La Vicenza degli orrori: il degrado della Rocchetta, imponente castello del Trecento in rovina proprio davanti al nuovo Teatro

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Castello della Rocchetta versione... innevata
Castello della Rocchetta versione... innevata

Vicenza: città bellissima? Mi approprio del titolo di un articolo di Paolo Lanaro, pubblicato da Venetica nel 2013, per inaugurare una rubrica , “La Vicenza degli orrori“, che, settimanalmente, focalizzerà gli innumerevoli obbrobri che compaiono ovunque nella città del Palladio, ultimo innovatore – ben cinque secoli fa – della “imago urbis”.
Orrori urbanistici e paesaggistici che sporcano e guastano la bellezza di Vicenza e giustificano l’interrogativo apposto, con voluta provocazione, alla definizione che ne ha dato (nel Cinquecento: finiamo sempre in quell’unico e ultimo secolo di splendore della città) Filippo Pigafetta, parente dell’Antonio che – cinquant’anni addietro – era stato il cronista della prima circumnavigazione del pianeta con Ferdinando Magellano e a cui i concittadini hanno dedicato un monumento che è un’altra delle cose orribili che funestano Vicenza.
Sarà anche stata bella, allora, la città, che era molto meno estesa di oggi e, per la massima parte, racchiusa dal perimetro delle mura scaligere-veneziane. L’aggettivo è ancora valido per la città odierna? Forse di bellezza si può ancora parlare solo per la sua parte “intra moenia”, quella che è definita “centro storico” e che è rimasta simile alla città cinquecentesca. Infatti, i vicentini dei secoli successivi non sono riusciti, per mancanza di idee e di “schei”, a modificarne l’aspetto più di tanto.

La Rocchetta (Vicenza), foto satellitare da Google Earth
La Rocchetta (Vicenza), foto satellitare da Google Earth

Proprio al margine sud-occidentale delle mura c’è però un macroscopico orrore da denunciare: la Rocchetta. Che non è un obbrobrio di per sé ma lo è diventato dopo secoli di incuria, che l’hanno trasformata in un rudere fatiscente e infestato da vegetazione invadente e debordante.
Cos’è la Rocchetta? È un castello, un edificio militare costruito nel 1365 (o, secondo altri, dieci anni dopo) dagli Scaligeri, all’epoca signori della città, per completare la cortina muraria che, da Porta Santa Croce, arriva all’angolo con via Cattaneo. La Rocchetta era un avamposto difensivo creato a protezione della più arretrata fortezza adiacente alla Porta Feliciana, nella odierna piazza del Castello. A ovest la città vecchia finiva lì, inglobando il nuovo quartiere di Porta Nova e letteralmente abbattendo a sud gli edifici (salvo quelli religiosi) del borgo dei Santi Felice e Fortunato.
Il nuovo castello è imponente: pianta quadrata di trentadue metri di lato, quattro torri ai vertici, due porte con ponte levatoio, edifici a tre piani per la guarnigione. I muri verso la campagna sono spessi tre metri e venti, quelli interni un metro e mezzo. Il torrente Seriola correva sui lati esterni.
L’edificio è vistoso e qualificante: suggestivo nel sito al limite della lunga e intatta cinta muraria, è visibile sui quattro lati, separato da una “piarda” da viale Mazzini e da via Cattaneo e da una vasta area priva di edifici all’interno delle mura. È per di più l’unico castello ancora integro dei tre che difendevano la città (oltre a quello di piazza del Castel-lo, ce n’era uno al lato opposto di corso Palladio, il castello di san Pietro).
La Rocchetta è stata utilizzata solo per un secolo: con la dedizione di Vicenza a Venezia nel 1404 e con il conseguente progressivo spostamento a occidente dei confini della Repubblica Serenissima non ci sono più nemici da cui difendersi su quel fronte. Dal castello è quindi tolta la guarnigione e la funzione difensiva è ripensata, tant’è che Bartolomeo d’Alviano, condottiero della Serenissima, nel 1508 ne mozza le torri e ne abbassa le mura. Nel 1545 l’onnipresente Palladio progetta la sua trasformazione da militare a residenziale. All’inizio del Seicento è riconvertita in polveriera, poi cominciano il declino e l’abbandono. Salvo un ultimo ritorno al suo ruolo nel 1848, quando le truppe che difendono l’insorta Vicenza dall’assedio degli austroungarici di Radetzky si arroccano – inutilmente – nel vecchio castello.
Oggi la Rocchetta è un triste rudere, un quadrilatero di muratura che fa da vaso ad una boscaglia invadente e pericolosa. Il degrado è reso ancora più vistoso e stridente dal confronto con il nuovo Teatro Comunale, banale edificio dalle pareti con mattoni a vista che assomiglia tanto a una stazione dei bus. L’orgoglio del sindaco Hüllweck fronteggia in diagonale a poche decine di metri la Rocchetta e, nella sua luminosa freschezza, umilia la vecchia rocca abbandonata.
La Rocchetta è un monumento di Vicenza e va trattata con lo stesso rispetto e con la stessa cura delle altre vestigia della città. È ora di eliminare questo angolo impresentabile del Centro Storico e di ripulire e ristrutturare la antica fortezza, restituendole il ruolo di testimone di cinque secoli di vita della comunità. Ne guadagnerebbero le adiacenti mura scaligere, restaurate non molti anni fa con la sola eccezione della Rocchetta: dalla unitarietà del recupero potrebbe derivare un utilizzo museale e turistico dell’intera cortina muraria fino al suo culmine nel castello. I castelli simili e coevi di Lazise e Sirmione, ben conservati e mantenuti, sono un’attrattiva importante per i visitatori delle due città sul Garda.

Alla fine dello scorso decennio la amministrazione Variati aveva avviato la realizzazione del progetto “Parco storico delle Mura” che aveva proprio l’obiettivo di “restituire la valenza di sistema a questi frammenti, una riconoscibilità e una nuova funzione unitaria”. Solo la Rocchetta è rimasta fuori, condannata a un ulteriore offensivo abbandono, lasciata all’indifferenza di cittadini assuefatti invece alla insensata proliferazione di centri commerciali, supermercati e collegate rotatorie.
Basterebbe alzare gli occhi, andando a teatro, e sentire una stretta al cuore e un po’ di vergogna davanti a quel bastione fatiscente ma ancora maestoso.


Qui gli articoli della nuova rubrica “La Vicenza degli orrori”


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Gianni Poggi
Gianni Poggi risiede e lavora come avvocato a Vicenza. È iscritto all’Ordine dei giornalisti come pubblicista. Le sue principali esperienze giornalistiche sono nel settore radiotelevisivo. È stato il primo redattore della emittente televisiva vicentina TVA Vicenza, con cui ha lavorato per news e speciali ideando e producendo programmi sportivi come le telecronache delle partite nei campionati del Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi, i dopo partita ed il talk show «Assist». Come produttore di programmi e giornalista sportivo ha collaborato con televisioni locali (Tva Vicenza, TeleAltoVeneto), radio nazionali (Radio Capital) e locali (Radio Star, Radio Vicenza International, Rca). Ha scritto di sport e di politica per media nazionali e locali ed ha gestito l’ufficio stampa di manifestazioni ed eventi anche internazionali. È stato autore, produttore e conduttore di «Uno contro uno» talk show con i grandi vicentini della cultura, dell’industria, dello spettacolo, delle professioni e dello sport trasmesso da TVA Vicenza. Ha collaborato con la testata on line Vvox per cui curava la rubrica settimanale di sport «Zero tituli». Nel 2014 ha pubblicato «Dante e Renzo» (Cierre Editore), dvd contenente le video interviste esclusive a Dante Caneva e Renzo Ghiotto, due “piccoli maestri” del libro omonimo di Luigi Meneghello. Nel 2017 ha pubblicato per Athesis/Il Giornale di Vicenza il documentario «Vicenza una favola Real» che racconta la storia del Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi e G.B. Fabbri, distribuito in 30.000 copie con il quotidiano. Nel 2018 ha pubblicato il libro «Da Nobile Provinciale a Nobile Decaduta» (Ronzani Editore) sul fallimento del Vicenza Calcio e «No Dal Molin – La sfida americana» (Ronzani Editore), libro e documentario sulla storia del Movimento No Dal Molin. Nel 2019 ha pubblicato per Athesis/Il Giornale di Vicenza e Videomedia il documentario «Magico Vicenza, Re di Coppe» sul Vicenza di Pieraldo Dalle Carbonare e Francesco Guidolin che ha vinto nel 1997 la Coppa Italia. Dal 9 settembre è la "firma" della rubrica BiancoRosso per il network ViPiù, di cui cura anche rubriche di cultura e storia.