Buon Natale (forse)

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Buon Natale
Buon Natale con Anmil (Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro )

Si avvicinano le festività natalizie e, per tradizione, dovremmo essere tutti più buoni, guardarci intorno, gioire della felicità dei bambini, del loro stupore di fronte ai regali, del loro credere a Babbo Natale. Dovremmo sperare che con un semplice Buon Natale tutto andrà per il meglio, che finiranno le guerre (tutte e non solo quella in Ucraina), che la fame sarà solo un ricordo, che le armi non serviranno più … E quanti auspici, quante promesse ci facciamo, quanti bei propositi siamo disposti a controfirmare con l’augurio di un Buon Natale.

Poi si guarda la realtà ed è completamente diversa. Guerre che non ci si ricorda più quando sono iniziate (facciamoci, per esempio, una domanda: ci ricordiamo, forse, della guerra in Yemen?) e che ignoriamo che esistano dal momento che sono diventate talmente normali che non fanno più notizia. Sembrano una specie di rumore di fondo, inizialmente fastidioso al quale, un po’ alla volta, ci si abitua e non lo si sente più. E poi, sfruttamento, speculazioni, povertà crescente, insicurezza. Cose che dovrebbero essere all’ordine del giorno ma che, spesso, vengono messe da parte.

Così, ed è sempre solo un esempio, se conosciamo cosa sta succedendo in Iran, non veniamo informati che in Perù è in atto un colpo di stato (dicono “istituzionale”), che è stato proclamato lo stato di emergenza. Non sappiamo che ci sono manifestazioni, blocchi stradali, occupazione di aeroporti, che la parte del popolo più umile e disagiata si sta ribellando, che nei cartelli si scrive “ci avete rubato tutto, persino la fame”. Ignoriamo che ci sono una trentina di persone uccise dalle “forze dell’ordine” e che molti di questi morti sono molto giovani, anche minorenni di 14, di 15 anni.

Così non ci ricordiamo che in una cella di un carcere di massima sicurezza britannico un uomo, Julian Assange, sta aspettando di essere estradato in USA dove, se non cambiano le cose, verrà condannato per aver reso disponibili al mondo notizie vere sulle nefandezze delle guerre scatenate qui e là da quei governi democratici ai quali siamo contenti di essere parte. Assange è là, rinchiuso da quasi 4 anni, senza essere stato condannato. Ma, per tanti, va bene così.

Come va bene che Leonard Peltier sopravviva, da 47 anni, recluso in carceri statunitensi. Condannato a due ergastoli, nonostante sia da tempo emersa la sua innocenza. Ma Peltier è un indiano d’America, un attivista che lotta per i diritti del suo popolo e, per questo, è bene sia rinchiuso e, soprattutto, che non si sappia la sua storia, che si ignori come, anche in questa parte del mondo così moderno e progredito, possano esistere ingiustizie che dovrebbero farci indignare.

Com’è normale, per chi comanda, che vengano minimizzate o coperte dal silenzio alcune questioni del mondo del lavoro. Fatti che avvengono qui da noi, nel nostro “belpaese”. Sfruttamento, salari insufficienti a condurre una vita dignitosa, cancellazione di diritti, precarietà diventata forma normale di lavoro, competizione esasperata tra chi lavora, innovazione tecnologica dedicata a produrre profitto. Garanzia di salute e sicurezza sul lavoro intesa principalmente come un costo che ostacola, appunto, il guadagno. Ed è di questo che è giusto parlare, oggi come in qualsiasi altro giorno.

Come scrive Carlo Soricelli dell’Osservatorio Nazionale di Bologna morti sul lavoro: “Da inizio anno sono morti complessivamente 1487 lavoratori, 745 di questi sui luoghi di lavoro, gli altri sulle strade e in itinere (sono stati 692 nell’intero 2021 i morti sui luoghi di lavoro, esclusi i morti per covid e ovviamente i morti sulle strade e in itinere)”.

Buon Natale, allora, mi troviamo di fronte a una tragedia. Ce l’abbiamo davanti agli occhi e ci ostiniamo a non vederla, a non considerarla, a crederla inevitabile.

Chi ci governa e chi discute e vota leggi in Parlamento, cosa fa? Niente o poco più. Ci si “dimentica” di arginare il disastro. Lo si fa per distrazione? Può darsi ma è logico porsi, almeno, qualche dubbio. Non è, forse, che ci si stia semplicemente abituando all’indifferenza?

Di fatto, per esempio, nella legge di bilancio di cui tanto si parla in questi giorni, è difficile trovare qualcosa che possa contrastare il dramma della mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro.

Ecco, anche perché siamo prossimi al Natale, sarebbe giusto ricordarsi di non dimenticare chi si infortuna, chi si ammala, chi muore sul lavoro. Si badi bene, non a causa di esso, perché le vere responsabilità sono altre e di altri. Di chi sfrutta il lavoro altrui, per esempio, di chi specula, di chi crede che il profitto venga prima della salute e della vita, di chi risparmia sulla sicurezza di lavoratrici e lavoratori.

È un dovere promettersi di fare qualcosa, ognuno quello che può.

Chi deve informare, informi.

Chi governa e chi è in Parlamento trovino la soluzione per risolvere le cause di questa strage.

Chi può lottare, lo faccia e a testa alta.

La richiesta non può che essere quella di considerare le morti sul lavoro (per infortunio o malattia) “omicidi sul lavoro” che hanno sempre un perché e dei responsabili.

In questa battaglia tra diritto al lavoro e profitto, nessuno può considerarsi escluso. Siamo tutti coinvolti.

Allora, Buon Natale (forse).

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Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.