Le radici neofasciste della strategia della tensione, Pino Dato su QV: una tragedia italiana

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La strage di Piazza Fontana
La strage di Piazza Fontana

Mezzo secolo dopo. La strage di piazza Fontana è nata dall’interno delle istituzioni repubblicane, da quelli che il presidente Mattarella certifica, con la sua autorità, essere stati i Servizi deviati. Ma dietro ai servizi c’è un’ideologia, quella neofascista, che ha condizionato, anche con il fascismo fuori legge, la democrazia italiana. Ci stanno le stragi, le deviazioni programmate, le Gladio, il piano Solo, il fallito golpe Borghese, la P2. E gli strumenti ignobili: Ordine nuovo, singoli esponenti interni all’ordine pubblico. E ci sta la Cia, il Servizio americano, e la sua missione di fare dell’Italia una colonia succube nella guerra al comunismo sovietico

Quaderni Vicentini n. 5
Quaderni Vicentini n. 5

Due anni fa, in occasione del 48° anniversario della strage di piazza Fontana, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella disse: “Il percorso della verità va perseguito per giungere a un traguardo atteso dai familiari e da tutti gli italiani. Le inchieste e i processi non hanno condotto a una verità esaustiva. La domanda di giustizia non ha condotto a una definitiva risposta sugli autori materiali e i loro mandanti, ma ciò non può indurci a rassegnazione.”
Ha poi precisato Mattarella: “Il valore del tenace e coraggioso lavoro di tanti servitori dello Stato è riuscito a disvelare sia la matrice neofascista, sia le gravi complicità nella vicenda di taluni apparati deviati.” Secondo il Presidente della Repubblica quella atroce vicenda ha “proiettato sulla nostra democrazia l’ombra di una grave minaccia eversiva.”
In poche frasi, c’era tutto. Non ho preso quel discorso di Mattarella a caso. Sono passati cinquant’anni da una vicenda che ha modificato la storia d’Italia. Quell’attentato ha decretato l’inizio più ufficiale (in modo ufficioso era già iniziato prima) degli “anni di piombo”. E quell’atto ha dato il via a quella che fu con felice quanto inquietante espressione definita “la strategia della tensione”, lessema accreditato da un articolo del settimanale inglese “The Observer” all’indomani della strage di Piazza Fontana .
Questo stesso settimanale, nel suo numero precedente, del 6 dicembre 1969, rivelò l’esistenza “di un piano golpista per l’Italia sul modello del colpo di Stato in Grecia del 1967” . L’autore fu Leslie Finer, un giornalista inglese definito da Benedetta Tobagi “in odore di intelligence”. E la circostanza appare ancora oggi più inquietante della corretta, puntuale definizione poi coniata. Che cosa ha fatto intuire, con tanta drammatica esattezza, ai redattori dell’Observer, la catastrofe che stava abbattendosi sull’Italia? Solo una previsione giornalistica, la loro, o una certezza da fonti “diplomatiche”?
Chi ha voluto la strategia della tensione fino alle estreme conseguenze di dolore e morte anche per molti successivi efferati attentati, il presidente Mattarella lo dice senza bisogno di filtri o giri di parole: i neofascisti con la complicità degli apparati dello Stato deviati. Poi aggiunge l’altra espressione chiave, definitiva: minaccia eversiva.
Da dove? Dall’interno, naturalmente. Ma con l’obbligata collaborazione di forze esterne dotate di grande potere e di grande capacità di finanziamento e interdizione. Quali sono state queste forze lo vediamo subito. Ma prima, bisogna capire perché. E perché, malgrado giustizia non sia ancora stata fatta a mezzo secolo di distanza, in quell’occasione Mattarella ritenne opportuno concludere affermando che “i valori della Costituzione, frutto della Resistenza e della lotta di Liberazione si sono radicati ulteriormente nelle nostre comunità e sono prevalsi, sconfiggendo la strategia della tensione”?

Quali sono gli apparati dello Stato deviati?

Le domande non si placano. La “strategia della tensione” è diventata Storia. Ma chi l’ha voluta? Chi l’ha creata? Comuni cittadini? Semplici delinquenti? Lo dice chiaramente il Presidente e lo dicono molte sentenze passate in giudicato oppure prescritte (ma per la Storia non c’è
prescrizione che tenga): i cosiddetti apparati dello Stato deviati.
Perché queste forze istituzionali, dotate di potere innegabile, connesse a poteri sovranazionali (come la CIA, la NATO, ad esempio) si sono incaricate di produrre questo tipo di organizzate, tragiche tensioni, sconvolgendo la vita e la storia di un Paese, perché lo hanno fatto, quali interessi sostengono, proteggono, alimentano?
Scrive Mirco Dondi, prendendo le parole direttamente da una sentenza istruttoria sui fatti di Peteano , attentato a una pattuglia di carabinieri del 31 maggio 1972, in cui persero la vita tre militi e tre rimasero feriti: “È una strategia di condizionamento nel rapporto tra sistema politico e ambiente sociale”.
Aggiunge Dondi : “L’atto criminale punta a modificare gli orientamenti dell’opinione pubblica. (…) Gli apparati di sicurezza sono coinvolti nelle vicende stragiste e nei tentati colpi di Stato, contribuendo a innalzare il livello d’intensità della violenza politica e provocando scontri interni allo Stato.”
Resta inevasa la domanda: perché lo fanno? Sono organizzati a farlo, ab origine? Lo fanno per indirizzare la lotta politica? Per favorire l’ascesa di un potere politico a loro più gradito? Perché in Italia ha funzionato questa strategia, portando il Paese e la classe politica e quella imprenditoriale a condividere, nel corso dei decenni della seconda parte del Novecento, fino ad oggi, scelte e indirizzi che forse, in un contesto diverso e senza strategie di quel tragico tipo non avrebbero condiviso? Ebbene, a cinquant’anni dalla strage più efferata, la fonte primaria di questa aberrante strategia, a Milano, nel salone centrale della Banca dell’Agricoltura, il 12 dicembre 1969, in piazza Fontana, dopo 17 morti e 105 feriti, riusciamo forse ad avvicinarci
alla verità, siamo consapevoli che verità e giustizia non sono andate nella stessa direzione, ma siamo ancora balbettanti nel rispondere a quella domanda cardine: perché?
Verità e giustizia. Una dicotomia fra due termini che dovrebbero essere uno lo specchio dell’altro. Non è stato così. E anche il presidente Mattarella lo sa bene. Giustizia non è stata fatta.
Ma alla verità, almeno al 90 per cento, ci siamo arrivati. Ripartiamo dalla domanda che cerca risposte sui collegamenti e sulle fonti. Lo ha detto lo stesso Mattarella: matrice neofascista e apparati deviati.
Cominciamo da questi. Quali sono gli apparati deviati? E perché sono deviati? Gli apparati deviati, illustrati, narrati dalla storiografia di questi cinquant’anni sono (a) il Sifar-Sid, servizio segreto militare, (b) un potere parallelo, la loggia massonica P2, che ha generato perfino appartenenze di futuri presidenti del Consiglio (Silvio Ber-lusconi), (c) il servizio segreto civile, Uaarr (Ufficio Affari Riservati) e infine (d) un servizio che pochi conoscono, ma i diretti interessati sì, eccome, che sembra essere stato estinto negli anni ’80 (sembra), particolarmente clandestino ma non per questo meno vitale, dal nome allusivo, l’Anello, chiamato anche il Noto Servizio, attivatonell’immediato dopoguerra.

Da Randolfo Pacciardi alla Cia americana Stampa compiacente e manovalanza neofascista

Descriviamoli. Il Sifar, poi diventato Sid, è un Servizio segreto militare della Repubblica italiana, fondato il 30 marzo 1949 dall’allora discusso ministro della Difesa Randolfo Pacciardi che ebbe la brillante idea di creare un servizio di tale fondamentale importanza per l’appena nata democrazia italiana senza informare il Parlamento e senza curarsi di come potesse essere, questo organismo, in sintonia con i dettami dell’appena nata carta costituzionale. Consapevole degli obiettivi del costituendo servizio informativo, il Pacciardi lo creò con una disposizione ministeriale di tipo interno. Ma non era isolato, questo servizio. Ebbe subito, accanto al papà (Pacciardi) una mamma (la CIA americana). E la mamma, come accade talvolta, comandava.
Era lei a gestire l’organizzazione, lei a decidere i vertici del nuovo organismo, lei a definirne gli obiettivi. Scrive Dondi: “I vertici del servizio italiano devono essere graditi agli Stati Uniti, aspetto che pone l’Italia in una condizione di sovranità limitata.”
Se questo è compatibile con il clima di guerra fredda instaurato febbrilmente a livello internazionale nei primi anni ’50 (guerra di Corea, conflitto ideologico Usa-Urss), potrebbe non esserlo più nei decenni successivi. E invece si rafforza. Perché? Perché nel corso degli anni ha acquisito una qualità perfino impensabile all’inizio: diventa un formidabile strumento di controllo politico e istituzionale interno. Tiene sotto scacco la democrazia e orienta l’opinione pubblica soprattutto delle classi medie. Per raggiungere i propri obiettivi ha bisogno di due cose: una stampa consenziente e facilmente manovrabile attraverso giornalisti ad hoc, graditi al servizio e capaci, e la manovalanza neofascista di estrema destra.

Gianadelio Maletti, la sudditanza italiana, le stragi

L’influenza della CIA ai livelli più alti e con una forza sempre più incisiva (anche per l’enorme potere finanziario di cui dispone) è documentata da un personaggio insospettabile, il generale Gianadelio Maletti, numero due del Sid e a capo del controspionaggio interno dal 1971 al 1975 . Il generale, sentito in audizione pubblica dalla Commissione Parlamentare Stragi afferma che nel periodo della strage di piazza Fontana, fino al 1974, “la sudditanza italiana ai servizi americani era quasi assoluta”. Scrive Dondi: “Nell’ambiente militare, non epurato dal fascismo e tradizionalmente conservatore, si avverte il lavoro di proselitismo dell’estrema destra.”
Il generale Maletti sarà lui stesso epurato dal “sistema politico” e fuggirà in Sud Africa, ancora sotto il feroce tallone boero e anglosassone, ma non smetterà di parlare lanciando strali da lontano e prendendosi piccole vendette nei confronti della classe politica.
Intanto, la strategia della tensione, anche al di là delle inquietanti previsioni del giornalista inglese Finer, prosegue il suo corso. Non si ferma. Le stragi si moltiplicano: dopo piazza Fontana, piazza della Loggia, treno Italicus, fallita strage sul treno Torino-Roma. Una serie di tragici eventi dove, secondo Dondi “si opera una combinazione, diversamente organizzata da caso a caso, tra strage e colpo di Stato al punto che, secondo il giudice Guido Salvini, questa stagione potrebbe definirsi strategia del colpo di Stato”.
Ma torniamo agli Stati Uniti e alla loro immarcescibile Cia.

La Cia e la famosa “guerra non ortodossa”

Le fasi della possente influenza della Cia in Italia sono due. La prima è datata anni ’50 e si accompagna alla politica generale Usa in Europa per fronteggiare e ostacolare il potere sovietico. Il percorso obbligato deciso dagli Usa era definita guerra psicologica, poi diventata guerra non ortodossa. Una sorta di cold war contro un nemico ideologico (il comunismo internazionale) che nei vari stati occidentali dove gli
Usa erano presenti con la propria forza militare (Germania e Italia, in primis) doveva essere tenuto alla larga dal potere politico. Le armi per combattere questa guerra erano improprie e dunque la caratteristica dei corpi usati per combatterla non poteva conoscere limiti morali o etici. E quali erano i corpi che potevano accettare una guerra totale senza porsi limiti di sorta? I nuclei, già formati o in via di formazione, di estrema destra. Neo fascisti. Neo nazisti. La guerra fredda (e totale) al comunismo non poteva permettersi il lusso di distinzioni troppo sottili.
Questa fase inizia nel 1949 con la firma del Patto Atlantico, e la Nato, che nasce da questo patto, stabilisce un piano di difesa che è militare, non astratto. L’Italia aderisce a questo patto con protocolli rimasti ancora oggi segreti: come quello che ha preteso la creazione a Vicenza della caserma Ederle a stelle e strisce.
In Italia, in questa prima fase della politica di controllo totale e di guerra non ortodossa, c’è un problema che, ad esempio, in Germania non c’è: un forte partito comunista, ben organizzato (circa il 25% dell’elettorato), e in più collegato diplomaticamente a quello sovietico. Un problema (non da poco) in più, che esigeva un’iniziativa necessariamente rafforzata.

Le elezioni politiche del ‘48 e quel reticolo di strutture militari pronto all’uso

C’era un precedente, che la storiografia ha ben focalizzato, ed è quello del 1948, elezioni politiche in Italia del 18 aprile. Alla vigilia di queste decisive elezioni, scrive Mirco Dondi, “è attivo un reticolo di strutture militari informali, organizzate dalla Dc, che impiegano armi provenienti dagli Stati Uniti e funzionano in collegamento con i carabinieri”. Alla già esaustiva bibliografia non sono mancate le conferme autorevoli, come quella di Francesco Cossiga resa alla Commissione Terrorismo e Stragi e di Uberto Breganze, che nel 1948 era presidente diocesano dell’Azione cattolica, alla stessa commissione. Ciò significa che strutture “deviate” interne (ma allora
erano deviate o erano strutture istituzionali tout court?) e diplomazia militare degli Stati Uniti d’America avevano già cominciato a lavorare “serenamente” insieme già prima della costituzione della Nato e dei suoi accordi più o meno segreti conseguenti.

Nasce la struttura militare Stay Behind, ovvero Gladio

Ma all’inizio degli anni ’50 le operazioni diventano più concrete e finalizzate agli obiettivi. Nasce la struttura Stay Behind, voluta e finanziata dagli Usa in quasi tutta l’Europa Occidentale. In Italia
la Stay Behind diventa Gladio nel 1956 (Paolo Emilio Taviani, il suo mentore, ministro della Difesa, ex partigiano ma soprattutto viscerale anti comunista).
Gladio produce i cosiddetti Nasco (Deposito Segreto di Armi) il cui centro guida è in Sardegna, nei pressi di Alghero, capo Marrargiu, un deposito di armi interamente controllato dagli Usa. Gladio è una struttura militare parallela alle forze armate italiane. Dipende dal presidente del Consiglio e dal ministro della Difesa, dunque teoricamente è una struttura istituzionale. In realtà è illegale e anticostituzionale (la Costituzione all’articolo 18 vieta la creazione di strutture militari segrete) e per questo dovrebbe rimanere “segreta” negli intendimenti di Taviani, degli Usa e dei vari presidenti del consiglio. In realtà non lo sarà mai.
La prima fase del controllo parallelo (e non certo costituzionale) delle istituzioni repubblicane si esaurisce pertanto con il condizionamento delle elezioni del 1948, la nascita della Nato, la creazione di Gladio.
Ma il piano ideologico e mentale doveva accompagnare quello organizzativo. La Guerra Fredda non consentiva né distrazioni né deroghe.

The battle for the minds of men, ovvero l’applicazione del principio di “doppia lealtà”

La guerra non ortodossa, di produzione americana per combattere il comunismo nel dopoguerra, doveva basarsi su percorsi di convincimento etico e morale. Nasceva e si sviluppava in Italia il cosiddetto “oltranzismo atlantico”, una sorta di filosofia applicabile ad ogni atto
politico o informativo della società. Questa filosofia doveva aiutare il buon sviluppo delle cosiddette covert operations, sotto la direzione unica della CIA: “strumenti necessari della guerra fredda” in atto. Il presidente americano del tempo, Dwight Eisenhower (in carica dal 1953 al 1961) si espresse con chiarezza: era una “battle for the minds of men” (lotta per le menti degli uomini).
Quali menti, e secondo quali principî, in Italia potevano seguire le istanze dettate dal presidente Usa? Per capire meglio questo passaggio dobbiamo fare un salto in avanti.
Nel 1989 lo storico Franco De Felice richiamò per l’Italia del dopoguerra la teoria sviluppata da Ernst Fraenkel, studioso tedesco rifugiatosi negli Usa nel 1938, per spiegare la “natura e il funzionamento della dittatura nazista”: era la teoria della “doppia lealtà”, che avrebbe prodotto in Italia, per alcuni decenni la pratica del “doppio Stato”.

Doppia lealtà, doppio Stato = apparati deviati

Teoria facile da applicare per “the minds of men” auspicate da Eisenhower, ideale se diventava il propellente di apparati deviati, quelli che anche a distanza di un cinquantennio riconosceva essere ancora esistenti lo stesso presidente Mattarella. Doppia lealtà? Doppio Stato? Questa è stata la filosofia che ha generato le stagioni delle stragi, a partire da Piazza Fontana: da una parte, fedeltà alla Costituzione varata nel 1948, dall’altra a quella che a lungo è stata definita “costituzione materiale”, vale a dire l’anticomunismo, pericolo supremo.
Facile a dirsi. Per combattere il comunismo, dicevano gli adepti di questa doppia lealtà ogni azione era consentita. Una lealtà faceva aggio sull’altra, evidentemente: questa.
Scrive Benedetta Tobagi: “Da questa lealtà discende quell’insieme di pratiche il cui farsi costituisce ciò che Fraenkel chiama “doppio stato”, espressione che, forzata e snaturata (…) si trovò in Italia al centro di polemiche politico-giornalistiche, talvolta feroci, che si trascinano ancor oggi”.
In nome di questa accezione estrema di una sorta di filosofia, i rapporti fra intelligence italiana ? nei suoi vari apparati materiali ? e terroristi, ovviamente neofascisti (chi poteva meglio di loro far prevalere la prima lealtà sulla seconda?), fu la colonna vertebrale delle deviazioni e del terrorismo da piazza Fontana in avanti. Un
vincolo morale-internazionale che avrebbe giustificato le più atroci e orrende azioni.
La Nato, Stay Behind, la CIA, doppia lealtà, propaganda, alleanze internazionali, tutto bene, ma come farle progredire, affermare, esistere senza la presenza sul terreno (istituzionale e tout court) di un piccolo grande esercito di uomini all’altezza del compito storico? Senza gli uomini “giusti” come si sarebbe potuto sviluppare un simile impegnativo, quanto aberrante, progetto?

I fascisti nascosti e quelli espliciti della nuova Repubblica italiana

Ma gli uomini giusti in Italia c’erano. La Liberazione era riuscita a portare una nuova Costituzione, ad avviare la democrazia, ma la guerra civile non si era chiusa con una pace, e neanche con un armistizio. I fascisti nascosti e quelli della repubblica neofascista di Salò circolavano ancora in gran numero, erano ancora dentro le istituzioni repubblicane, non avevano alzato alcuna etica bandiera bianca. Molti di loro erano montati sul nuovo carro, avevano fatto il passo verso la logica sopravvivenza. Ma molti altri non lo avevano fatto.
Il Msi di Giorgio Almirante non poteva, per legge, definirsi fascista, ma nel cuore lo era. E lavorava per una società diversa. La doppia lealtà gli stava a pennello.
In parallelo al Movimento sociale si muovevano strutture diverse, con patine culturali, con uomini più disinvolti, che potevano permettersi di uscire dai rigidi binari perbenisti e costituzionali del partito di Almirante.
Ma la fonte vera di tutto ciò qual è stata? Come è possibile che un Paese uscito da una guerra assurda, fermata nel 1943, poi trasformata in guerra di Liberazione, dotatosi in tempi abbastanza rapidi di un’eccellente Costituzione, avesse ancora tra le sue zolle i residui di un regime, il fascismo, sconfitto nella guerra e dalla Storia? Eppure sono quelle zolle a favorire la strana alleanza con i servizi Usa, orientati a sconfiggere quello che era stato l’ex alleato contro Hitler, il comunismo, in tutte le sue dimensioni e accezioni possibili: soprattutto nell’Occidente europeo, soprattutto in Italia, luoghi ideali di una nuova forma, molto più sottile di quella antica, di colonialismo politico. L’inizio ufficiale della guerra fredda non poteva stare a sottilizzare su nulla, come detto. Il terreno di supporto era fertile. Gli uomini di Mussolini erano ancora tra noi. Anche se nessuno lo sapeva e qualcuno faceva semplicemente finta di non saperlo.
Gli uomini di Mussolini. È il titolo di un eccellente, fortunato libro dello storico Davide Conti.

La storiella dell’ “italiano brava gente”

I politici (di destra, centro e sinistra), qualche storico di periferia (o della domenica), molta gente comune, la maggioranza dei fogli d’informazione, dimenticano, o amano dimenticare, che l’Italia fascista, nell’ultima vicenda bellica mondiale (1939-45) ha invaso, in diverse date o riprese, come seconda potenza dell’Asse, Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia. La storiella dell’Italiano Brava Gente è già stata smantellata, se non ridicolizzata, dalla storiografia. Andiamo oltre le storielle. In queste azioni belliche, gli italiani del regime fascista, dotati di grado e responsabilità militari e dirigenziali-civili, si sono macchiati di delitti. Delitti che sono rimasti in larghissima parte impuniti. I colpevoli sono rientrati in Italia e l’Italia, impegnata in altre non semplici necessità politico-burocratiche, non li ha processati. Anzi, li ha reinseriti nelle proprie strutture istituzionali.
Scrive Davide Conti : “Nel corso degli ultimi anni la storiografia si è occupata approfonditamente dei crimini di guerra italiani all’estero durante il conflitto mondiale e delle ragioni storiche e politiche che resero possibile una sostanziale impunità dei responsabili. Meno indagati sono stati i destini, le carriere e le funzioni svolte dai “presunti” (in quanto mai processati e perciò giuridicamente non ascrivibili nella categoria dei “colpevoli”) criminali di guerra nella Repubblica democratica e antifascista.”
Aggiunge il nostro storico: “La gran parte di loro venne accusata, al termine del conflitto, da Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia e dagli angloamericani, di crimini di guerra. Nessuno venne mai processato in Italia o epurato, nessuno fu mai estradato all’estero o giudicato da tribunali internazionali, tutti furono reinseriti negli apparati dello Stato postfascista con ruoli di primo piano.”
Torniamo al progetto Usa di controllo, attraverso la CIA, del territorio italiano nella nuova epoca definita della “guerra fredda”. Appena dopo la guerra gli angloamericani (e dunque la CIA) conoscevano benissimo gli autori di crimini italiani in Europa durante il conflitto.
Ma paradossalmente quella conoscenza servì loro da supporto nell’avvio del nuovo progetto di controllo dell’appena nato Stato democratico. Non c’era bisogno di nessuna battle for the minds of men. Era già tutto pronto, in fieri: c’erano sia i men che le loro (bacate) minds.

Gli uomini di Mussolini (prefetti, questori, burocrati) sono ancora fra noi?

Le biografie degli uomini di Mussolini raccontate storiograficamente da Davide Conti sono impressionanti e invitiamo i nostri lettori a comprare e leggere il libro (presente anche nelle nostre biblioteche pubbliche). Nello specifico percorso narrativo va detto che colpiscono non solo le biografie dei criminali di guerra italiani ma anche quelle di “prefetti e questori”, vale a dire soggetti fondamentali dell’ordine pubblico e dei connessi servizi, passati disinvoltamente in carriera dal fascismo alla democrazia, senza colpo ferire.
Conti, giustamente, cita in esergo a questo proposito il passo di un altro protagonista illustre della nostra storiografia, Claudio Pavone, quando scrive : “La fascistizzazione dell’apparato burocratico non fu dunque, come è stato scritto, «di parata». Il fascismo, come forma storicamente sperimentata di potere borghese, non si esaurisce nei quadri del partito fascista ma è un sistema di dominio di classe in cui proprio gli apparati amministrativi tradizionalmente autoritari hanno parte rilevante. Di parata va piuttosto definita, dopo il fallimento dell’epurazione, la democratizzazione post-resistenziale.”
La mancata epurazione delle minds ancora fieramente fasciste, nell’Italia democratica, ha avviato senza fatiche eccessive (dal lato organizzativo) l’era della strategia della tensione, strategia necessaria per impedire, come abbiamo visto, sviluppi considerati politicamente pericolosi del Paese.
Con due capitoli fondamentali da affrontare e battere attraverso l’informazione (stampa di destra controllata dalla borghesia industriale, televisione) e, se necessario, attraverso il “terrore”: il partito comunista italiano troppo forte, e l’insidiosa, pericolosa, double face politica del centro-sinistra. Quanto sia stata attuata, quella strategia infame — purtroppo per l’Italia e le sue numerose incolpevoli vittime —, lo abbiamo visto.

Il piano Chaos e la direttiva Westmoreland “Destabilizzare per stabilizzare”

La seconda parte del progetto CIA per l’Italia si materializza nel 1966 per iniziativa del presidente Lyndon Johnson, che promulgherà ufficialmente il piano Chaos per l’Europa. L’obiettivo: organizzare un’azione di infiltrazione di soggetti provocatori all’interno dei movimenti di sinistra europei. Il progetto Chaos troverà il suo miglior sviluppo, guarda caso, con l’arrivo alla presidenza americana di Richard Nixon, che nel gennaio 1969, appena insediato, sviluppò, del piano, il capitolo delle covert operations, costituito da due progetti fondamentali: il finanziamento della propaganda e della stampa estera (italiana e europea) e quello dei partiti amici (in Italia Dc, Pli, Pri, Psdi). Il 1969 sarà l’anno, non dimentichiamolo, della strage di piazza Fontana e dell’avvio definitivo della strategia della tensione.
Nixon, più realista del re, tirerà fuori dai cassetti un vecchio manuale di controllo del nemico interno (i soliti comunisti, la solita sinistra, i soliti anarchici) il Field Manual 30-31, noto come Direttiva Westemoreland, “già in primo piano nella guerra del Vietnam”. La parola d’ordine era un apparente ossimoro: “destabilizzare per stabilizzare” . Obiettivo: evitare che i comunisti italiani si avvicinino al governo della Repubblica. Mezzi? Questi: “azioni violente o non violente, a seconda del caso”. Questo emerge anche dalla sentenza-ordinanza del giudice Guido Salvini del 1998 sulla strage di piazza Fontana e la testimonianza più importante è di un protagonista in prima linea della strategia della tensione, l’ordinovista Vincenzo Vinciguerra.
Ci sono alcuni fatti successivi che documentano quanto programmato nel corso di quel deplorevole 1969 dai servizi deviati (in diretto collegamento con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale) in sintonia con la capostipite Cia-Usa. Tutti fatti documentati in sentenze e in testimonianze e perfino in libri.
L’ambasciatore americano a Roma Graham Martin, ispirato da Henry Kissinger, segretario di Stato, eroga 300 mila dollari a Vito Miceli, capo del Sid perché finanzi i neofascisti. William Colby, capo della Cia dal ’73 al ’76 nelle sue memorie scrive che l’Italia è il paese più finanziato dagli Usa, in Occidente, per strutture paramilitari. Neanche a dirlo, le strutture sono tutte neofasciste di estrema destra.

La cellula veneta: Freda, Ventura, Delfo Zorzi

Il clima è questo e in questo clima si muovono gli uomini delle stragi.
Gianadelio Maletti, ex responsabile dell’Ufficio D del Sid, intervistato nel 2000 da Daniele Mastrogiacomo per “Repubblica” spiegherà bene la ragione di tutto: “La Cia voleva creare, attraverso la rinascita di un nazionalismo esasperato e con il contributo dell’estrema destra, Ordine nuovo in particolare, l’arresto di questo scivolamento (del Paese, ndr) verso sinistra. Questo è il presupposto di base della strategia della tensione.”
Carlo Digilio, uscito alla ribalta della giustizia nel secondo e terzo processo di piazza Fontana, fu collaboratore di giustizia negli anni ’90 ed era stato organico all’intelligence statunitense dal 1967 al 1978 (con il cripto nome di Erodoto II): il suo compito era quello di sorvegliare la cellula nera veneta di Ordine nuovo, Freda, Ventura e Delfo Zorzi e informare la Cia sui loro passi (e alla fine sulle loro difese). Digilio accusò, quindici anni dopo, Marcello Soffiati di aver messo la bomba in piazza della Loggia. Da lui si viene anche a sapere che tutti i rapporti inerenti la strategia provenienti dalla Nato erano trasferiti in copia e incolla alla Cia: era sempre attiva una triangolazione formidabile Ordine nuovo-Nato-Cia.

Da Rauti al bidello Pozzan, all’Aginter Press

Ordine nuovo fu fondata da Pino Rauti nel 1953 come un organismo interno al Msi. I collegamenti di Rauti con il Sid sono sempre stati proficui. Sono i Servizi a fare fuggire all’estero Marco Pozzan, il bidello padovano, nel 1972, a causa delle sue pericolose accuse a Rauti per la strage di piazza Fontana.
Ma Rauti serve al Sid per i suoi collegamenti internazionali con il
movimento reazionario. Nella seconda inchiesta di piazza Fontana, quella che porta alla verità (ma non alla giustizia) sarà approfondito il ruolo di una apparentemente fantomatica ma realissima agenzia terroristica, Aginter Press, con sede a Lisbona, definita negli atti “un’organizzazione occidentale per la guerra non ortodossa”, finanziata interamente dalla Cia, e collegata a Ordine Nuovo, ad Avanguardia Nazionale, a Stefano Delle Chiaie, e seguita istituzionalmente dall’Uaarr di Federico Umberto D’Amato, l’altro servizio, di tipo
“civile”, parallelo al Sid, da Guido Giannettini, uomo del Sid e di Ordine nuovo. Il direttore di Aginter Press era Yves Guérin Sérac, nome di battaglia di Yves Guilliou, ex attivo nell’OAS in Algeria. Tutto questo è agli atti parlamentari. È verità acquisita.

Dalla Grecia dei colonnelli all’Italia di piazza Fontana

In Grecia, nel 1968, era avvento il colpo di Stato dei colonnelli, finanziato dalla Cia americana. I servizi dei colonnelli si chiamano Kyp e con i Servizi italiani c’è amore e accordo a prima vista. Nell’aprile 1968 un centinaio (secondo il giudice Salvini 80, secondo altre fonti addirittura 200) di estremisti neri si riunisce ad Atene, sotto l’egida dei servizi italiano e greco, con la presenza di Pino Rauti, di Stefano Delle Chiaie e di Mario Merlino: un convegno-monstre con l’obiettivo di spiegare le modalità di infiltrazione dei terroristi neri in movimenti di sinistra. Tornato in Italia, Mario Merlino sarà il neofascista incaricato a farlo e a guidare altri infiltrati neri.
Il colpo di stato greco dei colonnelli era stato finanziato dalla Cia e dai fondi provenienti da un’importante banca di Chicago, la Continental Illinois National Bank, che per farli arrivare in Europa si appoggiava, indoviniamo a chi?, alla Banca Privata di Michele Sindona, l’uomo dello Ior e della P2, che a sua volta finanziò i colonnelli greci e Ordine nuovo anche in prima persona. Un bel giro, non c’è dubbio. Che è stato smascherato e che viene da lontano.
La stagione delle stragi poteva cominciare.

Da Quaderni Vicentini n. 5 in edicola e nelle migliori librerie

[1] Neal Ascherson, Michael Davie, Frances Craincross, 480 held in terrorist bomb hunt. Italy: fear of revolts returns, “The Observer”, 14/12/1969, pp. 1-2. Cfr. Mirco Dondi, L’eco del boato, Storia della strategia della tensione 1965-1974, p. 5, Editori Laterza, Bari, Nov. 2015.

[2] Citato da Benedetta Tobagi, Piazza Fontana, Il processo impossibile, Einaudi, Torino, 2019, p. 30.

[3] Piazza Fontana…, ibidem, p.11.

[4] Tribunale di Venezia, Sentenza Ordinaria contro Ciccutini Carlo più 33 riportata in Venti anni di violenza politica in Italia 1969-1988 (a cura di Carlo Shaerf, Giuseppe De Lutiis, Alessandro Silj, Francesco Carlucci, Emilio Bellucci, Stefania Argentini) Università La Sapienza, Roma, 1992, T. 1, p. 16.

[5] Mirco Dondi, ibidem, L’eco del boato,…p. 5.

[6] Cfr. Mirco Dondi, ibidem, p. 27.

[7] Mirco Dondi, ibidem.

[8] Cfr. Marco Dondi, cit. p. 27.

[9] Cfr. Marco Dondi, cit., p. 413.

[10] Sulle armi americane presenti in depositi segreti prima delle elezioni del 1948 si legga La notte dei gladiatori. Omissioni e silenzi della Repubblica (a cura di Mario Coglitore e Sandro Scarso), Calusca edizioni, Padova, 1992. Si legga anche l’intervista del «Corriere della Sera» del 15 gennaio 1992 ad Alberto Bondielli, primo presidente Dc della provincia di Massa Carrara, esplicita già nel titolo: Ha 90 anni e ricorda: i fucili li avremmo presi nella caserma dei carabinieri.

[11] Rispettivamente CpiTS, 13 L., V. 2, T. 2, p. 546 e CpiTS, 13 L., V. 1, T. 2, p. 81.

[12] Cfr. Gerardo Serravalle, Gladio, Edizioni Associate, Roma, 1991. Virgilio Ilari, Storia militare della Prima Repubblica, Casa Editrice Nuove Ricerche, Ancona, 1994.

[13 Secondo G. Serravalle, ibidem, “i sovietici sono al corrente della struttura”.

[14] Cfr. Benedetta Tobagi, Piazza Fontana…cit. p. 15.

[15] Davide Conti, Gli uomini di Mussolini (Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana), Einaudi, Torino, 2017.

[16] D. Conti, ibidem, risvolto di copertina.

[17] Claudio Pavone, Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Boringhieri Editore, Torino, 1995.

[18] La stessa parola d’ordine è riferita anche da Philip Willan, I burattinai. Stragi e complotti in Italia, Pironti Editore, Napoli, 2000 e da Marco Sassano, Sid e partito americano, Marsilio, Padova, 1975.

Entrambi citati anche da Mirco Dondi, L’eco del boato, cit.

[19] Daniele Mastrogiacomo, Maletti, la spia latitante. La Cia dietro quelle bombe, “La Repubblica” del 4 agosto 2000.

[20] CpiTS, Commissione Parlamentare per il terrorismo e le stragi, 13 L, V. 1, T. 2, p. 265. Documenti forniti dal giudice Libero Mancuso citato da Mirco Dondi, L’eco…, cit. e da A. Giannuli, Il noto servizio. Le spie di Giulio Andreotti, e.book.

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Pino Dato
Pino Dato (all'anagrafe Giuseppe Dato) è uno scrittore, editore e giornalista italiano. Dal 1953 si è stabilito nel Vicentino dove vive, a Creazzo. Si è laureato in Economia e Commercio a Ca' Foscari, Venezia, nel 1968, discutendo con Agostino Gambino una tesi su Associazioni non riconosciute e personalità giuridica. Si è laureato in Lettere a Ca' Foscari, Venezia, nel 2004, discutendo con Ilaria Crotti una tesi su Goffredo Parise Il manoscritto ritrovato, Goffredo Parise, gli Americani a Vicenza. Si è laureato in specialistica Letteratura e Filologia Italiana, sempre a Ca' Foscari, nel marzo 2007.Pino Dato era diventato giornalista pubblicista presso l'Ordine dei giornalisti di Venezia il 4 maggio 1971, e collaborò per alcuni anni a: Paese Sera, Il Secolo XIX, Il Mattino di Padova.Nell'agosto 1964 fonda a Vicenza il periodico Il Sospiro del tifoso, che si autodefinisce periodico di critica e politica sportiva e, dal 1975, periodico di sport e cultura. Il periodico nei primi anni di vita è distribuito gratuitamente nei luoghi pubblici e allo stadio di Vicenza, successivamente è posto in vendita al prezzo del quotidiano. Il Sospiro del tifoso esce continuativamente con la periodicità stabilita, quindicinale, fino al 1989, per 25 anni,e Pino Dato ne è direttore responsabile oltre che editore. Ha una periodicità molto limitata - da uno a due numeri l'anno - dal 1990 al 1994, per poi riprendere con la consueta quindicinale nel gennaio 1995 fino al 2002.Nel 1983 Pino Dato fonda la casa editrice Dedalus e nel dicembre dello stesso anno dà alle stampe il suo primo libro Dimenticare Vicenza?. Protagonista del libro è la città di Vicenza e il suo ricco prontuario umano di personaggi politici, sportivi, letterari, contemporanei e no. Il libro ha una distribuzione solo provinciale ma in breve esaurisce le 2000 copie stampate. Nel febbraio 1984 ne esce una seconda edizione di altre 1000 copie.Dall’autunno del 2010 collabora al giornale on line LETTERA43.it.Tra le sue pubblicazioni:• Quasi erotica, poesie, 1985;• Vicenza, briganti e gentiluomini, racconti e articoli, 1988;• Dimenticare Vicenza? 2, ritratti vicentini, 1991;• Vicenza, la penombra che stiamo attraversando, saggi politici, 1996;• Vicenza, la città incompiuta – Da Maltauro a Ingui nell'urbanistica negata. Il caso del Parco delle Fornaci, con Fulvio Rebesani, 1999 – un saggio sulla mancanza di un disegno urbanistico della città;• Un laccio al cuore, romanzo (di ambientazione americana, periodo maccartista), 2001;• Storia del Vicenza (Acivi, Lanerossi e Vicenza nel secolo breve) – storia ragionata del primo secolo di vita della società più prestigiosa del calcio vicentino – 2002;• Sillabario vicentino - personaggi e interpreti dalla A alla Z - 2003;• Onisto Un vescovo pastore nella sacrestia d'Italia) – Con Fulvio Rebesani. Storia di un vescovo in perenne conflitto con i poteri forti – 2005;• Vicentinità (Il manoscritto ritrovato, Goffredo Parise, gli Americani a Vicenza), 2007.• L'ultimo anti-americano (Goffredo Parise e gli USA: dal mito al rifiuto), 2009, Aracne editrice, Roma