14 Agosto, cosa farà Rucco in memoria dei massacri di Pontelandolfo, Casalduni, Campolattaro? O in memoria di Pier Eleonoro Negri…

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Chissà se anche il sindaco Francesco Rucco seguirà l’esempio del suo predecessore Achille Variati e dedicherà la mattinata odierna alla commemorazione dei martiri di Pontelandolfo e Casalduni. Chissà se preferirà stare sotto la lapide sul muro di casa Negri in piazza santo Stefano, o nella nuova piazzetta Pontelandolfo in Borgo Berga di fianco al Tribunale. Ma potrebbe anche fare un’inedita celebrazione in via Pier Eleonoro Negri, una viuzza dei Ferrovieri, che attende da tempo che qualcuno passi a magnificare le gesta dell’illustre concittadino. Oppure, potrebbe restare a casa, in vacanza.

Prima che seguisse la difficile integrazione nazionale, e prima ancora della controversa annessione del Veneto all’Italia, il numero di carabinieri e dei soldati nelle regioni meridionali, subito dopo la conquista sabauda, arrivò a 120mila unità. A queste vanno aggiunti i corpi della guardia nazionale attive in Italia fino al 1876. Lo attesta Franco Molfese, storico onesto e avveduto, a cui venivano sottratte le prove documentali mentre nei sotterranei del parlamento cercava di recuperare la verità sulla nostra storia unitaria. La sua “Storia del brigantaggio dopo l’Unità” è un testo ormai fondamentale della storia contemporanea, da cui risalta principalmente l’interesse a tenere celate le notizie che riguardano la conquista del “sud”. Dal suo lavoro in appresso, nessuno storico attuale si contenta di fare da altoparlante alla narrazione dominante, alla ridicola spedizione garibaldina e ai felici plebisciti.

Giustino Fortunato e Francesco Saverio Nitti, tra loro conterranei, precedono nella triste coscienza della verità unitaria Antonio Gramsci, il quale nel suo “Lanzo ubriaco“, un articolo sull’Avanti, così dipinge la storia unitaria: «…Lo Stato italiano ha dato il suffragio solo alla classe proprietaria, è stata una dittatura feroce che ha messo ferro e a fuoco l’Italia meridionale, e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di “briganti”».

E fu per il pretesto di proteggere la popolazione dai briganti che le colonne di Lamarmora e Cialdini passarono per le armi più di 10.000 persone con processi sommari. Le cifre sono incomplete nelle province considerate e totalmente assenti per quelle di cui non si dispongono dati ufficiali. Non si osa riportare il dato presunto, come fa invece Antonio Ciano, ne “I Savoia e il massacro del sud“.

Intanto il 7 agosto 1861, guidati da Cosimo Giordano, gruppi di sbandati renitenti alla leva scendono a Pontelandolfo, già abbandonata dai proprietari e dalle autorità, e raccolgono per via contadini presenti per la festa patronale. Viene proclamato un governo provvisorio allo stesso modo di come era avvenuto a Montemiletto e Montefalcione e in molti altri comuni irpini dell’insurrezione di luglio. Sicché Belli, il governatore di Campobasso, decise di mandare in avanscoperta una colonna militare di una cinquantina d’uomini. Questi, minacciati dalla popolazione, si scompongono e fuggono verso Casalduni, dove vengono raggiunti, processati e quasi tutti trucidati dai contadini. Il 13 dello stesso mese, vengono inviati due reparti di bersaglieri comandati dal colonnello Pier Eleonoro Negri, vicentino, con l’ordine di rappresaglia, che sorprende all’alba del giorno dopo i due villaggi perlopiù abitati da vecchi donne e bambini, senza gli autori delle uccisioni dei giorni precedenti. I paesi sono rasi al suolo, le donne stuprate, gli abitanti arsi vivi tra le macerie. Impossibile fare un’esatta conta dei morti, giacché i bersaglieri distrussero ogni traccia degli archivi comunali.

Sulla strada del ritorno, a Fragneto Monforte, il colonnello Negri inviò un telegramma al gen. Cialdini, il cui testo: “...Giustizia è fatta su Pontelandolfo e Casalduni, essi ardono ancora…” è la testimonianza del prezzo pagato dalle popolazioni meridionali per la conquista sabauda. Giacinto De Sivo, autore della magnifica “Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861“, espresse in diretta lo sconcerto per tale massacro. Così scriveva infatti nel sapido libretto de “I Napolitani al cospetto delle nazioni civili“: «Briganti noi combattenti in casa nostra, difendendo i tetti paterni, e galantuomini voi venuti qui a depredar l’altrui? Il padrone di casa è brigante, e non voi piuttosto venuti a saccheggiare la casa?»

Una delle prime leggi del parlamento unito, che porta la data del 23 febbraio 1861, diceva che era cominciata una nuova era per l’umanità: …si commina la multa e la carcere a chi maltrattasse un animale!… E intanto, sterminio d’uomini… Ecco la malafede con cui si inaugura la storia dell’Italia unita, una malafede di cui ancora paghiamo gli effetti.

Oltre all’eccidio di Bronte, e ai massacri di tanti altri borghi meridionali, De Sivo elenca gli stermini di quell’estate del 1861: “Venosa, la patria d’Orazio, ebbe il fuoco; fuoco e sacco ebbero Barile, Monteverde, S.Marco, Rignano, Spinelli, Carbonara, Montefalcione, Auletta , Basile, Pontelandolfo, Casalduni, Cotronei…“. Come affermò lo storico Denis Mack Smith, le vittime furono più numerose di tutti i soldati persi dal regno sabaudo nelle guerre di indipendenza contro l’Austria (che furono poco più di seimila).

Dopo quell’estate, i meridionali cominciarono ad emigrare.