Per Cingolani più cultura tecnica, per Bianchi bisogna uscire dall’efficienza taylor-fordista. “Filosofia in Agorà”: come cambia la scuola

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Roberto Cingolani, Patrizio Bianchi
Roberto Cingolani, Patrizio Bianchi

di Michele Lucivero e Andrea Petracca. Hanno fatto discutere le parole pronunciate dal Ministro della Transizione ecologica, il fisico accademico Roberto Cingolani, il 25 novembre al TG2Post sulla necessità di puntare maggiormente sulla “cultura tecnica” rispetto alla “cultura umanistica”, ironizzando con un eufemismo sul fatto che, ad esempio, nel sistema scolastico italiano si studia il medesimo evento storico, come le Guerre puniche, per quattro volte.

Ne è venuto fuori un pandemonio e molti si sono schierati pro e contro Cingolani, non tanto per difendere la cultura umanistica, perché su quella ormai nessuno è più disposto a investire, ma per capire, in realtà, quante volte si studiano le Guerre puniche e chi le abbia poi vinte.

È dovuta intervenire l’ex Ministro all’Istruzione Lucia Azzolina a fare chiarezza e, alla fine, si è capito che la metà delle volte citate da Cingolani è già sufficiente, a meno che un ragazzo o una ragazza non sia ripetente un anno alla scuola primaria e uno alla scuola secondaria di primo grado, il che, ormai, è diventato abbastanza raro.

Tuttavia, a giudicare dalla frequenza con la quale i sistemi d’istruzione italiani diventano oggetto di riflessione, è evidente che una riforma radicale dei programmi, degli obiettivi formativi e delle finalità della nostra scuola sia necessaria. Così come si rende necessario andare al di là dei palliativi di raccordo tra scuola e impresa che oggi preferiamo chiamare con anonimi acronimi, PCTO, proprio per evitare una semantica connotativa oltremodo chiara e pregiudicata, come poteva essere l’Alternanza Scuola-Lavoro, che sembrava dovesse indurre alla tentazione (deplorevole espressione, epurata perfino dal Padre Nostro) di scegliere tra una o l’altro.

Su questo argomento uno spunto di riflessione lo offre l’attuale Ministro della Pubblica Istruzione prof. Patrizio Bianchi nel suo testo Nello specchio della scuola[1] del 2020, in cui afferma che uno degli obiettivi imprescindibili per il futuro della società italiana è il superamento del sistema frammentato Taylor-fordista applicato al mondo della scuola, in particolare secondaria; un sistema che vive dell’isolamento delle discipline, della mancanza dell’interdisciplinarietà e che ha mostrato molti limiti, e non sono sul piano dell’applicazione al mondo industriale, ma soprattutto per la limitatezza della sua prospettiva di sviluppo antropologico e sociale.

Constatiamo, in primo luogo, che questo obiettivo era già individuato nei termini di inter-poli-trans-disciplinarità da Edgar Morin in un testo ormai classico del 1999, La testa ben fatta[2], in cui sosteneva che ogni riforma dell’insegnamento dovrebbe partire da una necessaria riforma del pensiero atta a migliorare l’attitudine ad organizzare la conoscenza, orientandola verso l’interdipendenza di ogni ambito del sapere.

E, tuttavia, notiamo pure che il quadro antropologico entro il quale è oggi inserita non solo la scuola ma, in generale, la totalità dei processi educativi e formativi connessi con la crescita e lo sviluppo della persona umana o dell’individuo sociale, è passato dal contestabile sistema frammentato Taylor-fordista americano direttamente all’altrettanto americana ideologia della conquista del successo individuale.

Al di là della sterile diatriba, che coinvolge solo gli accademici e i cosiddetti Stakeholders (cioè coloro i quali ne traggono benefici), tra “cultura umanistica” e “cultura tecnica”, sulla quale, bisogna dirlo, vuole insinuarsi la necessità di generare Istituti Tecnici Superiori, perlopiù privati, per generare malleabili lavoratori e lavoratrici, la verità è che oggi i ragazzi e le ragazze sono affascinati/e dal mito delle persone che si sono fatte dal nulla, mito sostenuto a livello mediatico dalla spettacolarizzazione del successo e dall’urgenza di scoprire nuovi talenti, la maggior parte dei quali naufraga rovinosamente nell’arco di pochi anni.

Ciò che appare chiaramente allo sguardo critico è che nel passaggio dalla frammentazione Taylor-fordista all’esaltazione del Talent scouting vibrante nel ritornello dell’Uno su mille ce la fa, si dimentica che la vocazione dell’umanità starebbe, in effetti, nel pensare prima ai novecentonovantanove che non riusciranno a farcela.

Così, lasciandoci sollecitare sino in fondo dal testo del Ministro Patrizio Bianchi (e da quello di Morin), vorremmo affermare che è l’interconnessione tra le persone il primo valore da riportare al centro della discussione politica e culturale, quel pensare politicamente, cioè, che pare smarrito, mentre nella peggiore modernità l’ideologia del successo raggela la frammentazione disorganica della comunità, lasciando permanere, in sostanza, la stessa dinamica individualistica che caratterizza il Taylor-fordismo seppur dissimulata nell’illusoria possibilità di quell’Uno su mille di accedere al rango delle persone che contano: in fondo, per dirla con le parole di Hannah Arendt[3], pare che nel tentativo di superare la logica della mera sopravvivenza dell’Animal laborans, si sia rimasti invischiati nella dinamica individualistica del Homo faber ipsius fortunae, ma il grande assente dalla discussione rimane lo spazio pubblico della politeia in cui si muove lo zoon politikon che necessita di Paideia.

[1] P. Bianchi, Nello specchio della scuola. Quale sviluppo per l’Italia, Il Mulino, Bologna 2020.

[2] E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.

[3] Cfr. H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Sonzogno 1988.


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a cura di Michele Lucivero

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