Moody?s: rating Italia a un passo da “spazzatura”. FQ: ora lo spread fa paura

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Il temuto e atteso declassamento del debito italiano arriva a tarda sera: l’agenzia di rating Moody’s taglia il giudizio di affidabilità dell’Italia da Baa2 a Baa3, con outlook, cioè previsione sul futuro, stabile. Quindi non dà già per scontate altre riduzioni imminenti. La motivazione della bocciatura è tutta politica: il taglio del giudizio è legato a un “cambio concreto della strategia di bilancio, con un deficit significativamente più elevato”. All’aumento del disavanzo, osserva Moody’s, non corrisponde una “coerente agenda di riforme per la crescita”, e questo “implica” che la crescita rimarrà bassa. E dunque il debito, che non scende, è meno sostenibile.

 

 


L’Italia è così ora soltanto una tacca sopra il cosiddetto “investment grade” nella scala di Moody’s, appena sopra la soglia che permette di portare in garanzia i titoli italiani alla Banca centrale europea. Se tutte le quattro agenzie di rating principali dovessero portare il loro giudizio sotto quel livello, e basta un altro declassamento, il mercato per il debito pubblico entrerebbe in crisi. Molti investitori come i grandi fondi pensione dovrebbero vendere tutti i titoli in portafoglio. E non è escluso che qualcuno cominci già ora, dopo il primo declassamento di Moody’s cui seguiranno, come accade di solito, anche quelli di Standard & Poor’s, Fitch e magari anche della più clemente Dbrs.

Le conseguenze sui tassi di interesse pagati dal Tesoro si vedranno presto. Intanto il problema sono le banche italiane: il loro destino è legato a quello del debito pubblico italiano, ogni fiammata dello spread si trasferisce in una picconata al valore di Borsa degli istituti di credito. E ieri lo spread è arrivato a toccare valori che non si vedevano dal 2013, due anni prima che la Banca centrale europea avviasse il suo programma di acquisti straordinari di debito pubblico tuttora in corso: in mattinata la differenza di rendimento tra titoli italiani a 10 anni e titoli tedeschi di pari durata è arrivata a 340 punti per poi scendere a 301.

I mercati sono molto reattivi allo scontro con la Commissione europea sulla legge di Bilancio: da settimane gli investitori sono convinti che la bocciatura della manovra possa essere l’inizio di una fase conflittuale che potrebbe mettere a rischio anche la permanenza dell’Italia nell’euro. Il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, attende la lettera che il ministro del Tesoro, Giovanni Tria, deve mandare entro martedì per rispondere ai rilievi di Bruxelles (“deviazione senza precedenti” dagli obiettivi di riduzione del debito). Nessuno si aspetta che il governo cambi i numeri. “Se lo spread arriva a 350 perché questi litigano è un problema”, dice il vicepremier Matteo Salvini. Ma non sembrano le tensioni sul decreto fiscale ad allarmare gli investitori. Chi scommette al ribasso si è preparato nei giorni scorsi e da lunedì ripartirà all’attacco.

La scelta del governo Conte di abbandonare gli impegni di riduzione del debito che, pur con mille flessibilità e compromessi, erano stati rispettati dagli esecutivi precedenti, fa apparire ora il nostro debito complessivo meno sostenibile, i mercati chiedono quindi un tasso d’interesse più alto, questo ha l’effetto di ridurre il valore dei titoli di Stato già in pancia alle banche, cosa che riduce la loro solidità patrimoniale. Lo spiega l’agenzia di rating Fitch in un report diffuso ieri. Le banche italiane hanno titoli di Stato in bilancio per quasi due volte il loro patrimonio di vigilanza (Cet1). Ma questo è un valore medio, c’è chi è poco esposto (Mediobanca, 40 per cento del Cet1) e chi è esposto moltissimo, come la Banca Popolare di Sondrio (titoli italiani pari a 3 volte e mezzo il patrimonio di vigilanza). Il guaio è che le banche reagiranno tenendosi quei titoli ancora più stretti: secondo le previsioni di Fitch, li passeranno dalla categoria Hold to sell (cioè pronti per la vendita) a Hold to collect (da tenere) per evitare di dover aggiornare il valore ai prezzi di mercato.

Ogni 100 punti di spread aggiuntivi comporta comunque una riduzione del coefficiente Tier1 che va da 8 a 80 punti, secondo i calcoli di Fitch. Questo si ripercuote in prima battuta sul valore di Borsa: le principali banche quotate hanno perso, nell’ultimo mese, tra il 15 e il 20 per cento della loro capitalizzazione.

“L’ulteriore crescita dello spread peggiora le prospettive degli equilibri dei conti pubblici e complica le attività produttive tutte e gli investimenti delle famiglie e delle imprese”, avverte Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, l’associazione delle banche italiane. Il tasso dei mutui variabili, dal quale dipendono le rate di milioni di italiani, non è agganciato direttamente all’andamento dello spread. Ma molti istituti reagiranno alla perdita di valore dei titoli di Stato in bilancio con un aumento del loro spread, cioè del ricarico che mettono sul tasso di mercato alla base delle rate dei nuovi prestiti. Per aumentare i ricavi, a spese dei clienti, ovviamente.

di Stefano Feltri, da Il Fatto Quotidiano