La libertà non può essere mai banale: Vicenza ha dimenticato il centenario della nascita di Mario dal Pra

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La storia insegna anche a coloro che colpevolmente la ignorano. Infatti, a quanto accaduto non si può mai scappare, nemmeno quando ci si adopera per una “damnatio memoriae”. È accaduto per uno scritto di Mario dal Pra, il filosofo vicentino, professore prima al Ginnasio Liceo classico “A. Pigafetta” e in quello delle Dame Inglesi, poi all’Università Statale di Milano, che deliberò con rischio anche della propria vita di combattere, come tanti altri, ciò che prima aveva accettato per esigenze di vita, ossia il fascismo.
Vicenza, il suo storico Liceo e altre istituzioni non lo hanno ricordato nemmeno in occasione del centenario della nascita nel 2015. Non si sono comprese le ragioni, che certamente saranno state elaborate per ignorare la ricorrenza.
Credo che ogni anno sarebbe quanto mai importante riproporre almeno lo scritto del filosofo apparso sul giornale locale il 30 luglio 1943. Ciò per imparare il valore delle libertà che è ordine morale prima di tutto, capace negli spiriti migliori di tradursi in bene comune e in giustizia. Il valore propositivo dello scritto, indipendentemente dalle posizioni che in tempi successivi prenderà Mario Dal Pra è significativo ed invita a considerare che la politica non è fine a se stessa, che, altrimenti, diventa ricerca del dominio o delle poltrone che mai si vogliono lasciare, ma è servizio all’uomo e con tutta la fatica che ciò comporta.

Mario dal Pra Ordine e libertà, 30 luglio 1943.

« La bandiera del nostro Risorgimento torna a sventolare gloriosa; tornano sulle nostre labbra i nomi di Mazzini, di Garibaldi, di Mameli, di tutti coloro che intesero la Patria come Libertà. Oggi più che mai apprezziamo che cosa significhi avere una responsabilità, partecipare colla propria passione alla vita politica, sentire il peso della propria costruzione, per quanto modesta. Siamo usciti di minorità, abbiamo riguadagnato la personalità. E sentiamo che appunto in questa libertà sta l’ordine vero, l’ordine spirituale. Comprendiamo bene l’abisso che separa il capriccio dalla libertà; il capriccio è appunto il segno della minorità spirituale, lo sbandare di chi non conosce regola, di chi ignora il sacrificio liberamente accettato e deciso. Invece libertà è farsi una nobile coscienza ed a questa essere fedeli. Va contro la libertà appunto colui che, col proprio ideale, tradisce se stesso. Libertà, responsabilità, ordine dell’uomo che colla ragione dà impronta alla sua vita: in ciò consiste la nobiltà migliore del nostro agire.

Questa libertà che è ordine morale non si riacquista per decreto di legge, né per colpi di Stato; si riacquista solo per educazione, per formazione, per ferrea volontà ispirata agli eterni valori dello spirito. La libertà non è dunque dono, ma è conquista, faticosa conquista che riassume in sé tutte le conquiste della civiltà e della storia. Per realizzare tale conquista occorre essere pervasi dall’amore dell’idealità, dal desiderio di superare l’egoismo per unirsi a tutti gli uomini nella fraternità dello spirito. Il senso della nostra fragilità, del tradimento dell’ideale in cui possiamo ad ogni istante cadere, deve farci attenti contro noi stessi, forti nella lotta contro tutti gli allettamenti immediati dell’egoismo. Oggi l’egoismo si potrà chiamare vendetta, o recriminazione per ambizione personale, o arrembaggio alla conquista degli interessi e dei privilegi che ogni situazione può presentare all’uomo senza coscienza. E contro questo egoismo bisogna essere forti; di quest’ordine bisogna essere disciplinati; per questo governo degli spiriti bisogna aderire fermamente al nuovo Governo nazionale.

Infatti in quest’ordine morale, espressione di tutta la nostra personalità, enunciazione della nostra dignità d’uomini, consiste il vero progresso della nostra vita collettiva, la vera rinascita della nostra Patria.

Combattiamo dunque l’errore di credere che l’ordine delle coscienze possa scendere dall’alto, possa farsi da sé, quasi come un processo fisico o chimico, per forze a noi estranee. Dobbiamo farci autori di quest’ordine che si chiama libertà appunto perché ha la sua radice nell’interiorità. Quello che altri chiamò fin qui ordine era la compostezza della morte, l’uniformità di una maschera che tutti ci ricopriva e che tutti ci umiliava in un volto solo, senza palpiti e senza passione. Si trattava di ordine apparente e di disordine sostanziale. Oggi ognuno si trova impegnato di fronte alla propria coscienza, di fronte al proprio dovere: non si sente più servo, ma libero e quindi obbligato all’interiorità. Ognuno così può riguadagnare la sua inconfondibile fisionomia, riacquistare le movenze della sua personalità morale; mentre diverrà così più profondamente se stesso, si troverà anche unito a tutti, nella dedizione ai sommi valori.

Agli uomini non si può servire mai; essere invece servi del bene, del bello, del vero significa regnare. A tutti gli italiani, in quest’ora solenne della rinascita patria, noi additiamo questa via dell’ordine che è libertà e formazione morale. Così diverremo intransigenti prima di tutto nei confronti di noi stessi e poi nei confronti di altri, nella vita morale come nella vita politica. Avremo a schifo i compromessi, deploreremo le mezze misure, avremo così caro i nostri ideali che non tollereremo più di vivere fuori della loro luce.

Tutto resta da fare per la costruzione morale dell’Italia, per il suo trionfo come primato morale e civile. Chi si concede ora riposo, costituisce un peso insopportabile che ci trascina inesorabilmente verso il passato e ci precipita nella servitù. Occorre al contrario vigilare per noi, per la Patria, per quello che essa rappresenta oggi che abbiamo riguadagnato la libertà.

Se qualcuno crede che la parola «ordine» implichi compressione delle coscienze si inganna, in quanto intende l’ordine nel senso estrinseco che ci ha dominati fin qui; ordine è primavera delle coscienze, empito di vita, potenzialità di costruzione, trionfo morale, vittoria dello spirito. Ci auguriamo che tutti gli italiani siano creatori, oggi, e custodi gelosi di quest’ordine per la nostra vera grandezza.

Quest’invito si rivolge soprattutto ai giovani, che hanno fino ad ieri nelle nostre scuole dato testimonianza a questa nostra idealità; con quella fede che ci ha guidati nel formare le loro coscienze oggi ritorniamo a loro e diciamo: per la salvezza della nostra Patria, per non venir meno al nostro preciso dovere, facciamoci apostoli di quest’ordine nella libertà, in cui è divenuta lieta, anche ieri, la nostra giovinezza. »