Meritocrazia Italia, Percorsi formativi da costruire: l’assistente sociale

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La figura dell’assistente sociale nasce verso la metà del XIX secolo per promuovere l’autonomia e la valorizzazione delle risorse personali e sociali dei cittadini in condizione di disagio o vulnerabilità, mettendoli in relazione con Istituzioni e associazioni. Attraverso l’analisi dei bisogni espressi dai cittadini, contribuisce alla programmazione delle politiche della propria organizzazione e del proprio territorio.

Ma come si diventa assistente sociale?

Al termine del percorso di studi in Scienze del Servizio Sociale, si hanno due opzioni: iniziare a lavorare e accedere a corsi di perfezionamento, master di primo livello e altri corsi di specializzazione, oppure proseguire con gli studi magistrali, al termine dei quali si può accedere anche a master di secondo livello e a concorsi per dottorati di ricerca.
Si tratta di una formazione interdisciplinare (discipline sociologiche, psicologiche, giuridiche, storiche, economiche e politologiche), poichè i futuri professionisti si troveranno ad affrontare situazioni molto complesse dal punto di vista umano, giuridico, etico ed organizzativo.

L’abilitazione alla professione è disciplinata dalla l. n. 84 del 23 marzo 1993, e dal d.P.R. n. 328 del 2001, che ha suddiviso l’albo in due categorie, A (laurea Magistrale) e B (laurea triennale). Gli iscritti alla sezione A ottengono il titolo di assistente sociale specialista, mentre gli iscritti alla sezione B quello di assistente sociale. L’iscrizione avviene, per entrambe, previo superamento di un esame di Stato, che ha lo scopo di garantire professionisti esperti e pronti ad operare per rispondere alle esigenze dei cittadini.
L’Ordine professionale è articolato a livello regionale, e ogni Consiglio regionale è preposto alla tenuta e all’aggiornamento dell’Albo.

Gli assistenti sociali operano sia nel Pubblico che in aziende private e associazioni di categoria, ma cresce il numero di liberi professionisti.
Nelle pubbliche amministrazioni (dove operano come dipendenti o collaboratori), gli ambiti lavorativi principali riguardano il servizio sociale comunale, la tutela dei minori, servizi specialistici dell’area sociosanitaria, servizi di contrasto alla povertà, il servizio sociale in sanità (sia in strutture che in ATS e ASST), nei centri di salute mentale e nei S.E.R.T. (servizi per le tossicodipendenze), in servizio sociale nel settore giustizia (Ufficio di esecuzione penale esterno per adulti o nell’Ufficio di Servizio Sociale Minorenni).
Nel privato e nelle associazioni di categoria possono svolgere attività nei servizi forniti agli enti locali dalle cooperative sociali, nei servizi e strutture per persone diversamente abili, comunità per minori, servizi e strutture per anziani (RSA), per la marginalità adulta e per migranti.

Gran parte del lavoro è svolta facendo rete con gli operatori del territorio (psicologi, educatori professionali, giudici, mediatori culturali, operatori socio-sanitari, medici, infermieri, volontari, etc.), con i quali l’interazione deve essere continua.
Un futuro assistente sociale deve essere in grado di analizzare e valutare le domande e i bisogni dei cittadini, contrattare con esso, progettare e realizzare progetti di aiuto, monitorare e verificare gli interventi, rielaborare le domande e costruire reti territoriali.

Va evidenziato che, da alcuni anni a questa parte, la formazione universitaria del servizio sociale è oggetto di discussione, non solo per ciò che concerne le competenze necessarie per svolgere la professione di assistente sociale, ma anche per il riconoscimento sociale ed istituzionale di quest’ultimo.
Purtroppo il Servizio sociale ha sempre occupato, in ambito accademico, una posizione di subordinazione scientifica e culturale nei confronti delle altre discipline. Nonostante l’immenso lavoro fatto per promuovere un aumento della produttività scientifica e una maggiore competitività dei curriculum dei docenti specialisti, il numero di assistenti sociali che oggi insegna in Università o che pubblica su riviste scientifiche è assai ridotto.

Il dibattito a riguardo ha fatto emergere la necessità di una riforma dei percorsi di studio fondata su due punti principali: il rafforzamento dei crediti specialistici (teorici e da tirocinio), con la prospettiva di estendere a 5 anni la formazione base necessaria per l’iscrizione all’albo B, e una selezione per l’insegnamento basata sul requisito dell’esperienza “su campo”.
Sarebbe, quindi, opportuno:
– aumentare quantità e qualità degli insegnamenti specialistici (incrementare i crediti di materie professionali e di tirocinio, ma anche la qualità della Ricerca);
– definire il servizio sociale come oggetto di ricerca;
– investire in collaborazioni con altre discipline;
– investire in percorsi dottorali e di alta formazione dedicati allo studio del servizio sociale, per consentire ai giovani studiosi un accesso in Accademia qualificato, in collaborazione con la comunità professionale e gli ordini nazionali e regionali;
– promuovere, in tempi rapidi, un dibattito sul futuro della formazione per il servizio sociale basato sul confronto tra professionisti, Ordine nazionale e regionali e Università, superando pregiudizi e rivendicazioni ormai datate.

Data la complessità del tessuto sociale (che richiede sempre più competenze e interventi qualificati), dal primo gennaio 2014 anche per gli assistenti sociali vige l’obbligo della formazione professionale continua, al fine di garantire la qualità ed efficienza della prestazione, nel migliore interesse dell’utente e della collettività (d.P.R. n. 137 del 2012).
Oltre a competenze tecniche e professionali acquisite durante il percorso formativo, con l’esperienza e il continuo aggiornamento, un assistente sociale deve avere abilità e competenze trasversali (c.dd. soft-skill), necessarie per potersi rapportare con le persone che fanno parte dell’ecosistema lavorativo.

Prerogative indispensabili per intraprendere questa professione sono comunque la capacità e la disponibilità all’ascolto, all’interazione con il pubblico, l’apertura a nuove metodologie di approccio, oltre a un’attitudine all’empatia.
Occorrono, altresì, controllo emotivo, consapevolezza dei propri punti di forza e debolezza, dei propri valori e obbiettivi, concentrazione anche sotto pressione o in situazioni impreviste.
Di conseguenza, questo tipo di formazione deve necessariamente prevedere anche lo studio di metodi di gestione dello stress.
Purtroppo, quella dell’assistente sociale (quotidianamente alle prese con situazioni di forte disagio) è una delle figure professionali a più alto rischio burn-out, motivo per cui sarebbe auspicabile prevedere test psico-attitudinali periodici.

Fonti:
www.atlantedelleprofessioni.it/professioni/assistente-sociale
www.ordineaslombardia.it/professione/diventare-assistente-sociale
www.oasvda.org/professione-e-formazione
www.progettofamigliaformazione.it/articoli/saper-essere-soft-skills-servizio-sociale

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