La Vicenza del passato, la città nell’era del Palladio dominata da famiglie nobili in lotta fra di loro ma unite dal business e dall’umanesimo

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Palladio, la Pianta Angelica, conservata nell'omonima Biblioteca, rappresenta la Vicenza del 1580
La Pianta Angelica, conservata nell'omonima Biblioteca, rappresenta la Vicenza del 1580

La Vicenza della prima metà del Cinquecento, in cui si forma professionalmente lo scalpellino Andrea Palladio figlio del munaro padovano Pietro, è una città che non dà l’impressione di essere l’ambiente ideale per la sua transizione da artigiano ad architetto. Ma non è così e bisogna conoscerla a fondo per capire una realtà diversa  (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr).

È vero, Vicenza è una piccola città. Nelle dimensioni, intanto, visto che è racchiusa nel perimetro del municipium romano con l’aggiunta delle tre appendici medievali dei borghi di Porta Nova, di Berga e di San Pietro (in copertina la La Pianta Angelica, conservata nell’omonima Biblioteca a Roma in piazza S. Agostino vicino a Piazza Navona, ndr), rappresenta la Vicenza del 1580. E, all’interno della nuova cinta muraria eretta dagli Scaligeri e dalla Serenissima, la densità degli edifici è tutt’altro che intensa perché, invece, è rarefatta da numerosissimi giardini, orti urbani, chiostri e cortili. Vicenza è un piccolo centro anche commisurato alla misura della popolazione, che ammonta a diciottomila abitanti. Per avere dei termini di confronto si pensi che Verona conta cinquantamila abitanti e Padova dispone di mura lunghe undici chilometri, quasi il triplo di quelle vicentine.

La composizione sociale della popolazione è quella tipica dell’epoca con una sola ma importante eccezione: a Vicenza non c’è stata una signoria perché nessuna famiglia cittadina è riuscita a impadronirsi del Comune e, quindi, la classe dominante è costituita da una decina di casate, che si equivalgono in blasone, ricchezza e proprietà. Un secolo e mezzo prima, ha consegnato la città alla Repubblica Serenissima in cambio di protezione militare e politica e a scapito della propria autonomia (che, per altro, Vicenza mai ha avuto salvo per un breve periodo comunale), assoggettata all’imposizione di magistrati nominati dalla Dominante, al versamento ad essa di tributi e al conferimento di truppe.

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I Rettori di Vicenza Silvano Cappello e Giovanni Moro raffigurati in una pala conservata al Museo Civico

Queste nobili famiglie, inurbate ma provenienti dal territorio provinciale dove posseggono latifondi, negli ultimi cent’anni sono diventate ceto imprenditoriale nel settore tessile, dapprima nella produzione della lana e dei panni e, a cavallo dei due secoli, in quella della seta e dei drappi. Hanno avuto un grande successo, conquistando mercati nazionali ed esteri e accrescendo la propria ricchezza anche con operazioni finanziarie. Vicenza è nelle mani di queste casate, che egemonizzano in modo esclusivo il Consiglio dei Cento, l’organismo politico-amministrativo principale della città.

La singolarità della situazione è che esiste un fortissimo antagonismo fra queste famiglie, in concorrenza fra di loro per un sacco di motivi: concorrenza nelle attività economiche, spartizione delle cariche pubbliche, opposte fedeltà per l’Impero o per la Serenissima Repubblica e, perfino, religione. Il luteranesimo, infatti, ha fatto breccia anche in città e ha trovato nuovi fedeli proprio in alcune famiglie patrizie. Questa multiforme concorrenza, in realtà, è una vera e propria guerra perché scorre spesso il sangue a causa di agguati, attentati e vendette reciproche.

Questo bel gruppo di nobili stirpi vicentine, che non vantano grande lignaggio ma hanno mezzi e un’apertura culturale dovuta alle frequentazioni internazionali di lavoro, è fondamentale per la creazione del fenomeno Andrea Palladio. Perché sono proprio questi aristocratici, in modo stavolta assolutamente trasversale, i primi committenti del Palladio che, proprio nel loro milieu, trova i suoi mentori e i suoi lungimiranti primi estimatori.

Il resto della popolazione vicentina è costituito da un centinaio di famiglie, sine nobilitate e con mezzi modesti, e sono i commercianti, gli artigiani e i professionisti, esclusi dalla vita politica e amministrativa e, in qualche modo, economicamente dipendenti dalla classe nobiliare. In fondo alla scala sociale, stanno i poveri, che sono i più. Numericamente non sono molti, infine, ma contano per le grandi proprietà di cui dispongono in città e nelle campagne, i religiosi, soprattutto quelli appartenenti agli ordini monastici maschili e femminili.

Lo scenario vicentino che accoglie Andrea Palladio è, in sintesi, questo: una città piccola ma con importanti ricchezze concentrate in poche mani; un contesto culturale che – a dispetto del provincialismo derivante dalla marginalità politica – inserisce almeno una parte dei cittadini nelle correnti di pensiero europee; una popolazione in massima parte estranea e priva di interesse alla rinnovazione urbanistica ma beneficiata, in quanto forza lavoro, dalle opere pubbliche e private che ne deriverebbero; una classe dominante divisa e litigiosa ma coesa nell’accaparrarsi le “poltrone” politiche e amministrative, nel considerare tutt’altro che disonorevole impegnarsi nella produzione e nel commercio, sensibile alla moda umanistica del recupero del classicismo,  disponibile a investire una parte dei guadagni della propria attività per adeguare il proprio stile di vita a quel canone culturale.

accademia
Il motto della Accademia Olimpica

Palladio, artigiano costruttore, ha accesso alla categoria sociale superiore perché è l’uomo che serve alle casate vicentine per realizzare il proprio sogno umanistico trasformando le proprie magioni o edificandone di nuove nelle forme neoclassiche à la page. È questo il punto d’incontro, del tutto casuale, fra Vicenza e la futura archistar. Bisogna riconoscere un merito a questi nobili di provincia: intuiscono le doti dello sconosciuto scalpellino padovano, lo aiutano a crescere dandogli un’istruzione che, da solo, non avrebbe mai potuto permettersi, e non hanno alcuna remora a farlo diventare uno di loro pur essendo privo di lignaggio.

“Hoc opus, hic labor est”, questa è l’opera, qui è la fatica. È il motto dell’Accademia Olimpica, si adatta perfettamente al futuro di Andrea.

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Gianni Poggi
Gianni Poggi risiede e lavora come avvocato a Vicenza. È iscritto all’Ordine dei giornalisti come pubblicista. Le sue principali esperienze giornalistiche sono nel settore radiotelevisivo. È stato il primo redattore della emittente televisiva vicentina TVA Vicenza, con cui ha lavorato per news e speciali ideando e producendo programmi sportivi come le telecronache delle partite nei campionati del Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi, i dopo partita ed il talk show «Assist». Come produttore di programmi e giornalista sportivo ha collaborato con televisioni locali (Tva Vicenza, TeleAltoVeneto), radio nazionali (Radio Capital) e locali (Radio Star, Radio Vicenza International, Rca). Ha scritto di sport e di politica per media nazionali e locali ed ha gestito l’ufficio stampa di manifestazioni ed eventi anche internazionali. È stato autore, produttore e conduttore di «Uno contro uno» talk show con i grandi vicentini della cultura, dell’industria, dello spettacolo, delle professioni e dello sport trasmesso da TVA Vicenza. Ha collaborato con la testata on line Vvox per cui curava la rubrica settimanale di sport «Zero tituli». Nel 2014 ha pubblicato «Dante e Renzo» (Cierre Editore), dvd contenente le video interviste esclusive a Dante Caneva e Renzo Ghiotto, due “piccoli maestri” del libro omonimo di Luigi Meneghello. Nel 2017 ha pubblicato per Athesis/Il Giornale di Vicenza il documentario «Vicenza una favola Real» che racconta la storia del Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi e G.B. Fabbri, distribuito in 30.000 copie con il quotidiano. Nel 2018 ha pubblicato il libro «Da Nobile Provinciale a Nobile Decaduta» (Ronzani Editore) sul fallimento del Vicenza Calcio e «No Dal Molin – La sfida americana» (Ronzani Editore), libro e documentario sulla storia del Movimento No Dal Molin. Nel 2019 ha pubblicato per Athesis/Il Giornale di Vicenza e Videomedia il documentario «Magico Vicenza, Re di Coppe» sul Vicenza di Pieraldo Dalle Carbonare e Francesco Guidolin che ha vinto nel 1997 la Coppa Italia. Dal 9 settembre è la "firma" della rubrica BiancoRosso per il network ViPiù, di cui cura anche rubriche di cultura e storia.