Dietro sofferenze bancarie cedute a finanza speculativa ci sono famiglie e imprese in difficoltà. Il Fatto: governo tutela creditori, ma gli insolventi possono ancora difendersi

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Nel Libro dell’Esodo si narra delle 10 piaghe d’Egitto e, tra queste, dell’invasione delle locuste. Nel linguaggio colorito della finanza, si chiamano fondi locusta alcuni fondi finanziari speculativi per indicare il senso della loro missione: spolpare tutto ciò che è spolpabile, lucrare il più possibile da coloro che non sono stati in grado di onorare totalmente i debiti che hanno contratto con le banche, anche a costo di rovinarli completamente. Nel linguaggio finanziario questi fondi vengono anche chiamati fondi avvoltoio, perché come gli avvoltoi si nutrirebbero degli animali morti abbandonati dai predatori.

Il paragone è crudele, ma implica che i fondi svolgano una funzione salutare, liberando l’ambiente dai resti infetti di animali che erano troppo deboli per sopravvivere. Il nome di sofferenze bancarie sottolinea invece il disagio della banca e di chi non è in grado di onorare totalmente i debiti. Tuttavia, piuttosto che cruenti paragoni con la cieca lotta animale per la sopravvivenza o di nomi ispirati alla compassione umana, la stampa preferisce spesso usare un linguaggio più neutro. Si parla allora di Non performing loan (“prestiti che non funzionano”), o in modo cifrato di “Npl”. E sono proprio gli Npl, erogati ieri anche con superficialità e azzardo a chi non poteva restituirli, che qualifica il fenomeno della degenerazione del “capitalismo di relazione”, ma su questa degenerazione non si fa luce. Invece, le banche sono “spintaneamente” costrette a vendere gli Npl, anche a un tozzo di pane (tra il 5% e il 25% del loro valore bilancistico), per curiosa convergenza di indicazioni perentorie della Banca centrale europea e degli appetiti speculativi.

Funziona così. La banca vende il credito in sofferenza a un fondo locusta, e sarà il fondo il nuovo proprietario del credito e delle garanzie correlate. Le garanzie sono la componente golosa dell’affare finanziario dei fondi locusta.

Gli ultimi governi hanno aggravato la situazione per i debitori perché hanno approvato leggi per accelerare i tempi delle azioni giudiziarie e incrementare gli strumenti giuridici di aggressione contro il debitore e il suo patrimonio. La banca tradizionale tendeva a non diventare troppo aggressiva. Il fondo locusta, al contrario, non ha nessuna remora e tenderà ad aggredire il debitore con tutti gli strumenti giuridici a sua disposizione; tale è infatti la natura della locusta.

Il valore delle vendite di Npl delle banche è impressionante: nel 2017 oltre 70 miliardi e raggiungono l’agghiacciante cifra di 118 miliardi nello scorso quinquennio. Nel 2018 si stimano vendite tra i 70 e gli 80 miliardi. Insomma, in soli sei anni quasi 200 miliardi di Npl che, ineluttabilmente, si trasformano in centinaia di migliaia di azioni esecutive immobiliari, delineando la preoccupante prospettiva di arrivare a mezzo milione di sfratti nel corso del solo 2018.

Dal punto di vista della banca, la vendita di Npl all’ammasso e a prezzi vili, appare metodica autolesionista; anche perché studi quantitativi dimostrano che il recupero eseguito direttamente dalla banca rende almeno il doppio rispetto alla vendita agli speculatori. Nessuno è poi stato in grado di dimostrare che la banca possa riprendere con vigore l’erogazione del credito e dunque dello sviluppo economico, dopo aver consegnato i propri clienti sofferenti alle mandibole giuridiche dei fondi locusta. Eppure la Bce appare dominata dalla inflessibile determinazione che vi sia necessità di una effettiva soluzione finale del problema degli Npl e che questa sia quella di utilizzare la tecnica di incentivare la speculazione finanziaria.

Occorre ricordare che i fondi locusta promettono pingui lucri ai loro finanziatori con un rendimento variamente oscillante intorno al 15% l’anno e che i costi d’asta e connessi raggiungono anche il 25% del valore dell’incanto. Mentre gli speculatori si arricchiscono, il debitore assiste impotente alla cessione del suo credito da parte della banca.

Rischia di vedersi così come gli viene suggerito: come un cattivo pagatore, un peso inutile, un inetto che merita di essere stritolato dalla competizione sociale. È importante invece che, per salvaguardare se stesso e la sua incolpevole famiglia, il debitore che è stato ceduto ai fondi locusta lotti con energia sin dal primo momento, ingaggiando una corsa contro il tempo delle scadenze dei termini di opposizione ai decreti ingiuntivi. Ma in questa lotta è importante che la situazione sia resa chiara sin da subito: qui non ci sono in ballo piaghe bibliche a cui non si può sfuggire, né sigle inglesi comprensibili solo ai tecnici, ma la ben nota ingordigia degli speculatori, contro cui è necessario e giusto difendersi e lottare, anche ricordando l’ammonimento del professor Federico Caffè ai suoi allievi: “Al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo dei riequilibri contabili”.

di Giovanna Leone* e Alfonso Scarano**, da Il Fatto Quotidiano
*Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale CORIS, Sapienza Università di Roma.
]*Analista finanziario indipendente