Alessandro Di Battista a muso duro contro Macron “colonialista”

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Alessandro Di Battista contro Macron a Che tempo che fa con Fazio
Alessandro Di Battista contro Macron a Che tempo che fa con Fazio

Alessandro Di Battista a muso duro contro la Francia (che reagisce, ndr). Questa volta non per rivendicare la necessità di un’accoglienza comune, ma per indicare le responsabilità delle migliaia di partenze dalle coste libiche verso l’Europa. Così ieri il Movimento 5 Stelle ha alzato il tiro contro Parigi, rinfacciando alla Francia quel colonialismo che ancora oggi, come un rigurgito della dominazione politica dei secoli scorsi, permette di avere il controllo sulle economie dei paesi centro-africani. Il traino perfetto per quella parte di campagna elettorale che sarà portata avanti da Alessandro Di Battista, da poco tornato dal Sud America.

Ieri l’ex parlamentare, ospite a Che tempo che fa su Rai Uno, ha persino mostrato in studio una finta banconota del Franco, stracciandola in diretta: “Se non affrontiamo il tema della sovranità monetaria in Africa, noi non ne usciamo. La Francia stampa la moneta usata in 14 Paesi sub-sahariani, i quali per mantenere il tasso fisso con l’Euro versano soldi su un conto gestito da Parigi, con cui pagano una percentuale del debito e attraverso cui la Francia gestisce la sovranità di questi Paesi, impedendo loro la legittima indipendenza”.

Inutile quindi parlare di salvataggi in mare e soluzioni a breve termine: “Fino a quando non si romperanno queste manette possiamo parlare per ore di porti aperti o chiusi, ma la gente continuerà a scappare”. Di Battista vede come necessario uno “scontro diplomatico” con la Francia, ribaltando uno dei più noti slogan leghisti: “Non si tratta di aiutarli a casa loro, si tratta dei francesi che devono tornare a casa loro”. Concetti simili a quelli che Di Battista aveva espresso due settimane fa, ospite a Accordi e Disaccordi, quando aveva accusato Emmanuel Macron “di fare la morale mentre controlla il debito africano”.

È su questo terreno dunque che il Movimento 5 Stelle prova adesso a togliere alla Lega il monopolio del dibattito attorno all’immigrazione, spostando il bersaglio dai migranti a chi ne causa la partenza: la colpa dell’emergenza, sostengono i grillini, non è degli italiani ed è giusto forzare la mano con l’Europa, ma le morti in mare e i continui sbarchi sono comunque conseguenza di uno sfruttamento di cui sono vittime gli africani.

Il concetto, in questi termini, non sta a cuore soltanto all’ala terzomondista del Movimento, quella rappresentata da Di Battista, ma anche al profilo governista di Di Maio. Il vicepremier, ieri in visita a Avezzano, a L’Aquila, già nel pomeriggio aveva dettato la linea: “Se la Francia non avesse le colonie africane, che sta impoverendo, sarebbe la quindicesima forza economica internazionale, invece è tra le prime grazie a quello che combina in Africa”.

Lo sfruttamento di quei territori, secondo Di Maio, è il presupposto per le continue partenze: “Se oggi la gente parte dall’Africa è perché ci sono Paesi, come la Francia, che continuano ad avere delle colonie di fatto in Africa, imponendo il franco in quei territori e finanziandosi il debito pubblico”.

Ma il posizionamento del Movimento è figlio di un pensiero anti-coloniale non certo nuovo nel panorama politico, come dimostrano alcune reazioni alle parole di ieri dei 5 Stelle. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha infatti rivendicato come la lotta allo sfruttamento francese sia un’antica battaglia della destra sociale: “Finalmente anche la sinistra si accorge che alla base dell’immigrazione ci sono il neocolonialismo francese in Africa e l’usura fatta con la moneta coloniale. Lo denunciamo da mesi in totale solitudine”. Il concetto era stato in effetti condiviso ieri non solo dal Movimento 5 Stelle, ma anche da Stefano Fassina (ex LeU, ora Patria e Costituzione): “Quando chiederemo ai governi europei di fermare le politiche neocoloniali, perseguite spietatamente come fa la Francia?” Domanda retorica a cui adesso il Movimento promette di dare una risposta.

di  Lorenzo Giarelli, da Il Fatto Quotidiano