Piero Angela, l’istruzione, la scienza e la tecnologia: cosa deve insegnare la scuola di oggi?

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Piero Angela, la scienza, la tecnologia e la scuola, credits archivio RAI
Piero Angela, la scienza, la tecnologia e la scuola, credits archivio RAI

Sono passati quasi cinquant’anni da quando il compianto Piero Angela, l’uomo che un paio di generazioni ha associato in maniera quasi esclusiva al sapere divulgativo via cavo, incominciava agli inizi degli anni ’70 a istruire la popolazione e ad appassionare attraverso lo schermo milioni di italiani e di italiane a temi non proprio semplici, come quelli di carattere scientifico, alla fisica, alle tecnologie e alle scienze naturali.

Successivamente, negli anni ’80 Piero Angela elevò il programma televisivo Quark – Viaggi nel mondo della scienza ad un prodotto culturale efficace e fruibile, per poi avviare nel 1995 l’ancor più fortunato Superquark, un format ancora in piedi che, però, negli ultimi 15 anni ha visto quasi dimezzarsi il suo pubblico. Se nel 2007, infatti, si raggiungevano anche punte di quattro milioni di spettatori, nell’ultima edizione, compresa la puntata andata in onda mentre il suo ideatore ci lasciava, faticava a raggiungere il milione e mezzo di telespettatori.

A pensarci bene, quando i programmi Quark e Superquark sono nati, non era diffuso in maniera massiccia il web, per cui, di fatto, essi rappresentavano una formula fortunata e molto efficace di didattica a distanza che utilizzava la tecnologia, nella fattispecie il mezzo televisivo generalista, come strumento per giungere nella case delle persone e con il suo stile colloquiale, informale, estremamente semplice, ma senza essere mai superficiale, Piero Angela riusciva a catturare gli ascoltatori e le ascoltatrici.

Evidentemente, dagli anni ’80 ad oggi molte cose sono cambiate: la televisione è utilizzata sempre meno dai giovani – e anche dagli adulti -, che preferiscono migrare verso le opportunità offerte dal web. Ma anche quando il televisore viene acceso, molto spesso si preferisce non seguire la programmazione imposta dalle reti, bensì scegliere con estrema libertà nei tempi e nei modi, attraverso la tecnologia on demand, cosa guardare, se recuperare programmi andati già in onda oppure immergersi in serie tematiche messe a disposizione da piattaforme che sono alternative rispetto alla tv generalista.

Era, tuttavia, nel lontano 1986 che Piero Angela esprimeva alcune interessanti considerazioni sul mondo che andava incontro a enormi cambiamenti in un testo dal titolo Quark economia. Per capire un mondo che cambia. Il libro spaziava, in realtà, dall’economia alla storia, alla scienza e, infine, si soffermava sul rapporto tra scuola, educazione, istruzione e tecnologia, connettendo insieme i saperi in maniera estremamente semplice e comprensibile, come, forse, in pochi hanno saputo fare.

Scriveva in quel testo Piero Angela: «Se vi chiedessero qual è il migliore investimento, cosa rispondereste: i BOT? La Borsa? Un appartamento? Dei dollari? Un quadro d’autore? Personalmente penso che la risposta giusta sia: probabilmente l’educazione. Il miglior investimento infatti è mettere i soldi nel cervello dei figli, nello sviluppo della loro intelligenza, delle loro capacità di essere creativi, competenti, adatti ad un mondo che si sta aprendo»[1].

Ciò che, tuttavia, l’agnostico Piero Angela lamentava negli anni ’80, proprio all’indomani della pubblicazione, nel 1979, del dirompente La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere[2] di Jean-François Lyotard, era l’assenza all’interno del mondo della scuola di un “chiodo” su cui appendere delle «verità ben solide», cioè quegli insegnamenti e quei punti di riferimento culturali, ideologici e concettuali che avevano formato la generazione precedente con grande successo.

Il fatto è che sin dai primi del ‘900 fino agli anni ’70 – passando per il ventennio fascista -, soprattutto per quanto riguarda il Mezzogiorno, si trattava di edificare l’intero sistema scolastico pubblico per rimediare al dilagante analfabetismo, per cui gli sforzi erano principalmente concentrati sulla necessità di insegnare la lingua italiana, perlopiù ignorata da molti, ma anche la cultura italiana, la sua storia, la geografia, anche attraverso un uso smodato della memoria per fissare nella mente alcune nozioni ritenute imprescindibili dal punto di vista dell’edificazione di una identità e una coscienza collettiva nazionale. Non sarà difficile, ad esempio, incontrare uomini e donne scolarizzate degli anni ’40-’50 anche solo presso le scuole elementari che sappiano a menadito recitare ancora oggi intere poesie di stampo patriottico, oppure che sappiano recitare preghiere in uno stentato latino, che conoscano alla perfezione il 5 maggio di Alessandro Manzoni o, infine, che conoscano a memoria tutte le province della Lombardia, del Piemonte e del Veneto.

Ma oggi, quali sono le priorità della scuola pubblica? Cosa bisogna insegnare nel 2022 alle ragazze e ai ragazzi che frequentano le nostre scuole? Quali sono, se ci sono, i “chiodi”, come diceva Piero Angela, su cui fissare le conoscenze delle generazioni a venire?

Di certo oggi non abbiamo più la necessità di alfabetizzare a tappeto, come accadeva negli anni ‘50-‘70, se non in alcune zone d’Italia in cui resistono sacche di povertà e degrado; di certo, a meno che non si affaccino anche dalle nostre parti venti di guerra, non abbiamo la necessità di rivangare ideologie nazionalistiche da inculcare nelle nostre alunne e nei nostri alunni; ci siamo accorti, inoltre, durante questi anni di pandemia appesi al personal computer, che le studentesse e gli studenti hanno abbastanza dimestichezza con gli strumenti informatici…ma, allora, di cosa avrebbero bisogno questə ragazzə?

Nell’ubriacatura ipertecnologica attuale, quella che spinge ad attivare in tutta Italia, sulla scorta di un progetto statunitense del 2000 (sic!), Licei STE(A)M (dall’acronico inglese Science, Technology, Engineering and Mathematics in cui fa capolino senza una precisa progettualità Arte) e Licei TED (acronimo di Transizione Ecologica e Digitale), noi vorremmo che nella scuola il “chiodo” su cui fissare non tanto delle «verità solide», ma delle fondamenta progettuali sia costituito da valori culturali e orizzonti giuridici compatibili con la sopravvivenza dell’essere umano sulla Terra.

Ecco, ci rammarica contraddirlo, ma, forse, su una cosa Piero Angela si sbagliava, cioè nel ritenere che «in ogni paese ci sia parallelismo tra la crescita tecnologica, quella economica e quella culturale»[3], giacché ci pare che ad oggi l’innovazione tecnologica e lo sviluppo economico abbiano raggiunto livelli stratosferici in paesi come gli Emirati Arabi Uniti del Rinascimento renziano, il Qatar dei mondiali 2022 e la Turchia (che cresce con un ritmo del 7,3% annuo). Ma, tuttavia, ci pare che in questi paesi non sia stato dato un peso adeguato al ruolo della cultura, quella che, a nostro modesto avviso, attraverso l’apertura ai diritti, alla democrazia, alla solidarietà e alla giustizia fa crescere soprattutto gli esseri umani e non soltanto le tasche di qualcuno/a.

[1] P. Angela, Quark economia. Per capire un mondo che cambia, Garzanti, Milano 1986, p. 176.

[2] J.-F. Lyotard, La condizione postmoderna: rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano 1981.

[3] P. Angela, Quark economia, cit., p. 210.


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a cura di Michele Lucivero

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