Studenti e studentesse picchiate in piazza. “Filosofia in Agorà”: sulle manifestazioni contro la scuola dei PCTO

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Manifestazione studenti e studentesse contro PCTO
Manifestazione studenti e studentesse contro PCTO

di Michele Lucivero e Andrea Petracca. Il 28 gennaio a Roma, Milano, Napoli, Torino, studentesse e studenti hanno manifestato per ricordare la tragica scomparsa del loro coetaneo Lorenzo Parelli. Già, perché Lorenzo il 21 gennaio stava svolgendo l’ultimo giorno di PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento) e ai suoi coetanei, impegnati negli stessi percorsi, la sua morte deve esser sembrata qualcosa di davvero assurdo, troppo tragica per rimanere in silenzio, per non far sentire la loro solidarietà e vicinanza. Così, le studentesse e gli studenti il 28 gennaio hanno protestato in piazza contro le condizioni di insicurezza sul lavoro in cui versano milioni di lavoratori e lavoratrici e in cui, probabilmente, saranno costretti a barcamenarsi anche loro una volta terminata la scuola. Ma hanno protestato, anche, contro il Ministero della Pubblica Istruzione e il sistema dei PCTO, lamentando il fatto che la morte di Lorenzo rappresenta un drammatico segnale di qualcosa di distorto che è entrato nei sistemi educativi e rischia di corromperli dall’interno.

Loro hanno protestato pacificamente per essere ascoltati e, invece, sono stati ferocemente caricati e inspiegabilmente feriti dalla polizia.

Noi abbiamo atteso pazientemente che terminassero le diatribe tra i vari partiti per eleggere gli eleggibili alla carica di Presidente della Repubblica, un po’ preoccupati affinché non arrivassero al Quirinale soggetti con condanne passate in giudicato oppure capi dei servizi segreti, come nella migliore tradizione russa con un Putin del KGB, giacché in quel caso forse non avremmo più avuto la voglia o la possibilità di raccontare e denunciare ciò che in questo Paese ci pare vada un po’ storto.

Ma poi finalmente è arrivata la fumata bianca, Sergio Mattarella è stato eletto e noi abbiamo tirato un sospiro di sollievo per la nostra democrazia. Eppure ancora attendevamo le prese di posizione e le condanne ufficiali sulle cariche della polizia nei confronti dei nostri studenti e delle nostre studentesse che erano lì per manifestare legittimamente, così come nel 2001 a Genova qualche migliaio di studenti protestava legittimamente, ma veniva pestato a sangue in uno scenario da “macelleria messicana”, come ebbe a dire il vice questore Michelangelo Fournier davanti alle teste spaccate riverse in pozze di sangue nella scuola Diaz.

E, ancora una volta, però, dopo le manganellate e i pestaggi nei confronti dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze, eventi passati in secondo piano nell’agenda setting – del resto siamo in emergenza sanitaria con la kermesse sanremese alle porte –, non sono arrivate né scuse né spiegazioni, salvo poi comprendere, con la Ministra Lamorgese, che le responsabilità di quanto successo sono da attribuire a degli infiltrati nei cortei che avrebbero provocato la polizia. È così che si è proceduto ad una formattazione del conflitto, tendente a spostare l’attenzione, semmai si fosse destata, sugli eventuali, e peraltro anonimi, irresponsabili destabilizzatori dell’ordine pubblico, proprio come nel caso dei famosi Black Bloc al G8 di Genova.

Per il resto, anche il silenzio assordante del Ministro della Pubblica Istruzione Patrizio Bianchi suona alle nostre orecchie ancora più assurdo, proprio lui che si è speso pubblicamente sulla necessità di educare i nostri ragazzi e le nostre ragazze alla partecipazione democratica, formandoli come persone: «oggi potremmo rileggere questa funzione [la formazione della persona] come diritto individuale all’acquisizione delle conoscenze necessarie per poter consolidare la propria personalità e partecipare alla vita civile»[1].

E noi, da docenti pienamente coinvolti nei processi dell’educazione democratica, abbiamo creduto alle sue parole, abbiamo ritenuto possibile che i ragazzi e le ragazze potessero partecipare alla vita civile del loro paese e magari molti di noi li hanno anche incoraggiati a manifestare il loro disappunto, che, in realtà, nasceva da una preoccupazione seria per il significato e le condizioni in cui si svolgono alcune attività di PCTO, situazioni che preludono tristemente al destino lavorativo di chi, purtroppo, non ha sbocchi professionali solidi alle spalle, la cui solidità è garantita molto spesso dai loro genitori benestanti e iperprotettivi.

Ma davvero dobbiamo attendere che si concluda la kermesse sanremese, oppure il Grande Fratello VIP, per conoscere quali siano, alla fine, i veri motivi che hanno portato ad una così grave violazione della dignità umana e del corpo sociale intero, perpetrata, per di più, contro i più giovani e indifesi? Davvero coloro che devono prepararsi alla vita civile hanno impattato ancora una volta contro metodi tipici di una società incivile? E davvero dobbiamo attendere, come nel caso della scuola Diaz di Genova, che passino 20 anni prima di condannare questa logica malsana che passa costantemente dall’asettico Sorvegliare e Pulire all’asfittico Sorvegliare e Punire?

Ecco, parafrasando uno storico come Gaetano Salvemini, risalente ai tempi in cui gli intellettuali e gli insegnanti erano soliti tuonare dalle colonne dei giornali, sarebbe oltremodo auspicabile che ci decidessimo una buona volta a mettere in soffitta la parola astratta «scuola», per usare la parola concreta studenti[2] e studentesse.

Anche noi, quindi, in questo slancio che manifesta l’impegno sociale nel costruire nei luoghi e negli spazi adeguati la società civile, vogliamo affermarlo in modo semplice: sono le ragazze e i ragazzi a dover stare in piazza e non la polizia; sono i giovani che, in primo luogo, hanno il diritto di occupare gli spazi pubblici, ormai deserti, e non solo per colpa della pandemia, per discutere e intraprendere un dialogo sul valore della cittadinanza. Sono le nostre figlie e i nostri figli che dobbiamo porre al centro di ogni discussione politica per ritornare a dare senso alla vita civile.

E, tuttavia, per evitare che la scuola annaspi nella difesa solitaria dei principi liberali fondanti la nostra Repubblica, occorrerebbe che le altre istituzioni le vengano in soccorso con comportamenti adeguati, a partire dalla politica per finire alla politia…ops, perdonate il lapsus aristotelico più che freudiano, volevamo dire polizia.

[1] P. Bianchi, Nello specchio della scuola, il Mulino, Bologna 2020, p. 93.

[2] G. Salvemini, Dizionario delle idee, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 48.


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a cura di Michele Lucivero

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