Il mito dell’individuo: riflessioni contro la libertà astratta

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Sebastiao Salgado, der Spiegel 15.07.2019
Gold mine of Serra Pelada, State of Pará, Brazil, 1986 © Sebastião SALGADO

La coscienza umana si è sviluppata naturalmente e socialmente; d’altra parte sarebbe assurdo per l’uomo essere inserito nella natura e nella società e avere una parte che non derivi da queste ultime. L’individuo non può esistere quindi se non in relazione alla sua realtà storica, sociale e naturale.

Il filosofo John Stuart Mill sostiene che l’autorità non dovrebbe avere il potere di imporre le scelte di vita all’individuo e dovrebbe garantire libertà economica, politica e di opinione. Questa posizione, però, si basa sul pensiero che esista un individuo in grado di scegliere e che possa avere sovranità su se stesso e si fonda anche sulla concezione dell’uomo come essere razionale in grado di conoscere il suo bene indipendentemente dall’autorità della società. Lo stesso Mill sostiene queste due posizioni e alcuni economisti liberali successivi come Friedrich von Hayek hanno ripreso la difesa dell’individuo come premessa alla difesa della libertà anche economica. Mi riprometto, quindi, di analizzare la validità di questa premessa, per mettere in luce le criticità di questa posizione e per sostenere che un’analisi della libertà senza un’analisi dei fenomeni sociali sia parziale.

La prima premessa alla libertà individuale è la libera scelta: senza quest’ultima le imposizioni dell’autorità sarebbero quindi necessarie e parte integrante dell’umanità e, dunque, l’individuo non potrebbe avere sovranità su se stesso. Per scegliere, l’individuo deve pensare autonomamente ed elaborare una sua visione del mondo. Per compiere il processo della decisione autonoma, l’individuo utilizza il linguaggio ed elabora scelte attraverso questo linguaggio.

Il linguaggio, però, è una struttura sociale sviluppatasi all’interno della società e dell’autorità stessa. L’essere umano, quindi, compie scelte con un linguaggio che è già un prodotto sociale e, dato che un pensiero senza linguaggio non può esistere, allora pensa e sceglie attraverso le strutture della società. Il filosofo Ludwig Wittgenstein ha condotto un esperimento mentale per sostenere che un linguaggio individuale non esiste: si tratta dell’esperimento dello scarabeo. Se immaginassimo di dare una scatola ad alcune persone che non conoscono la parola “scarabeo” e dicessimo che all’interno c’è uno “scarabeo”, ogni persona avrà un’idea diversa di quest’ultimo. Se negassimo la possibilità di aprire la scatola si arriverà a una definizione comune di ciò che la parola rappresenta solo con una convenzione sociale: singolarmente non potremmo sviluppare un linguaggio, dato che la funzione del linguaggio è proprio quella di comunicare. Il linguaggio è quindi una costruzione sociale influenzata dall’osservazione naturale filtrata dalla società stessa. La scelta, quindi, è condizionata in partenza dalla struttura sociale del linguaggio.

A questa posizione si potrebbe obiettare che l’esistenza di un pensiero da parte del soggetto dimostri l’esistenza dell’individuo, come sostenne René Descartes scrivendo «dubito ergo cogito, cogito ergo sum» (dubito dunque penso, penso dunque sono). Questa obiezione potrebbe essere una base per costruire un’analisi della libertà, ma nasconde un’importante preconcetto: il pensiero dell’uomo in questa visione trascende il corpo e la realtà naturale. Come però sottolineò il medico Jakob Moleschott nel suo scritto Dell’alimentazione, «senza fosforo non c’è pensiero». Già Baruch Spinoza evidenziò la naturalità dell’uomo e sostenne il parallelismo tra realtà corporea e realtà psicologica. Filosofi e pensatori come Ludwig Feuerbach e Charles Darwin continuarono ad analizzare l’uomo come prodotto naturale e sostennero, da punti di vista differenti (uno filosofico, l’altro evoluzionistico), la natura del pensiero umano. Le moderne sociobiologia ed etologia confermano queste teorie filosofiche, affermando che anche il pensiero si è evoluto ed è il risultato di un processo naturale. La coscienza umana si è sviluppata naturalmente e socialmente; d’altra parte sarebbe assurdo per l’uomo essere inserito nella natura e nella società e avere una parte che non derivi da queste ultime. L’individuo non può esistere, quindi, se non in relazione alla sua realtà storica, sociale e naturale.

La seconda premessa alla libertà individuale e alla possibilità dell’individuo di avere sovranità su se stesso è la credenza che l’uomo sappia cosa sia il suo bene prima dell’interazione sociale. Il bene dell’uomo – o meglio l’idea che l’individuo ha sul suo bene – non è un qualcosa di assoluto che trascende la realtà sociale, ma è inserito nella rete delle interazioni sociali ed è anch’esso una struttura collettiva e naturale. Il bene dell’uomo e dell’individuo sono un costrutto sociale perché l’individuo stesso è condizionato nella valutazione dei criteri di scelta su cosa sia il bene per se stesso. Il sociologo Émile Durkheim parla di una «coscienza comune» per descrivere quella coscienza che non ha una natura individuale, ma che è il prodotto delle interazioni sociali, culturali e religiose di una società. La coscienza comune della società influenza e plasma i nostri pensieri, modellati sulla nostra psiche e influisce sulla nostra concezione di bene. Non potendo l’uomo scegliere volontariamente il bene o il male, non possiamo affermare che il principio della libertà sia inseguire il bene dell’individuo.

Si potrebbe allora contestare che è data per scontata l’impossibilità della scelta volontaria: l’uomo è deresponsabilizzato senza la possibilità di una scelta volontaria del bene o del male. Aristotele scrisse nel III libro dell’Etica nicomachea che «la malvagità è volontaria» e che questa volontarietà del male è la base per la stessa libertà dell’uomo. I presupposti di questa concezione, condivisa da Mill ed eretta a paladina dell’umanità, sono tre: che esistano una malvagità e una bontà definibili individualmente ed estraniati dalla realtà sociale; che l’uomo possa sapere cosa siano malvagità e bontà senza l’interazione sociale e che possa scegliere malvagità e bontà indipendentemente dai condizionamenti sociali dell’autorità. Il bene e il male non esistono però in modo assoluto e la loro conoscenza e scelta è condizionata dalle strutture sociali, psicologiche ed economiche oltre che dall’evoluzione naturale.

Anche la morale e l’etica si evolvono e sono soggette al condizionamento autoritario. Per descrivere la condizione dell’individuo nei confronti dell’autorità, il filosofo della scuola di Francoforte Max Horkheimer ha coniato l’espressione «credenza nell’autorità»: esiste una vera e propria personalità psicologica autoritaria che non ha le capacità di sostenere un’astratta libertà individuale perché è alienata dall’autorità. L’individuo crede nell’autorità ed è sottomesso ad essa senza consapevolezza. Persino la nostra memoria è influenzata dalla società e dall’autorità: gli esperimenti sulla memoria di Elisabeth Loftus hanno dimostrato come attraverso la manipolazione del linguaggio sia possibile condizionare la memoria e le opinioni individuali. L’individualità umana è, quindi, un sottoprodotto del contesto naturale e sociale e l’analisi di Mill sulla libertà risulta astratta se consideriamo l’uomo fuori dall’alienazione e dall’estraniazione che l’autorità esercita sull’individuo sociale e concreto o se ignoriamo che l’uomo e il suo pensiero si sono evoluti naturalmente.

La concezione della libertà di Mill e del liberismo economico e politico successivo è dunque astratta e le premesse fondative di questa concezione sono criticabili dal punto di vista dell’analisi naturale, sociale e psicologica. Il filosofo francese Hyppolite Taine pensava che l’uomo fosse un prodotto di race (condizionamenti naturali, evolutivi e genetici), milieu (condizionamenti dell’ambiente sociale e culturale) e moment (condizionamenti della realtà storica e dello Zeitgeist, spirito del tempo). Attualizzando questa concezione naturalista con la psicologia e i condizionamenti dovuti alla psiche umana è possibile riprenderla come base per una critica all’autorità che consideri la libertà non come un astratto principio individuale, ma come la liberazione globale dell’uomo consapevole della sua condizione, anche economica.

Mill ritiene che l’autorità “costringa” gli individui a fare delle scelte e che bisogna limitare questo potere. Ma tutti i processi autoritari e collettivi sono repressivi per la stessa struttura dei rapporti sociali in cui è inserito l’uomo. L’etologo Konrad Lorenz ha sostenuto l’idea che le inibizioni e conseguentemente l’aggressività dovuta a un eccesso di repressione e inibizione siano caratteristiche fondanti della psicologia umana e animale. Una possibile via per la liberazione globale dell’uomo dall’alienazione autoritaria della sovrastruttura, considerata la libertà come un’illusione astratta dell’individuo, è rintracciabile nel «Grande Rifiuto» di André Breton, surrealista, ripreso da Herbert Marcuse: liberarsi dalla violenza repressiva è possibile solo attraverso un’analisi totale e complessiva della condizione alienante dell’uomo nella sovrastruttura. Dopo l’analisi dell’uomo concreto si arriva al rifiuto complessivo dei meccanismi autoritari per una liberazione che non è né astratta o individuale né profetica, ma deve essere collettiva e legata allo studio dell’uomo come prodotto delle strutture sociali, storiche, naturali e psicologiche.

L’esistenza e la libertà umana, considerate in astratto, come da Mill, portano ad alimentare uno stato di alienazione non cosciente, di sottomissione all’autorità, dato che la persona astratta non è consapevole dei meccanismi avvilenti che la tengono nello stato di «credenza dell’autorità». Come scrisse Albert Camus ne “L’uomo in rivolta”, ogni rivolta contro l’autorità è già un atto di allontanamento dall’individualità e di solidarietà comune “tra le catene” che, solo mantenendo questa stessa solidarietà collettiva, potrà portare alla costruzione di una società umana giusta e liberata.

Elaborato vincitore delle selezioni d’istituto del XXXI Campionato di Filosofia (ex Olimpiadi).


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a cura di Michele Lucivero

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