Le stranezze dell’incidente col dg sanità veneta e Aifa Domenico Mantoan: il figlio dell’uomo morto si sfoga con Lucarelli sul Fatto

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Domenico Mantoan
Domenico Mantoan e Luca Zaia

Il 13 settembre del 2016 un’auto blu esce dal parcheggio dell’ospedale Busonera, l’istituto oncologico veneto di Padova. L’autista Angelo Faccini, commettendo un’infrazione, taglia l’incrocio, gira a sinistra e centra il motorino di Cesare Tiveron, un imprenditore di 72 anni che proveniva dalla stessa corsia. Cesare finisce sul cofano, muore poco dopo in ospedale. Sembra un incidente come tanti altri, ma non lo è. Alla guida dell’auto blu, infatti, c’era un autista e il suo passeggero era Domenico Mantoan, potentissimo direttore generale della sanità veneta, proprio pochissimi giorni fa nominato – su proposta della Regione governata da Luca Zaia – presidente dell’Aifa, l’agenzia italiano del farmaco.

“CAUSA DELLA MORTE: UN INFARTO”
Fu il luminare Massimo Montisci a dire “l’autopsia la faccio io. Fu promosso prima della consegna dei risultati” Il corpo di Cesare è sul tavolo autoptico della medicina legale di Padova quando arriva il dottor Massimo Montisci, direttore dell’unità operativa ma anche dipendente di quella sanità veneta di cui Mantoan, l’uomo che sedeva dietro quell’auto blu, è direttore. E qui il primo fatto strano: Montisci non era di turno, ma si offre di eseguire l’autopsia lui stesso. Una solerzia ammirevole.

Dopo mesi e mesi il pm sollecita i risultati dell’autopsia. Il responso è sorprendente: Cesare Tiveron, cardiopatico, ha avuto un infarto mentre guidava il motorino, pochi istanti prima dell’impatto con l’auto blu, quindi la sua morte non è legata allo schianto. Lo confermerebbero vari esami e i dati del pacemaker di Cesare. Pacemaker che dopo un po’, curiosamente, non sarà più tra i reperti. Viene ritrovato per caso un anno dopo durante la perquisizione dell’ufficio di Montisci, finito sotto inchiesta della Procura di Padova per concorso in falso ideologico per delle analisi antidroga di due imprenditori a cui era stata sospesa la patente.

Il pacemaker di Cesare era lì, in fondo ad un cassetto della sua scrivania. E non è l’unico aspetto che negli ultimi anni ha insospettito i quattro figli di Tiveron: Montisci venne promosso a professore ordinario nell’Istituto di medicina legale proprio una settimana prima della consegna della perizia. Quella perizia contenente la tesi surreale dell’infarto in motorino, che di fatto scagionava l’autista dell’uomo più potente della sanità veneta. Elementi che ad un certo punto hanno portato il pm Cristina Gava ad estromettere la perizia medico legale di Montisci e a chiedere il rinvio a giudizio dell’autista. Successivamente, come ricostruito da L’Espresso, il giudice delle indagini preliminari ha nominato dei periti dell’Università Federico II di Napoli. Concordi, una settimana fa, hanno dichiarato in aula di non avere alcun dubbio: Cesare Tiveron è morto a causa dello schianto.

Uno dei quattro figli di Cesare, Stefano Tiveron, decide di raccontare per la prima volta a nome della sua famiglia la battaglia condotta per arrivare fin qui. Una battaglia che è parsa fin da subito impari per i nomi schierati dall’altra parte. “Questa storia ci è parsa strana fin dalle prime ore dall’incidente”. Perchè? “Mio padre era morto da poco e i giornali già sapevano che era cardiopatico tanto da ipotizzare una morte per un infarto, e non per un incidente stradale”. Come facevano i giornali a sapere che era cardiopatico? “Bella domanda, qualcuno li avrà informati. Fatto sta che partendo dai problemi di cuore di mio padre, sembrerebbe quasi che abbiano formulato una teoria che giustificasse l’incidente”. Poi? “Quando abbiamo saputo chi c’era in quella macchina, ovvero il direttore della sanità veneta e non un impiegatuccio, abbiamo mandato un nostro perito ad assistere all’autopsia e a scattare delle foto. E per fortuna, perché poi la foto più importante, quella da cui si deducevano le cause della morte di mio padre, dal fascicolo di Montisci è sparita”. Come mai quell’autopsia l’ha fatta Montisci se non era di turno? “È arrivato in ospedale e ha detto: ‘Questa autopsia la faccio io’. Noi non lo avremmo saputo che non era di turno se non lo avesse scoperto una giornalista”.

Secondo Montisci suo padre era morto per “shock emorragico da dissecazione aortica”. “Era impossibile, c’erano i segni di una lunga frenata e la rottura dell’aorta è dolorosissima, non avrebbe alcun controllo sui freni”. Cosa avete pensato? “Ce lo aspettavamo. Il pm sollecitava i risultati dell’autopsia e non arrivavano. Abbiamo aspettato sei mesi”. E la storia del pacemaker? “Tiene traccia di tutti gli eventi, come fosse una scatola nera. Gli esami sono di natura complessa, non si è neppure capito cosa dicesse la perizia di Montisci sul pacemaker. Poi perché se lo sia imboscato non lo so, fatto sta che ora è saltato fuori che forse alcuni esami sono stati effettuati con macchinari che nell’istituto di medicina legale di Padova non ci sono”.

Che idea vi facevate della situazione mentre accadeva? “Non faccio accuse, ma sapevamo chi avevamo davanti. La nostra controparte non era il signor Rossi. Difficile che un autista potesse scomodare un luminare come Montisci per un’autopsia e stonava che un Montisci potesse giocarsi la carriera per un semplice autista”. Allora la domanda è: perchè qualcun altro avrebbe dovuto esporsi per un autista? “Gli autisti sentono e sanno tanto. Cosa dico al telefono, dove mi porti. Parlo in generale”. Come vi siete difesi? “Serviva l’esperto più autorevole sulla piazza e ci siamo rivolti al numero uno della cardiologia, Gaetano Thiene, quello che ha fatto l’autopsia ad Astori. Ci ha detto: io non vi dirò quello che vi piace, vi dirò la verità”. Che era? “È morto a causa dell’incidente, la tesi di Montisci è fantasiosa e illogica”.

Anche i nuovi periti del giudice lo hanno confermato: “Noi avevamo chiesto solo che questi nuovi periti fossero scelti fuori regione, hanno smontato anche loro la perizia di Montisci, compreso l’esperto di pacemaker”. Cosa farete ora? “Che la perizia sia stata fatta con dolo o che quel giorno Montisci abbia preso una cantonata, ora si va verso il processo all’autista. Aspettiamo la condanna, poi vogliamo sapere perché la ricerca della verità è stata così faticosa. Se sono stati eseguiti degli esami ma se i macchinari per eseguirli non c’erano, lo vogliamo sapere”.

Il presidente del Veneto Luca Zaia ha dichiarato: rimuovere il direttore di medicina legale Montisci non è di mia competenza. “Non lo invidio. Sa bene che se si accerta il dolo in questa storia non può aver fatto tutto un autista”. Cosa pensavate voi quattro fratelli mentre affrontavate tutto questo? “Che eravamo Davide contro Golia, ma potevamo farcela. Il ritrovamento del pacemaker nel cassetto è stato la svolta, ci ha confermato che eravamo sulla strada giusta. Quando ci si affida alla giustizia e alla medicina si mette nelle mani di altri la propria vita. E si può sbagliare, ma non si può mentire”.

di Selvaggia Lucarelli da Il Fatto Quotidiano