Alain Finkielkraut, il filosofo insultato dai gilet gialli: “sporco ebreo”. Succede anche a Vicenza

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Alain Finkielkraut, è uno dei tanti, ma accade anche a Vicenza e nel resto del mondo. Alain Finkielkraut, filosofo, settant’anni a giugno, nato a Parigi da genitori ebrei polacchi scampati alla Shoà, è docente, esponente di spicco “dell’Intellighenzia parigina”, spesso opinionista in molte trasmissioni televisive e radiofoniche a sostenere riflessioni su contemporaneità, laicità, valore della repubblica, scuola, cultura, ebrei e ultimi conflitti sul pianeta.

Inizialmente favorevole ai Gilet Gialli ma ieri, quattordicesima puntata dei gialli, Alain Finkielkraut è stato attaccato dagli stessi lupi che sosteneva. “Sparisci sporco ebreo …”, La Francia è nostra“, “Ebreo di merda” e la parola “Palestina”, ma ditemi che cosa c’entra la Palestina con la Francia e i Gilet Gialli? In aggiunta ci sono anche le minacce di morte, perfettamente udibili: “Sei un nemico, stai per morire, andrai all’inferno“.

Alain Finkielkraut è stato allontanato dal luogo dalla polizia intervenuta per proteggerlo da una folla di odio. Ecco, ancora una volta, si allontana l’ebreo colpevole di essere ebreo e si lasciano correre gli aggressori! Allontanare l’Ebreo colpevole di esistere sì, ma mettere le manette agli aggressori no? Nel video, ripreso da Repubblica.it, alcuni degli aggressori sono arabi

A me è successo un episodio non di così grave entità, ma di simile matrice e intriso di bassa cultura e basso rispetto. Sabato 9 febbraio 2019 davanti all’entrata del mercato ortofrutticolo di Vicenza, verso le ore 10:30: uscita dall’Ufficio Postale ho visto un cane e mi sono avvicinata per accarezzarlo, ma  il cane è stato tirato indietro dalla proprietaria che mi ha detto “Io la conosco”, la mia risposta “Io non mi ricordo di lei”. “Lei è Paola Farina, io sono per la Palestina e contro Israele, se ne vada”.

Le ho chiesto di presentarsi e la risposta è stata “Non le dico il mio nome, se ne vada di qua”. Ovviamente non sono rimasta zitta “Me ne vado perché devo andare al supermercato, ma non perché lei mi caccia da un suolo pubblico ed è evidente, che non mi conosce abbastanza bene, perché l’individuo che mi da ordini, uomo o donna, importante o meno, non è ancora nato”. Mah, può anche darsi che sia nato morto perché non mi sono accorta della sua esistenza. Di Shabbat ho una leggera tendenza a limitare le risse, limitare, ma permane l’abitudine dii memorizzare “per ricordare”!

Riflettendo “tra me e me”, mi sono detta che l’anonima ha fatto bene a emulare il rituale dei poliziotti di Vicenza. Questo accade quando una Questura è costretta a fare delle scelte, non regolamentate da un codice e si trova, a volte contro la propria volontà, a partecipare per una parte o per l’altra, scegliendo quella che apparentemente può sembrare il male minore.

La scelta viene fatta da persone che, seppur di valore, hanno scarsa esperienza in antisemitismo proprio per le varie valenze che purtroppo riveste, le poche denunce che arrivano a buon fine e soprattutto la tolleranza buonista abituata ad assumere atteggiamenti compassionevoli nei confronti di quello che apparentemente sembra il più debole, ovvero avvantaggia il musulmano, meglio se palestinese (1,8 miliardi di musulmani contro 14,5 milioni di ebrei!…)

Mi sono rincuorata col fatto che Israele può contare su di me, perché io difendo Israele nel mio nome, ci metto la mia faccia e la mia testa, contro il nemico, ma anche contro le Istituzioni Governative italiane e israeliane quando, secondo me, assumono atteggiamenti che non giovano a Israele (chi sostiene che io sia molto amata, si sbaglia di grosso…conviene a più di qualcuno far finta di amarmi, è diverso…).

La cosiddetta Palestina, stato inesistente, ma che pretende di nascere è davvero sfortunata, perché essere difesa da un’anonima donnetta dallo spiccato accento meridionale, non le rende onore, sia chiaro non perché meridionale, ma in quanto anonima!

E’ facile gridare sporco ebreo e tutto il resto ad Alain Finkielkraut o a centinaia di meno noti Finkielkraut, spesso forti del volto coperto, sempre senza nome e cognome; i coraggiosi sono quelli che si presentano, gli altri sono solo degli stronzi che cercano di destabilizzare il sistema, ma anche rinfrescare le gengive e dar aria alle carie. Per lottare per un ideale, condivisibile o non condivisibile esso sia, ci vuole coraggio e la prima cosa che bisogna anteporre è la propria identità, per permettere al nemico di conoscerti, senza conoscenza non c’è alcuna possibilità di essere né vincenti, né perdenti, ma solo vigliacchi di M….

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Paola Farina
Nata a Vicenza il 25 gennaio 1954, studentessa mediocre, le bastava un sette meno, anche meno in matematica, ragazza intelligente, ma poca voglia di studiare, dicevano i suoi professori. Smentisce categoricamente , studiava quello che voleva lei. Formazione turistica, poi una abilitazione all’esercizio della professione di hostess di nave, rimasta quasi inutilizzata, un primo imbarco tranquillo sulla Lauro, un secondo sulla Chandris Cruiser e il mal di mare. Agli stipendi alti ha sempre preferito l’autonomia, ha lavorato in aziende di abbigliamento, oreficeria, complemento d’arredo, editoria e pubbliche relazioni, ha girato il mondo. A trent’anni aveva già ricostruito la storia degli ebrei internati a Vicenza, ma dopo qualche articolo, decise di non pubblicare più. Non sempre molto amata, fa quello che vuole, molto diretta al punto di apparire antipatica. Dove c’è bisogno, dà una mano e raramente si tira indietro. E’ generosa, ma molto poco incline al perdono. Preferisce la regia alla partecipazione pubblica. Frequenta ambienti ebraici, dai riformisti agli ortodossi, dai conservative ai Lubavitch, riesce nonostante il suo carattere a mantenere rapporti equilibrati con tutti o quasi. Sembra impossibile, ma si adegua allo stile di vita altrui, in casa loro, ovviamente.