene plasmato da essa anche al livello ideologico?

Gli stoici credevano che l’uomo fosse come una tabula rasa su cui l’esperienza e l’educazione imprimevano il loro contenuto e, così facendo, plasmavano l’uomo. L’uomo quindi diventava un prodotto dell’esperienza.

Lo psicologo George Herbert Mead, tra i fondatori della psicologia sociale, scrisse che «la mente non può mai trovare espressione e non sarebbe mai potuta nemmeno esistere se non nei termini di un ambiente sociale»[4]. È quindi in definitiva l’ambiente sociale che plasma la mente dell’uomo, che quindi compie scelte in base alla sua stessa esperienza, e ne compirebbe altre se avesse visto prospettive diverse. Le masse si asserviscono perché vedono come necessaria e ragionevole la scelta di sottomettere la loro volontà al potere dell’autorità: «Decidetevi a non servire più, ed eccovi liberi»[5], diceva Étienne De La Boétie. La scelta di liberarsi però può essere frutto solo della comprensione delle cause di tale condizione sociale. La base della servitù volontaria è quindi da un lato l’ignoranza, dall’altro l’avere la “credenza nell’autorità” di Horkheimer senza averne la consapevolezza, non notando che la sottomissione dei popoli è un importante pilastro su cui si mantiene il potere dei tiranni. Come è possibile un tale condizionamento?

I pensieri sul condizionamento della società e sulla “servitù volontaria” di Étienne De La Boétie portano a interessanti riflessioni. L’abbandono del dogmatismo e della certezza delle nostre opinioni e visioni, che dipendono dal contesto sociale in cui siamo cresciuti e dalla nostra esperienza, ci porta a riflettere anche sul senso della verità e sul significato della certezza. Che senso ha esprimere un’opinione se siamo eternamente condizionati dalla società?

Sorge poi la domanda del come è possibile che questo condizionamento sociale, esteso e diffuso nella società, sia possibile. Sono sicuramente domande a cui è impossibile dare una risposta certa e definitiva, ma sulle quali possiamo fare alcune riflessioni, con l’aiuto dei grandi pensatori che hanno fatto ricerca e studi su questi temi.

[1] M. Horkheimer, citato in Herbert Marcuse, L’autorità e la famiglia, Einaudi, Torino 1970. 

, p. 22.

[2] É. De La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Feltrinelli, Milano 2014, pp. 31-32.

[3] Ivi, pag. 34

[4] G.H. Mead, in Aa. Vv., Il libro della sociologia, Gribaudo, Milano 2018, p. 177.

[5] É. De La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, cit., p. 37.


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a cura di Michele Lucivero

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Questo articolo è il frutto della collaborazione tra il giornale Vipiù.it e il Liceo Scientifico, Scienze Applicate, Linguistico e Coreutico “Da Vinci” di Bisceglie (BT) per i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO).