Pozzuoli: perché il Lago d’Averno era considerato l’ingresso agli Inferi?

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Il Lago d'Averno in un dipinto di William Turner, 1814/15.
Il Lago d'Averno in un dipinto di William Turner, 1814/15.

La religione cattolica ci ha abituati a pensare ad un non ben identificato Paradiso, che si troverebbe al di là – anzi, aldilà – delle nuvole, e ad un altrettanto vago Inferno di cui ci sfugge qualunque tipo di contorno se non quell’aura di fuoco e di perpetua sofferenza inflitta. Per Dante, questo luogo aveva delle coordinate ben precise: si trovava, infatti, proprio al centro della Terra, dove Lucifero era andato a conficcarsi dopo la sua caduta.

Ma non dobbiamo dimenticare che la storia umana è molto più antica di tutto questo. Che per le civiltà greche e romane esisteva un Ade che accoglieva le anime dei defunti; un regno dei morti fisico, “terrestre”, al quale era persino possibile accedere attraverso alcuni punti – per quanto segreti, impervi e difficilmente raggiungibili – sparsi per il pianeta. Uno di questi lo costeggio spessissimo durante le mie attività quotidiane: è il Lago d’Averno, uno specchio d’acqua che riempie un antico cratere vulcanico spento. E non deve sorprendere, visto che siamo nel cuore dei Campi Flegrei.

Ma cosa ha a che vedere con gli Inferi?

Avernus, άορνος, “senza uccelli” – Oggi il Lago d’Averno si offre come una piacevole passeggiata immersa nei suoni della natura. In superficie, ospita una comunità stanziale di folaghe e vari altri anatidi; al di sotto del pelo dell’acqua, vivono diverse specie di pesci, tra cui bavose di acqua dolce, alborelle ma anche tante specie alloctone (cioè aliene e portate in loco per azione diretta o indiretta dell’uomo), come persici, gambusie, pesci rossi e tartarughe d’acqua dolce purtroppo sconsideratamente liberate nel lago negli anni passati. Non mancano gamberetti, rane molto “rumorose” (che sono un vero e proprio simbolo acustico del circondario), bisce, piccoli mammiferi (pipistrelli) e differenti specie di uccelli (molte varietà di gabbiano, martin pescatori, cormorani…). La flora, invece, è caratterizzata da lecci, salici bianchi, ginestre e pini marittimi. Insomma, è un luogo brulicante di vita. Ma non è sempre stato così.

Lago d'Averno
Lago d’Averno, sullo sfondo il Castello di Baia. Fonte: wikipedia.

La sua storia comincia circa 4mila anni fa, nella fase più recente del terzo periodo di attività vulcanica dei Campi Flegrei (datato dagli esperti tra gli 8mila e i 500 anni fa); senza questi sconvolgimenti tumultuosi, quella che per secoli è stata definita come la porta d’ingresso per l’Ade non sarebbe mai esistita.

Questa genesi così peculiare pare abbia avuto delle conseguenze molto concrete: stando a quanto raccontato dagli antichi, infatti, sembra che le acque del lago esalassero dei gas maleodoranti a base di zolfo che non permettevano né la vita né il passaggio degli uccelli, rendendo il circondario alquanto spettrale. E non parliamo di una zona paludosa come tantissimi attuali punti del Litorale Domitio e dell’Agro Pontino che hanno cominciato ad ospitare vita umana soltanto dopo le bonifiche; era un ambiente “oscuro” in mezzo ad una città attivissima e che, proprio per questo, risultava ancora più misterioso. Da qui il nome: il latino Avernus, infatti, derivava dal greco άορνος (pronuncia “aornos”) che significa “senza uccelli”. Non stupisce, quindi, che qualcuno ci abbia potuto vedere la porta dell’Inferno, nonché proprio la dimora di Lucifero, il luogo dove sarebbe sprofondato una volta cacciato dal paradiso.

Insomma, la versione greco-romana (e storica) della Sunnydale di Buffy.

Le tappe del viaggio di Enea
Le tappe del viaggio di Enea. Credits: Associazione Rotta di Enea.

Un posto nell’Eneide – Nel ripercorrere le tappe del viaggio di Enea, interessantissimo anche per contestualizzare alcuni miti sulla fondazione di Roma, abbiamo visto come Virgilio riservi a questo lago un ruolo di tutto rispetto nel sesto libro dell’opera. Dopo aver, a malincuore, abbandonato Didone, il protagonista si dirige in Sicilia per un rito di commemorazione del padre Anchise, spingendosi poi più a Nord e approdando, appunto, proprio a Cuma. Qui prima consulta l’oracolo della Sibilla – che si trova a un passo dal lago, anche se in una ubicazione che ha a lungo confuso gli esperti – offrendo, in cambio, dei sacrifici animali; in seguito, con l’aiuto di Caronte, l’orrendo nocchiero e traghettatore di anime, discende nel regno dei morti dove rivede Anchise e scorge lo spirito di Didone, deducendo così la sua morte e struggendosi, per questo, dal dolore.

Spelunca alta fuit vastoque immanis hiatu,
scrupea, tuta lacu nigro nemorumque tenebris,
quam super haud ullae poterant impune volantes
tendere iter pennis; talis sese halitus atris
faucibus effundens supera ad convexa ferebat
(unde locum Grai dixerunt nomine Aornum.)

C’era una grotta profonda e immensa di vasta apertura, rocciosa, protetta da un lago nero e dalle tenebre dei boschi, sopra la quale nessun volatile poteva impunemente dirigersi in volo con le proprie ali; un’esalazone così intensa si diffondeva dalla bocca oscura, elevandosi alla volta del cielo.
(Ecco perchè i Greci chiamarono quel luogo Aorno)
Eneide, libro VI
Caronte nelle acque dell'Acheronte. Disegno di Gustave Doré (1857).
Caronte nelle acque dell’Acheronte. Disegno di Gustave Doré (1857).

In quelle acque scure, in tempi ancora più remoti, si diceva che Zeus avesse combattuto e sconfitto i Titani (la Titanomachia, uno degli scontri più epici della mitologia greca); il bosco a cornice, invece, sarebbe stata proprio la “selva oscura” citata da Dante.

Ed è sempre qui che Annibale, il famoso condottiero cartaginese, avrebbe fatto dei sacrifici a Plutone, signore dell’Averno, per conquistarsi i favori delle tenebrose divinità del sottosuolo all’indomani della battaglia di Canne (la più importante della Seconda Guerra Punica che sancì la vittoria dei cartaginesi sui romani, 216 a.C.). Questo è il nodo in cui tutte le trame si intersecano, perché la prima dea da ingraziarsi era Ecate, regina della notte: la stessa a cui Virgilio aveva attribuito la custodia dei boschi che circondano il lago, rendendolo ancora più misterioso e sovrannaturale.

Non è un caso, quindi, che Dante abbia scelto di posizionare proprio qui l’entrata dell’Inferno.

Curiosità – Passeggiando sulla riva del Lago d’Averno si notano i resti di un’antichissima costruzione: è tutto ciò che rimane del Tempio di Apollo (la Sibilla Cumana era una sua sacerdotessa), un’edificazione greco-romana la cui prima forma risale addirittura al VI-V secolo a.C. e descritta da Virgilio come il “passaggio per gli Inferi”.

Qualche anno prima della stesura dell’Eneide, il lago era stato anche parte di un progetto portuale (l’antico Portus Julius, i cui resti oggi sono finiti sotto il livello del mare a causa del bradisismo) e si pensa che quell’ingresso all’Ade descritto dal poeta sia stato ispirato proprio da un’ampia grotta scavata nel tufo, probabilmente per collegare l’Averno al mare, in cui le infiltrazioni d’acqua creavano un fiumiciattolo sotterraneo, associato allo Stige e ai luoghi dell’Acheronte.

L’aura di mistero del posto è sempre stata foraggiata anche da un effetto ottico: la Fata Morgana, una sorta di miraggio che distorce la percezione visuale degli oggetti rendendoli irriconoscibili o addirittura invisibili. Nel 1833, ad esempio, durante una battuta di caccia, il Marchese Giuseppe Ruffo raccontò di aver visto svanire lo specchio d’acqua davanti ai propri occhi, sostituito da una distesa di prati verdi. Ecco perché si riteneva che la Fata Morgana (per qualcuno una maga, per qualcun altro ancora una versione diversa della Maga Circe) avesse scelto proprio questo luogo come sua dimora.

Ma questo incontro e scontro tra scienza e mitologia merita di essere esplorato nei dettagli in un prossimo capitolo.