Il razzismo ideologico in Italia: Vicenza ne è immune?

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“Se vedi qualcosa di nero, spara o è un fascista o è un carabiniere”. Non so quanti ricordano questo slogan e le sue varianti:” se vedi un punto nero….”; esso ha segnato un’epoca, quella in cui degli eredi più o meno consapevoli e neofiti della guerra civile che insanguinò l’Italia e molti lutti procurò tra il 1943 e il 1945 con code anche negli anni successivi. L’Italia purtroppo nel secolo XIX e ancora oggi è segnata dalla violenza politica, originata in particolare già a fine ottocento dalle rivolte operaie e dalla loro repressione (Bava Beccaris), accentuatesi soprattutto dopo che il modello rivoluzionario comunista ebbe la meglio in Russia e fondò un nuovo Stato, la cui origine è segnata geneticamente dalla violenza, vero mezzo per la conquista del potere come affermavano F. Engels e K. Marx.

Solo dopo l’ascesa alla Presidenza del Consiglio di Benito Mussolini, esse cessarono nella popolazione, anche se episodi gravissimi di violenza politica vi furono sia negli anni venti sia in quelli successivi (delitto Matteotti, Fratelli Rosselli…) . La violenza politica, lo scontro si fece durissimo dopo il 25 luglio 1943, giunse al suo apice e non fu quella contro le truppe della Germania che “presidiavano” la Repubblica Sociale Italiana e nemmeno quella contro le truppe della neonata repubblica, furono quelle che si consumarono all’interno delle formazioni partigiane, di cui, è scorretto parlare. Nemmeno il Comitato di Liberazione Nazionale riusciì a porre un forte freno alla violenza politica, che addirittura proseguì (cfr. volante rossa) anche, dopo la fine del conflitto. Si deve però ai politici che ragionavano da statisti cercare una relativa pacificazione, che in talune zone, (Reggio Emilia in particolare) su più di superficie, tanto che si narra che sempre pronte erano in quella zona delle formazioni partigiane, pronte ad operare contro la possibilità della rinascita del fascismo.
Fino ai primi anni sessanta del secolo scorso una relativa tranquillità, complici le necessità del dopoguerra e il boom economico. Con i Fatti di Genova del 30 giugno 1960 e la durissima opposizione al Governo Tambroni, ritorna la violenza politica che la sinistra , allora il partito comunista Italiano, organizza con precisione e con l’obiettivo di contrastare quello che è chimato il tenattivo doi colpo di Stato del generale Giovanni De Lorenzo, comandante dei Carabinieri. L’Arma era sospettata di avere al suo interno un nucleo “golpista”. La cosa, come sappiamo finì, ma servì per parlare in continuazione di una necessaria vigilanza e una lotta ad oltranza contro i “fascisti”. Il cosidetto “’68” acuì questa prospettiva, di cui lo slogan citato è solo uno dei tantissimi segni di violenta contrapposizone che non riguardarono solo i nostalgici mussoliniani, ma anche i carabinieri, i celerini, suscitando l’indignata protesta dello scrittore Pier Paolo Pasolini e di pochi altri. Il terreno dello scontro si spostava da una lotta contro una parte politica ad una lotta contro lo Stato che raggiunse il suo apice con il sequestro e l’assassino di Aldo Moro, ad opera delle Brigate Rosse, che non erano “nere” come diceva Sandro Pertini. Nemmeno il generale Alberto Dalla Chiesa che pure sconfisse le Brigate Rosse milanesi, riuscì a impedire l’escalation della violenza. Accato alle Brigate Rosse, i Nuclei armati proletari, Potere Operaio, Proletari in Divisa, Lotta continua stessa, ecc., tutte formazioni che non lottavano contro il possibile fascismo, che intanto aveva operato ed operava, ma contro lo Stato, reo di non essere o meglio di non diventare “compagno”.
La sinistra fu protagonista sempre e comunque della violenza, mascherandosi dietro un pacifismo di maniera, mai ha “educato alla pace”, anzi la pace sarebbestata possibile quanto fossero stati eliminati, fisicamente, tutti gli oppositori, Un copione già visto in Russia e nei paesi dell’est Eruopa e negli anni settanta anche in oriente: il massacro operato dai khmer rossi e non ricordiamo la Cina, la Corea del Nord, il Vietnam del Nord e Cuba. All’insegna della assoluta intolleranza verso chi non era “dalla loro parte” si designavano i nemici come fascisti, ignoranti, guerrafondai, ed ogni altra sorte di offese, considerandosi sempre e comunque i migliori, i più capaci, fors’anche i più belli. Invadendo ogni istituzione, perfino l’esercito, l’intolleranza ha insegnato nelle scuole un verbo che non ha dato mai spazio ad una vera prospettiva di convivenza, se non al prezzo di rinunciare alle proprie idee. Un razzismo ideologico totale, di cui perfino i film italiani, finanziati da Pantalone, erano protagonisti.
Tutto naturalmente all’insegna del politically correct. Un atteggiamento che dura anche oggi, con nuove parole. Populismo, sovranismo, razzismo oltre al vecchio fascismo, dove la colpa è sempre e solo della cosiddetta “destra”, mentre la sinistra è immune da ogni azione violenta, anzi essa deve impegnarsi con romane marce a lanciare slogan contro la destra, ma MAI a dire di se stessi e di quanta violenza siano stati protagonista nella storia. Accusano gli altri di occupare e spartirsi il potere, e promuovono petizioni, firmate dai soliti intellettuali, ma un po’ di autocritica mai. Basterebbe ricordare i “katanga” di Mario Capanna che con casco e bastone presidiavano l’Università Statale di Milano e i cortei. Ha mai fatto ammenda della propria violenza, mai. Sempre però pronta ad accusare gli altri di essere violenti.
Così non va, ai mali si pone rimedio non con la violenza del compagno che passando sotto le finestre di uno che non la pensa come lui, grida “fascista” e non sa nemmeno che cosa sia quello che dice. Bisogna andare oltre, costruire sempre e comunque l’opposizione anche violenta con le parole, ma essere proposta, non unidirezionale. Ma, temiamo, la sinistra italiana, intrisa di necessità psicologica di opposizione contro e di politicamente corretto, non saprà mai andare oltre e proponendo sempre e comunque lo scontro non ci porterà veri frutti di convivenza, perché il razzismo non è solo quello contro un colore di pelle, più grave è quello contro le idee, come i gulag hanno ben dimostrato e di cui la sinistra mai ricorda le negatività. Chi è peggiore – dice il paradosso- colui che uccide un uomo, dicendo che è di una razza diversa o colui che uccide un uomo perché la pensa diversamente da lui o indossa una divisa?

E a Vicenza, succede qualcosa di diverso?