Marlane Marzotto, Pci Veneto: la sentenza della Cassazione riapre il caso

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Marlane Marzotto, operai senza guanti e maschere maneggiano i tessuti tinti
Marlane Marzotto, operai senza guanti e maschere maneggiano i tessuti tinti

La Corte di Cassazione (…) annulla la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro impugnata dalla parte civile Comune di Tortora nei confronti di tutti gli imputati – con esclusione di Pietro Marzotto – e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Questa notizia fa riferimento alla sentenza del primo processo d’appello relativo alla Marlane Marzotto che mandava assolti tutti gli imputati. La si può trovare, con qualche fatica, in pochissimi siti internet (infopinione.it, vipiu.it) secondo una “tradizione ormai consolidata” grazie alla quale della Marlane e degli oltre 100 lavoratori deceduti a causa di varie tipologie di tumore si parla e si scrive poco o nulla.

Alla Marlane di Praia a Mare (che fu di proprietà di Eni-Lanerossi e poi di Marzotto) per molti non è successo niente o, forse, è meglio (si è fatta una scelta?) che tutto venga nascosto da un silenzio colpevole e soffocante. Oltre cento morti e un inquinamento che ancora oggi insiste nell’area dello stabilimento, a distanza di anni dalla sua dismissione, non sono bastati a raggiungere sentenze che indicassero dei responsabili. Le motivazioni della sentenza del processo d’appello ci erano sembrate da subito in contraddizione con la piena assoluzione di tutti gli imputati. Oggi le nostre perplessità (sarebbe più corretto dire le nostre certezze) vengono confermate e, almeno in parte, avvalorate dalla decisione della Corte di Cassazione. Così sembra riaprirsi una vicenda che, per quanto ci riguarda, non poteva e non potrà essere mai definitivamente chiusa in quanto è emblematica di come, in un sistema che è basato esclusivamente sul profitto e sul mercato, vengono considerate le persone che lavorano e l’ambiente. Nient’altro che “cose” che possono e devono essere sfruttate. Forse della sentenza della Cassazione si potrà tenere conto nel processo “Marlane bis” che è in atto e del cui andamento si sa ben poco (secondo processo che interessa altre trenta vittime circa della “fabbrica della morte” di Praia a Mare). Forse, la sentenza della Cassazione, apre qualche spiraglio e riattiva la speranza di ottenere finalmente quella giustizia fino a oggi negata.

In questo momento il nostro pensiero va ai parenti delle vittime e a chi, in tutti questi anni, ha cercato di conoscere e capire cosa fosse successo nello stabilimento di Praia a Mare. A chi ha continuato a lottare e a quei pochi mezzi di informazione che hanno seguito la tragedia Marlane-Marzotto sfidando ignoranza, censura e indifferenza. E siccome non vogliamo citare solo dei numeri perché di persone si deve parlare, il nostro pensiero va a Teresa, la figlia di Angelo operaio della Marlane, ucciso, come tanti, dal tumore, certo, ma soprattutto da condizioni di lavoro insopportabili e pericolose.  Teresa, come altri che hanno continuato e continuano a lottare, non fa niente di eroico. Semplicemente lotta perché non riesce a dimenticare cosa è successo alla Marlane di Praia a Mare. Non lo ritiene né possibile né giusto. È anche per lei e grazie a lei, per chi è coinvolto o si è lasciato coinvolgere dalla parte giusta di questa dolorosa tragedia del lavoro, per il rifiuto dell’indifferenza e di chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie che noi comunisti abbiamo lottato e continueremo a farlo.

Noi vogliamo ribadire con forza che, con la sentenza della Corte di Cassazione, non finisce e non inizia niente, Non è una vittoria. Si è solo fatto un piccolo passo verso l’obiettivo di ottenere un minimo di giustizia. Si sappia che non ci possono essere né vittorie né conclusioni possibili per chi ha perso i propri cari, per Teresa e i tanti “dimenticati” da un sistema che predilige l’avidità degli sfruttatori rispetto alla vita di chi lavora.

Vogliamo anche affermare che, in vicende come quelle della Marlane-Marzotto, non ci si deve né ci si può arrendere, né scendere a compromessi. Bisogna continuare ad agire per conoscere, capire, informare, avere e creare coscienza che non si possono tollerare quelle condizioni di sfruttamento e di precarietà che troppe persone sono costrette ad accettare per poter lavorare.

Quello che è successo alla Marlane ci insegna come non sia ammissibile che cittadini, lavoratrici e lavoratori siano considerati strumenti o pezzi di ricambio e che sia normale subire condizioni di lavoro che causano fatica insostenibile, infortuni, malattie, morte.

Giorgio Langella, segretario PCI – Federazione regionale del Veneto