“Posto ergo cogito?” n. 1, la rubrica sulla disinformazione via web: cominciamo dal video anti tedesco di Solenghi

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Posto ergo cogito?
Posto ergo cogito?

Vogliamo provare a lanciare da oggi una rubrica, “Posto ergo cogito?” cioè “metto un post su FB quindi penso?“, magari, giusto, uno spazio per riflettere (ecco il perché del punto interrogativo) sul pensiero che si diffonde via web mediante i commenti a certe prese di posizione, cercando di analizzare i sentimenti che maturano nell’epoca della disinformazione.

Una volta pensare era sinonimo di esistere (il cartesiano “Cogito ego sum“), perché, per Cartesio dava la possibilità all’uomo di distinguere il vero dal falso, tramite un procedimento di critica totale della conoscenza, il cosiddetto dubbio metodico, consistente nel mettere in dubbio ogni affermazione, ritenendola almeno inizialmente falsa, nel tentativo di arrivare alla conoscenza.

Oggi, spesso, il procedimento è inverso ma di tipo binario, zero oppure uno: si abbraccia (o si rifiuta) a priori quanto affermato da un altro, mai esercitandosi, prima, nel dubbio, confermativo o negativo, su quanto detto, letto o sentito, ma forse non ascoltato nel senso di “tentato di capire”.

Lo scopo di “Posto ergo cogito?“, col mettere in discussione questa abitudine sempre più virale, è quello di comprendere meglio il sostrato ideologico sul quale poggia la nostra società, i valori e le credenze sottese al quel tipo di sapere che si configura come costume, cultura o subcultura, se non proprio come opinione, la doxa dei greci, quel sapere che rasentava una forma molto superficiale e popolare di conoscenza.

La rubrica Posto ergo cogito? prenderà, sperimentalmente, le mosse dai commenti al video di Tullio Solenghi da lui pubblicato su Twitter con una grande eco mediatica, ripreso e rilanciato da Vicenzapiu.com (“Coronavirus, Tullio Solenghi in video su solidarietà… tedesca: “grazie di essere italiani e non tedeschi” ma dimenticando l’asse Mussolini Hitler“) totalizzando ad oggi circa 52.000 visualizzazioni e oltre 1700 commenti, con circa 1.300 like e più di 700 pollici verso.

Nel suo video l’attore ha ribadito più volte il suo orgoglio di essere italiano e non “tetescho”, termine pronunciato più volte canzonando l’accento dei destinatari delle sue invettive, prendendo a non futile pretesto per questo attacco il rifiuto da parte della Germania dei Coronabond, ovvero delle obbligazioni a lungo periodo emesse con garanzia comune di tutti gli Stati europei della UE, già chieste e mai emesse in passato e ora richieste per far fronte alla crisi del Coronavirus su proposta di Italia, Francia, Spagna e altri Paesi europei.

I numerosissimi commenti relativi al video del comico postato su YouTube rivelano un sentire ovviamente spaccato in due, tra chi condivide e chi no, ecco l’assenza del dubbio trasformato in accettazione o rifiuto totale, ma soprattutto, per la loro numerosità e per l’articolazione delle loro motivazioni, offrono a Posto ergo cogito? un campione significativo su cui provare a sviluppare le nostre prime analisi sul pensiero che si diffonde via web nell’epoca della disinformazione.

Detto questo ci diamo appuntamento a breve per la prima puntata di “Posto ergo Cogito?”, la rubrica sui commenti sul web partendo da quelli al video di Solenghi, ma chi volesse può anche leggere le considerazioni successive su come si arriva all’attuale “regime della post-verità”, un momento storico peculiare della storia dell’umanità in cui gli strumenti principali per la diffusione della conoscenza e del sapere sono nelle mani di una classe di soggetti del tutto particolari: i social media manager e gli influencer.


 

Posto ergo cogito: i sentimenti della conoscenza collettiva nell’epoca del web

Il sapere e la conoscenza nell’epoca della post-verità, che è la stessa epoca del moltiplicarsi della fake news, vengono ridotti a mera informazione. La conoscenza non si prefigge più lo scopo dell’asservimento al potere, generando metanarrazioni totalizzanti e onnicomprensive nelle mani degli esperti o degli spocchiosi filosofi di Stato, ma è al servizio della vanagloria personale, di una forma di protagonismo narcisistico, anche, talvolta, con funzioni strumentali per agganciare per vie alternative i meccanismi della politica.

Non possiamo dire che in Italia non abbiamo assistito anche a questa trasformazione dell’invettiva antipolitica via web in movimento politico parlamentare.

Con questa premessa potrebbe sembrare presuntuoso e inopportuno da parte nostra presentarsi come un ulteriore soggetto o un’agenzia tra le altre con la pretesa di diffondere la propria verità, per la quale noi confidiamo ancora e lavoriamo alacremente nelle istituzioni e per mezzo della stampa nel tentare di stimolare i soggetti all’accertamento e al discernimento con spirito critico.

Ma tant’è, noi non abbiamo quella pretesa di verità ma solo l’intenzione di analizzare come, invece, si venga spinti a scambiare per un proprio convincimento quella costruito costruito per noi da altri.

A distanza di più di trent’anni dalla pubblicazione del libretto di Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere [1], uno dei testi che personalmente ho apprezzato enormemente in passato, siamo in grado di confermare che l’informatizzazione ha modificato profondamente la natura del sapere, giacché si è prodotto definitivamente lo scollamento tra il sapere come formazione (la famigerata Bildung), intesa come un faticoso percorso di crescita morale, intellettuale e di sviluppo della personalità, e sapere come informazione, meramente nozionistico, condensato in mini spot e frasi ad effetto che vengono spesso lanciate come sassi per poi ritirare la mano, invettive prive di argomentazioni, se non proprio ridotte a meri dati e meri fatti, di cui un certo tipo di televisione si è giovato, per mezzo di una pletora di giochi a quiz.

La tesi di Jean-François Lyotard nel suo testo, pubblicato nel 1979, ruotava intorno alla trasformazione occorsa a partire dalla fine del XIX secolo nella gestione, fruizione e trasmissione della conoscenza. Il filosofo francese riteneva che dal punto di vista storico si può ammettere che in passato il sapere fosse appannaggio esclusivo di alcune classi sociali, le quali detenevano il primato della narrazione, cioè di ciò che passava ed era collettivamente inteso come conoscenza, ma successivamente si è affacciata sulla scena “la scienza”, messa a punto nelle Università e negli Istituti di ricerca, gestiti necessariamente dagli apparati dello Stato.

La scienza ha dovuto combattere le narrazioni precedenti, definendole mitologiche, e lo ha fatto nell’unico modo possibile che le era possibile, cioè attraverso il linguaggio e stratagemmi che utilizzavano il linguaggio stesso per avere un rapporto speciale ed univoco con “la verità”. Per risultare vincente, tuttavia, la scienza doveva stabilire in anticipo le regole del gioco e quindi radicare la verità e la validità del suo linguaggio su prove sperimentali, in modo da legittimare il suo operato.

Secondo Lyotard questa legittimazione veritativa della scienza è giunta ad un certo punto da un apparato metadiscorsivo che ha trovato nella filosofia un perfetto alleato, una disciplina precedentemente considerata perlopiù un ozio per spiriti eletti dall’animo speculativo e contemplativo. La scienza si è così appoggiata sulla filosofia o, meglio, di volta in volta su una filosofia diversa, vale a dire su una metanarrazione radicata in presupposti a priori come la dialettica dello Spirito, l’ermeneutica del senso, l’emancipazione del soggetto razionale (Illuminismo), la liberazione del lavoratore dall’alienazione (marxismo), lo sviluppo incontrollato della ricchezza (liberismo). Va da sé che se mutano i soggetti dispensatori di legittimazioni e/o metanarrazioni, tutto l’assetto del sistema sociale ne viene profondamente influenzato e subisce importanti trasformazioni affinché la metanarrazione abbia presa sulla popolazione. È in questo frangente, in questo cambiamento al vertice dell’elaborazione della narrazione, ciò che poi passa come conoscenza, che avvengono le più grandi rivoluzioni culturali ed è proprio in questo frangente che vanno riscritte le regole della giustizia e della politica.

Il testo di Lyotard del 1979, che, come molti altri capisaldi della letteratura mondiale, ha avuto il pregio di essere stato più citato che letto, ha riscosso un grande seguito nel panorama culturale degli anni ’80 e ’90, inaugurando una stagione importante, oggi forse già superata, cioè quella del pensiero postmoderno. Ma al di là della corrente culturale avviata – un ulteriore segno dei tempi – l’assunto fondamentale di Lyotard, era che ad un certo punto della storia la gestione del sapere è passata dalle mani delle caste sacerdotali a quelle delle istituzioni nazionali, stabilendo comunque una forma di isomorfismo quasi totale tra la produzione del sapere e l’assimilazione da parte della popolazione. Si può dire a questo riguardo che la scienza e la filosofia nelle mani del potere generavano degli universi simbolici e significativi totalizzanti, che giungevano a lambire tutta la popolazione come fossero delle reti lanciate dall’alto per “irretire”, appunto, tutti i soggetti.

È chiaro che oggi, nell’era dell’informatizzazione e del pluralismo culturale, circostanze che Lyotard all’epoca non aveva considerato e non poteva immaginare, non foss’altro che un primo utilizzo pubblico del web avvenne a partire dal 1989, il sapere e la conoscenza si presentano estremamente frammentati. Oggi le agenzie dispensatrici di conoscenza sono molteplici, le metanarrazioni elaborate delle filosofie ufficiali non tengono più come prima e così si genera un processo difficile da indagare, ma che a livello emotivo genera molta confusione e incredulità.

La conseguenza di questa evoluzione nei meccanismi della gestione della conoscenza è l’assoluta indifferenza nei confronti delle fonti del sapere e dei centri istituzionali preposti a trasmetterlo, giacché le informazioni, ma soprattutto le informazioni che il soggetto vuole per i suoi scopi, sono immediatamente disponibili e a portata di mano su canali non sempre istituzionali.

È chiaro che in questo frangente viene meno quel valore attribuito agli strumenti logici del linguaggio orientati a perseguire la “funzione euristica” del sapere, cioè la ricerca della verità, che è unica, incontrovertibile, e si assiste ad uno slittamento, di cui non ci siamo probabilmente ancora accorti del tutto, per cui l’articolazione del linguaggio è orientata verso una “funzione eristica” laddove l’argomentare perde il suo riferimento alla verità o alla falsità dei suoi contenuti e diventa un mero dibattere fine a sé stesso, non senza, e questo è importante, interessi specifici generati ad hoc da agenzie culturali e imprenditori morali che hanno interesse a destabilizzare l’assetto del sapere univoco.

Se, dunque, nel passato il sapere ufficiale irretiva la popolazione con un universo simbolico totalizzante, la novità dell’evoluzione liberale e pluralistica del world wide web sta nella possibilità delle agenzie culturali di lanciare ognuna la sua “rete” per irretire un numero sempre maggiore di soggetti, moltiplicando i pacchetti preconfezionati di credenze, di conoscenze immediatamente disponibili alla lettura e forse meno alla comprensione. Quest’ultimo aspetto, cioè la possibilità da parte di chiunque di accedere ad un pacchetto alternativo di conoscenze e informazioni, in un regime di pluralismo, ma soprattutto di delegittimazione della classe ufficiale preposta alla dispensazione della conoscenza veritativa, concede a tutti la facoltà di essere i depositari della verità, arrivando perfino a brandirla contro la spocchia di esperti, scienziati, dottori e professori.

È questo il significato che assume oggi il “regime della post-verità”, un momento storico peculiare della storia dell’umanità in cui gli strumenti principali per la diffusione della conoscenza e del sapere sono nelle mani di una classe di soggetti del tutto particolari: i social media manager e gli influencer. Entrambi sono esperti, i primi lo diventano generalmente a livello scientifico per vie istituzionali, i secondi perlopiù per esperienza e talento maturato sul campo, degli stratagemmi di moltiplicazione del consenso, di diffusione e ramificazione delle informazioni, ma non hanno nessun rapporto stringente, perché non è nei loro compiti, con i meccanismi di produzione e di accertamento del contenuto delle informazioni che veicolano.

[1] J.-F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano 201020.

Segue, qui tutte le puntate di Posto ergo cogito?