Sergio Marchionne è morto, Il Fatto Quotidiano: “né meriti né colpe, usato per risse da cortile”

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Pubblicato il 24/7 alle 11.30, riproposto oggi 25 per la notizia della morte di Sergio Marchionne, 66 anni compiuti a giugno, deceduto all’ospedale universitario di Zurigo dove era stato ricoverato il 27 giugno 

I veri sciacalli non aspettano nemmeno che quel cuore finisca ufficialmente di battere per impossessarsene, brandirlo contro gli avversari, pavoneggiarsi con le ultime parole famose. Ci sono cose tristi e anche buffe, come a tutti i funerali, solo che qui il morto non è ancora morto, ma ci sono quelli che non ce la fanno ad aspettare. C?è un giornalista che scrive con qualche riluttanza che sì, un giorno Sergio Marchionne gli telefonò per riconoscergli una intelligenza superiore. 


C?è Matteo Renzi che vince il noto riserbo e rivela (?ormai si può dire?, ma perché?) che il manager oggi morente non era abbastanza impegnato da mancare l?intervista del Bomba da Fazio: ?Bravo, finalmente l?ho ritrovata?, gli scrisse, smentendo in privato la scomunica pubblica.

Il dramma nazionale vero è invece la polemica da cortile su un uomo costretto da una sorte bizzarra ad agonizzare a mercati chiusi. Sedicenti strateghi, politicanti e sindacalisti ? ignorando che la parabola tragica di Marchionne ha poco a che fare con le loro storie miserabili e con la stessa storia d?Italia ? ci consegnano il selfie impietoso di un?Italia analfabeta che scivola verso un impoverimento epocale cercando di svagarsi tra una caccia al negro e un?invettiva contro i radical chic. Così è tutto un ?inginocchiatevi!? e ?chiedetegli scusa!?, come con Craxi ad Hammamet e con Filippo Turati al congresso di Livorno del 1921. Come se oggi il problema dell?Italia fosse la discussione da bar se sia più adeguata al momento l?ideologia dei fan di Marchionne o quella di Maurizio Landini, indicato dal suo collega metalmeccanico Marco Bentivogli (Fim-Cisl) come capo occulto ?dell?Italietta delle rendite e dei ricatti, l?Italietta pigra che preferisce chiudere le fabbriche piuttosto che rimboccarsi le maniche?. Una rissa ideologica sul nulla, al motto ?lo criticano falliti e invidiosi?.

Il rispetto umano per Marchionne morente impone di guardare la realtà e riconoscergli che nel disastro dell?industria italiana non ha meriti né colpe particolari. Nel 2004, quando gli fu affidato il timone della Fiat, il Gruppo torinese produsse in tutto 2,1 milioni di veicoli (fonte: www.oica.net). In Italia furono costruiti allora 1 milione 141 mila veicoli, l?anno scorso ne sono stati fatti 1 milione 142 mila. Gli occupati in Italia di Fiat Auto sono oggi circa 30 mila come dieci anni fa. Polemicucce sui numerucci a parte, non è successo niente. In Italia.

Guardiamo adesso un po? oltre il nostro naso. Nel 2004 la Chrysler era fusa con la Daimler (marchio Mercedes Benz), e produssero 4,6 milioni di veicoli, circa 2,5 dei quali attribuibili a Chrysler. Insomma, Fiat e Chrysler, quando Marchionne ha preso in mano la faccenda, producevano 4,5-5 milioni di veicoli, e sarebbero stati, insieme, il quinto gruppo mondiale. Nel 2004 la Volkswagen sfornò poco più di 5 milioni di veicoli. La francese Renault cubava circa quanto la Fiat da sola.

L?anno scorso, dopo 13 anni di Marchionne, il mercato mondiale era così: Volkswagen ha sfornato oltre 10 milioni di veicoli, il doppio rispetto al 2004. Anche Renault ha sfondato quota 10 milioni grazie alla fusione con Nissan e Mitsubishi. Fca (Fiat e Chrysler) ha sfornato 4,8 milioni di macchine. Più o meno come nel 2004, ed è all?ottavo posto nella graduatoria mondiale, scavalcata per esempio dai coreani di Hyundai-Kia che dal 2004 a oggi hanno circa triplicato la loro produzione ? senza che nessuno strategist de noantri si sia preso il disturbo di spiegarci a quale genio del management attribuire il fatto. Ma soprattutto un dato dovrebbe colpire la nostra gretta e provinciale immaginazione. Nel 2004 sono stati prodotti nel mondo 63 milioni di veicoli, nel 2017 97 milioni, con una crescita superiore al 50 per cento. Così Marchionne ha ereditato una quota di mercato attorno al 7-8 per cento e ne lascia una attorno al 5 per cento. C?è nell?ultimo bilancio Fca la fotografia spietata di questa sconfitta storica di cui Marchionne non ha alcuna responsabilità: nel 2017 ha venduto solo 215 mila veicoli in Cina, mercato da 24 milioni di pezzi. Ecco perché tutti parlano di inevitabile fusione con un grande gruppo asiatico, magari proprio Hyundai-Kia.

Questi dati dimostrano come sia assurda, e anche spregevole, la polemica sui grandi meriti da riconoscere a Marchionne, che avrebbe dato una scossa decisiva all?Italietta dei ricatti sindacali. Nessuna scossa. Ha solo fatto bene il suo mestiere, ha curato con successo gli interessi degli azionisti. Ma non ha inventato niente, tanto meno ha dato all?Italia una visione del suo futuro industriale, come dimostra il ritardo sull?auto elettrica. Né gli si poteva chiedere di fermare da solo la Storia, che vede l?Italia condannata. Per questo non merita l?estremo sfregio di essere usato in punto di morte come testimonial dell?ideologia accattona del ?meglio un lavoro di merda che niente?.

di Giorgio Meletti da Il Fatto Quotidiano