Franco all’Economia, Palombi sul Fatto: “restaurazione Draghi-Mattarella, ritorno a linee guida BCE sull’austerità”

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Daniele Franco
Daniele Franco

Avolte le cose si mettono in modo tale che i nudi fatti e il loro senso più profondo finiscono per coincidere in un semplice simbolo: è il caso del nuovo governo Draghi, un tentativo – si vedrà quanto riuscito – di riportare le lancette dell’orologio indietro di dieci anni, quando i barbari che trionfarono alle elezioni del 2018 col crollo contemporaneo di Pd e Forza Italia erano solo un allarme indefinito nel grande deserto fuori dalla fortezza Bastiani.

Per capirci, dobbiamo partire dai nomi di due ministri: quello dell’Economia Daniele Franco e quello della P.A. Renato Brunetta. È quest’ultimo ad aver raccontato nel suo libro Berlusconi deve cadere. Cronaca di un complotto (2014) che fu Franco a lavorare in Italia alla famosa (o famigerata) lettera della Bce al governo Berlusconi dell’estate 2011. All’inizio di agosto di dieci anni fa, Brunetta – così scrive lui stesso – viene a sapere che la Bce sta preparando la missiva e avverte Berlusconi: l’allora premier chiama il governatore di Bankitalia (in procinto di trasferirsi a Francoforte) Draghi, che conferma e spiega che a Palazzo Koch se ne sta occupando Franco. Brunetta organizza un incontro e quello “dopo dieci minuti era già da me in piedi con delle carte in inglese in mano”: “Non so ancora oggi dove quelle carte fossero state materialmente elaborate, se in sede Bce o in altra sede, magari in Banca d’Italia. So che Franco me le illustra, dandomi sostanzialmente la linea guida del documento”.

La lettera arriverà formalmente l’indomani con le firme di Draghi e del suo predecessore Jean Claude Trichet. Le sue “linee guida” da allora hanno di fatto rappresentato il programma informale di tutti i governi italiani: consolidamento fiscale (austerità), liberalizzazioni, privatizzazioni, flessibilità nel mercato del lavoro e tutto il resto della paccottiglia ideologica ottocentesca che così pessima prova di sé ha dato in Europa in questi anni. Quel programma, i suoi effetti, i suoi sponsor sono stati metaforicamente bocciati alle elezioni di tre anni fa e oggi un’assai ben congegnata operazione di Palazzo tenta di far tornare indietro il tempo.

La presenza simbolica dell’uomo macchina di quella lettera aiuta a illuminare il senso politico di questo governo costruito da Draghi e ancor più da Sergio Mattarella, anche grazie ai buoni uffici del segretario generale del Quirinale Ugo Zampetti, già dominus di Montecitorio. Qual è questo senso politico? La normalizzazione, la restaurazione a voler restare nell’ambito dei ricorsi storici. Il governo Draghi nasce sterilizzando gli elementi anti-sistema che avevano preso il centro della scena: oltre al Pd e ai suoi satelliti, un’area che non sa stare lontano dal governo, dentro l’esecutivo finisce la Lega liberaloide e padana degli affari, non quella che si voleva nazionale e scopriva a suo modo l’intervento pubblico; il M5Sdepurato di qualunque velleità di cambiamento dell’esistente; quel pezzo di Forza Italia che già si preparava a traslocare. Se volessimo personificare, anche se si rischia l’imprecisione: entra Giorgetti e non Salvini, Di Maio e non Di Battista, Gianni Letta e non Berlusconi.

L’operazione Draghi-Mattarella – che stavolta gioca un ruolo attivo, esplicitamente politico, alla Napolitano – tenta di levigare il quadro politico, di ripulirlo dalle asperità che minacciavano lo status quo: l’effetto secondario è creare l’humus perfetto per la creazione di un’unica sigla di centro liberal-popolare che riunisca i cespugli finora dispersi tra renziani, berlusconiani, calendiani e quant’altro, un auspicabile – in questo gioco – futuro ago della bilancia.

Ridotti a un elemento neanche centrale dell’establishment i 5 Stelle, l’esecutivo Draghi ha anche l’effetto non secondario – via Recovery Plan – di coinvolgere la Lega di Matteo Salvini nel disegno del bilancio e delle politiche pubbliche del prossimo quinquennio: il pilota automatico, insomma, è programmato anche per il dopo-elezioni. Riuscirà il giochino? Difficile da dire, molto dipenderà dai risultati: persino per il panem et circenses c’è bisogno del pane.

Marco Palombi sul Fatto Quotidiano