#BelleStorie con Lucia Ascione, ospite speciale della Festa de La Voce

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Al telefono è così, come tutti la conosciamo in tv. Esplosiva, empatica, napoletana doc, una delle poche donne della tv che non ha paura di dire la sua età. Lucia Ascione, 54 anni, la giornalista di Tv2000 con una laurea in biologia, è la donna con la quale tutti vorrebbero andare a cena per parlare, confessare la propria storia, i segreti più intimi.
Il 14 dicembre, in esclusiva per il nostro giornale e per i nostri lettori, sarà lei a raccontarsi, intervistata da Andrea Frison. Dagli studi scientifici, alle levatacce per andare in diretta ogni mattina a “Bel tempo si spera”, dai personaggi che in trent’anni di tv ha incontrato, ai valori che l’accompagnano. L’appuntamento è con la festa del nostro giornale dal titolo #BelleStorie nel Seminario antico di Vicenza (ingresso viale Rodolfi), dalle 20.30.

Lucia, con la sua energia, il suo modo semplice ma intenso di parlare arriva al cuore dei telespettatori che la seguono numerosissimi. C’è un segreto?

«Ad ogni intervista regalo un po’ di me. Noi giornalisti dobbiamo sempre imparare a metterci dalla parte dei lettori, nel caso della carta stampata, e dei telespettatori, per chi fa tv. Ogni volta vivo le emozioni, le stroncature, come se le stessi ascoltando per la prima volta. Cerco di tirare fuori il meglio dalle persone mettendole a loro agio. Le loro sofferenze diventano le mie. Il rispetto prima di tutto, per tutti: dall’ultimo dei cuochi al primo degli scienziati, dal mio vicino di casa al grande cardinale».

Come prepara le interviste?

«Ho una squadra eccezionale, da quella tecnica con il regista Fabrizio Pieracci e il direttore della fotografia Claudio Di Virgilio, al capoprogetto Fausto Della Ceca con tutti gli autori, preparatissimi e straordinari. Alcuni di loro fanno anche 100 km ogni giorno per raggiungere la Tv. Ogni mattina entriamo tra le 5.30 e le 6, 6 giorni su 7. Sono orari che ti trasformano la vita. Io segnalo gli argomenti, ma lavoriamo insieme. Mi preparano delle schede e poi ci metto del mio.  Spesso incontro il personaggio da intervistare per la prima volta in studio. Non lo sento prima perché non voglio essere influenzata. A volte capita che l’incontro avvenga fuori dalla sala, ma non deve trapelare nulla. Solo così nascono cose bellissime. Chi nell’immaginario collettivo ha un cuore arido spesso si rivela un’altra persona. Nel nostro salotto i personaggi si raccontano in un modo nuovo e capita che dicano cose che non hanno mai detto prima». 

Le chiama poltrone magiche.

«Sì. Nel mio studio succede davvero qualcosa di speciale. C’è molta serenità, chiunque capisce che da parte nostra c’è solo la voglia di scoprirli senza nascondere  la verità, oltre il pettegolezzo. Alla base c’è grande correttezza e rispetto della persona».

Lavorando per la Chiesa il nostro modo di fare giornalismo si discosta dalle classiche tre S (sangue, sesso e soldi) che continuano a riempire i media tradizionali. Secondo lei le buone e belle notizie hanno futuro?

«Se migliaia di ragazzi sono scesi in piazza e continuano a farlo (Lucia si riferisce al movimento delle Sardine ndr) perché sono stanchi della politica urlata e non vogliono più sentire parlare male, significa che qualcosa davvero sta cambiando. Tante persone a casa hanno bisogno di immedesimarsi nelle storie di altri, di capire che il problema non è solo loro ma è condiviso, che c’è una soluzione, che ci sono persone che vivono le stesse dinamiche, le stesse sofferenze. 

Pensiamo ad esempio ad una storia di violenza femminile trattata con delicatezza, con i guanti bianchi, facendo però emergere la verità: sei, sette anni fa non avrebbe avuto lo stesso impatto di oggi. La nostra trasmissione porta i libri alle 7.30 del mattino. La gente di belle e buone notizie ha sempre bisogno. Finirà il tempo degli urlatori. Altrimenti non ci sarà più vita». 

Una delle ultime interviste che l’ha segnata.

«Ho appena intervistato il fratello di un uomo assassinato 30 anni fa. Fa volontariato nelle carceri dove c’è la possibilità che incontri l’omicida. Il perdono è possibile perché per primo fa stare bene chi perdona».

La fede e i valori cristiani come l’aiutano nel suo lavoro?

«Anche se il Signore chiede molto, una vita senza Dio è molto più complicata. Mi insegna a non fare le domande che non vorrei venissero fatte a me. A non infierire, anche se il giornalismo lo richiederebbe. Alcuni mi vorrebbero più “aggressiva”, ma sono fermamente convinta che le fragilità non vanno messe a nudo in un salotto».