Lavoratori del Bangladesh sottoposti a Paola (CZ) a turni anche di 26 ore con una paga di 1,50 euro all’ora: è lavoro questo?

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Lavoratori sfruttati
Lavoratori sfruttati

Notizia ANSA, 23 giugno ore 9.05 Lavoratori del Bangladesh sottoposti a turni anche di 26 ore con una paga di 1,50 euro all’ora, costretti a mangiare a terra, a differenza degli italiani ai quali era consentito utilizzare un tavolo, e sottoposti a condizioni disumane oltre che a minacce e insulti.

Il commissariato di Polizia di Paola, diretto dal vicequestore Giuseppe Zanfini, ha messo fine allo sfruttamento di alcuni lavoratori stranieri costretti a vivere in dieci in appartamenti di 70 metri quadrati, con bagni rotti e inefficienti, arrestando 5 imprenditori e due stranieri, posti ai domiciliari in esecuzione di un’ordinanza del gip su richiesta della Procura di Paola. Sequestrata anche un’azienda agricola di Amantea di cui i cinque imprenditori sono soci.

L’indagine è nata dalla denuncia di un lavoratore, stanco delle condizioni disumane alle quali era costretto. Gli indagati sono accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cittadini stranieri. I due stranieri svolgevano un ruolo di intermediazione, riscuotevano il denaro e rivestivano una posizione di privilegio all’interno dell’azienda.

Una notizia, questa, che dovrebbe muovere a tale indignazione (da parte di ognuno) da portare a forme di ribellione. Così come sta succedendo negli Stati Uniti dopo l’uccisione di George Floyd.

Anche nel nostro paese che ci si ostina a definire civile la discriminazione, il razzismo, lo schiavismo esistono eccome.

Leggendo quanto riportato dall’Ansa vengono alla mente racconti, spesso solo cenni o frammenti di notizie, che si possono leggere nelle pieghe di articoli sullo sfruttamento di lavoratori (quasi sempre in subappalto) stranieri e italiani anche nell’opulento nord. Ritornano anche alla mente alcuni articoli sul ricorso a stimolanti e vere e proprie droghe usate per sopportare turni di lavoro massacranti.

Così si dovrebbe riflettere sulla disperazione e la rassegnazione che stanno crescendo tra le lavoratrici e i lavoratori. Tra i braccianti, certo, ma anche tra chi lavora in cooperative che tali non sono, tra i giovani e meno giovani costretti ad aprire partita Iva per poter ottenere un lavoro magari a tempo pieno e in una sola azienda ma comunque e sempre precario con retribuzioni talmente basse (pochissimi euro all’ora) da risultare insufficienti per immaginare un futuro diverso dalla mera sopravvivenza. Si vivono condizioni di lavoro sempre peggiori e diffuse che portano a una pericolosa assuefazione e a considerare “normali” cose che tali non sono.

Non serve solo riformare il “mondo del lavoro” (anche lorsignori vorrebbero, con la scusa della “sburocratizzazione” una riforma che permettesse, però, la possibilità di licenziare meglio e di più, di non subire controlli anche per quanto riguarda la sicurezza e di avere quello “scudo penale” che permettesse una impunità oltre che nei fatti, anche “legale”) ci vorrebbe una vera e propria rivoluzione anche culturale. Qualcosa di radicale che riconoscesse ai lavoratori il ruolo di veri artefici del benessere. Invece si sta andando sempre di più a fornire alle “imprese” (un’entità sempre più astratta e comandata da consigli di amministrazione nei quali operano figure quasi sempre “trasparenti”) privilegi e benefici. Questa è l’ideologia capitalista … i lavoratori possono e devono subire (e, magari, credere di essere privilegiati rispetto a chi non trova lavoro).

Si può iniziare dall’indignazione per costruire un progetto di un modello di sviluppo nuovo dove possa essere normale lavorare tutti meglio, meno, in sicurezza e con una retribuzione adeguata.

Almeno si può provare.

(per quanto riguarda il richiamo all’uso di stimolanti e altro, si possono indicare:

Il Piccolo

Il Fatto Quotidiano

Il Corriere del Veneto


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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.