Lane in lutto, morto Ezio Vendrame. Il ricordo “anticonformista” di Luigi Panella

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Capelli lunghi, tecnica individuale notevole, scarsa attitudine per gli schemi, sia in campo che fuori. Avrebbe avuto le potenzialità per una carriera superiore a quella avuta, ma se avesse giocato con Juventus o Milan o Inter, Ezio Vendrame, morto oggi a 72 anni, probabilmente non sarebbe ricordato come uno dei massimi esempi di genio e sregolatezza del calcio italiano.

Due sono gli accostamenti che ne sono stati fatti: il più gettonato è quello a George Best, il fuoriclasse nordirlandese talento, bellezza, donne e alcolici.  L’altro (più che altro per la capigliatura e la postura in campo) con l’argentino Mario Kempes.

Calciatore, poeta, scrittore, uomo insofferente alla forma. Il suo libro ‘Se mi mandi in tribuna godo’ è una frustata agli aspetti ipocriti del mondo, del calcio e non solo. Un titolo che è tutto un programma, e che prende origine da una trasferta del Napoli a Cagliari. Mandato in tribuna dal tecnico dei partenopei Vinicio, che proprio non lo vedeva nei suoi meccanismi di gioco, Vendrame ne approfittò per amoreggiare (le donne sono state una delle sue grandi passioni) nel bagno dello stadio con una ragazza conosciuta da poco…

Già, perché per raccontare Vedrame più che le squadre in cui ha giocato (soprattutto Lanerossi Vicenza e Padova, con l’intermezzo fatto di 3 presenze a Napoli), basta citare frasi e aneddoti, sparsi qua e la come timbri durante interviste e partite. Quando era nel Padova, durante un incontro di fine stagione con la Cremonese, uno di quelli in cui il punto stava bene a tutti e si palleggiava stancamente senza fingere un accenno di agonismo, pensò bene di vivacizzare la situazione. Palla presa al limite dell’area avversaria, campo percorso al contrario puntando il proprio portiere, poi risparmiato solo all’ultimo istante quando il battito lento di qualche tifoso era già andato fuori giri.

Sempre al Padova, durante una partita, lasciò il campo come se niente fosse per andare a salutare un suo grande amico, il poeta e cantautore Piero Ciampi, che aveva scorto in tribuna. E ancora, dopo aver accettato la promessa di una somma di denaro per infastidire l’Udinese, a cui servivano punti promozione, stizzito dai fischi dei friulani giunti in Veneto, giocò una delle sue più grandi partite portando la sua squadra alla vittoria.

Quando scelse la poesia si ritirò in una frazione vicino al suo paese, Casarsa della Delizia, dove è sepolto Pier Paolo Pasolini. Il pubblico italiano lo ritrovò nel 2005, quando chiamato al Festival di Sanremo dall’allora conduttore Paolo Bonolis, si esibì in una entrata a gamba tesa su Gigi D’Alessio che alzò un vespaio di polemiche.

Al calcio rimase legato allenando gli unici ai quali pensava di poter insegnare qualcosa, i giovani. “Ma sarebbe bello allenare una squadra di orfani”, ebbe a dire. Non gli piacevano i genitori che si intromettevano, e probabilmente lui non piaceva ai genitori, specialmente ai più perbenisti. Teorizzava infatti l’accantonamento dei giochi elettronici per sostituirli, in attesa di qualcosa di meglio, con il sesso fai da te…

di Luigi Panella da laRepubblica