Dopo il whistleblowing e prima del reddito di cittadinanza la legge sul mobbing

155

Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona…“. Questo è l’inizio del nuovo art. 613-bis del c.p. sulla tortura, che con la legge del 14 luglio 2017, n. 110, votata dal PD e da Alfano, contrari FI, la Lega e la destra, desistenti la sinistra e il M5S, ha dato all’Italia una legge che l’Europa ci chiedeva da 30 anni.
La deputata Businarolo, autrice della legge sul Whistleblowing, assieme ai suoi colleghi del Movimento, si astennero perché consideravano la legge incompleta, semmai introduttiva ad affrontare il reato di tortura, ma senza veri strumenti per combatterla.

Per quanto la legge sia incompleta e forse generica, non posso fare a meno di notare una certa corrispondenza con la lotta a un gran male dei nostri tempi, il mobbing.

Nell’età antica la maggior parte del lavoro umano era prodotto da schiavi; i pochi luoghi del pianeta dove federazioni di piccoli proprietari producevano attività in proprio, sono stati anche i luoghi della libertà e delle istituzioni premoderne. Al lavoro dipendente però è restato il triste retaggio della servitù, delle antiche catene ora rappresentate dalla necessità del salario e dalle leggi che tutelano il dislivello di autorità tra padrone e subalterno. Mentre nelle nostre società spuntavano gli obblighi di legge per i datori di lavoro e per i dirigenti, allo stesso tempo fioriva una barbarie che all’insaputa delle leggi garantisce sui posti di lavoro il consolidamento del profitto e la guerra delle carriere.

Il pensiero dominante ha continuato indisturbato a tessere le lodi del lavoro, della sua funzione di libertà, di emancipazione. Persino la legge costituzionale ha voluto una Repubblica fondata sul lavoro, ma nei fatti non produce alcuna garanzia: non tutela salari, non argina il disprezzo che il lavoro subisce dal Capitale. Ma come si può disprezzare il lavoro se non si riduce in schiavitù il lavoratore? Come si può garantire il plusvalore senza seguitare con una legislazione sbilanciata, senza che una magistratura connivente produca sentenze costantemente favorevoli al padrone? I parrucconi della Cassazione, maestri di diritto e di morale – la più parte delle volte arretrati di decenni sul resto della società – continuano a dare indicazioni contrarie alle leggi in vigore e alle speranze dei cittadini.

Il razzismo ha spesso gli stessi aspetti del mobbing e nasce dal medesimo sentimento. Il primo reprime la competizione delle abilità naturali e culturali, svaluta il lavoro altrui per diminuirne il costo, soffoca gli atteggiamenti schietti e minaccia di porre in atto all’evenienza sistemi di offesa che si avvalgono della compiacenza dell’autorità, dell’appoggio della maggioranza e del potere del denaro. Col secondo si riproducono gli stessi percorsi che la folla, il “mobile vulgus”, mette in atto contro il singolo. Sicché, troppo spesso, un ambiente senza specifiche garanzie, abbandona un soggetto isolato alla reazione dell’autorità o della maggioranza nemiche della contestazione palese o implicita che le sue capacità fanno al gruppo di lavoro.

Il ricatto è sempre il salario. E’ l’estinzione del rapporto di lavoro, la fine della schiavitù del mobbing, l’inizio della persecuzione della povertà. Da qui, la natura molestata e l’impossibilità di trovare una via d’uscita, regalano al malcapitato il disturbo post traumatico da stress, la “disperazione appresa”, la malattia da cui non si guarisce, il delitto perfetto, l’assassinio senza castigo eseguito dal sistema. La Repubblica fondata sull’abuso del Capitale e delle sue autorità uccide di soppiatto i lavoratori e deprezza il lavoro, specie quello vero, quello rappresentabile FxS (forza per spostamento). La repubblica dell’abuso detesta il reddito di cittadinanza, ché mitigherebbe non poco la barbarie del mobbing, contrasta una seria legge in materia, poiché teme per il profitto dei padroni.

Quando, nel dicembre scorso, la deputata del M5S Francesca Businarolo passò per Vicenza per presentare la sua legge sul Whistleblowing e difenderla, si capì immediatamente che il luogo di lavoro aveva bisogno ancora di altre norme che tutelassero i salariati. La disuguaglianza di classe nasce proprio dalla barbarie del lavoro dipendente, e questa vacanza legislativa non fa altro che tenere acceso il suo motore. Che sia un parlamentare a 5 stelle o un altro poco importa, ma è ora di dare un esempio di civiltà, di civiltà italica al mondo.