Processo BPVi: Falchi e la caccia alle streghe, Paoli e la “caccia” di Zonin a chi comprasse azioni e non la villa a Cortina

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Paoli al processo Bpvi
Paoli al processo Bpvi

Oggi, chiamato dalla difesa di Gianni Zonin al processo BPVi, ha preso posto sulla sedia dei testimoni Gianandrea Falchi in un’aula del tribunale di Vicenza, cambiata di nuovo rispetto al solito e con un audio del microfono deficitario, tanto da far alzare in piedi per avvicinarsi alla cassa acustica l’unico socio, ex dipendente fino a metà anni ’90, quasi sempre presente nel conclamato vuoto tra il pubblico degli ex soci della Banca Popolare di Vicenza.

Falchi è uno degli ex collaboratori di rango di Banca d’Italia (era addirittura segretario di Mario Draghi quando costui ne era il governatore), che ad un certo punto è diventato consulente della banca di Zonin inforcando una delle numerose “porte girevoli” denunciate in più occasioni dai media (qui un nostro documentato articolo del 2017) con i controllori di via Nazionale (ma anche della GdF e, tanto per non farsi mancare nulla, della magistratura vicentina) che passavano tra le fila delle banche controllate.

Dal 2013 Falchi entrò per quella porta per tenere i rapporti della Bpvi con la Roma dei banchieri “ma il fenomeno delle baciate – ha dichiarato davanti ai giudici – per me era un tema completamente sconosciuto“.

“Con Sorato, specie all’inizio, i rapporti erano corretti – continua Falchi nella sua testimonianza al Processo BPVi- ma dopo la visita in Bce a novembre 2014 si erano deteriorati. Io non aspiravo a nessuna carica nella banca, gli dicevo di stare tranquillo: in seguito alle sue dimissioni ci fu una fase confusa e triste, c’era un po’ una ‘caccia alla streghe’: molte persone con cui avevo buoni rapporti di lavoro erano stati messi al ‘bando’ tra cui Giustini, persona stimata e amata da tutti che era rimasto isolato”.

Falchi al processo

“La grande debolezza – spiega – era dell’intero sistema bancario italiano, c’era un problema in ottica stress test, la Bpvi stava in una fascia intermedia ed era in ottima compagnia, 9 grandi banche su 13 erano sotto controllo. Portai 4-5 volte al cda della banca una relazione sulla nuova normativa e sui rapporti di vigilanza Bce: alcuni consiglieri ne erano a conoscenza, altri cascarono dalle nuvole”.

“La vigilanza Bce era incentrata più sui numeri – precisa -, quella di Bankitalia invece sulle realtà territoriali ed erano sotto osservazione soprattutto i temi del voto capitario e della goverance”.

“Sulla svalutazione delle azioni – aggiunge Falchi – ne parlammo con Zonin che dovette convincere il dg Sorato in quanto era propenso a rimanere intorno ai 50 euro di valore. Zonin mi chiamò dopo l’ispezione Bce e ci vedemmo in ufficio a Roma, ma prima si vide con Piazzetta che ne uscì frastornato. Dopo le dimissioni di Zonin anch’io mi dimisi, il nuovo amministratore non sembrava essere interessato ai miei servizi. Con l’ex presidente però continuo ad avere rapporti e lo considero una persona stimata”.

Zonin, terminata la testimonianza di Falchi, ha insolitamente abbandonato il tribunale del Processo BPVi prima dell’arrivo di Marcello Paoli, ex vice responsabile della direzione marketing dove si occupava della comunicazione e delle campagne pubblicitarie.

Paoli è entrato in Bpvi nel settembre 2014 e ci è rimasto fino all’acquisizione di Intesa Sanpaolo: al processo è stato chiamato dalla difesa Giustini e ha svelato alcuni aspetti chiave proprio riguardo all’ex presidente Zonin.

“Era un presidente esecutivo e operativo, non certo di rappresentanza – ricorda Paoli -, era in banca tutti i giorni, se non nella sede di Vicenza a Roma: in via Battaglione Framarin era facile capire che ci fosse perché le uniche due auto autorizzate a parcheggiare davanti alla sede erano quelle di Zonin e Sorato”.

“Dopo qualche mese dal mio ingresso in Bpvi ho sentito parlare delle baciate – ammette –  anche durante più di una chiacchiera nella pausa caffé, ma all’inizio pensavo fossero dei finanziamenti ponte”.

“Delle grandi operazioni con gli imprenditori – aggiunge – era impossibile che Sorato e Zonin non ne fossero a conoscenza, c’era un forte legame col territorio, era impensabile che non sapessero. Vedevo spesso arrivare importanti imprenditori in banca, come Amenduni”.

E ricorda un episodio in particolare riguardo all’ex presidente: “una volta presentai una campagna pubblicitaria da 100 mila euro a Giustini e Sorato che mi dissero di lasciare a loro i materiali perchè dovevano farli vedere al presidente. La percezione era che Sorato avesse molta soggezione verso Zonin: chi comandava in banca era lui, lo si percepiva dal clima molto ossequioso nei suoi confronti, anche i dipendenti avevano più paura del presidente che di Sorato. Zonin era il deus ex machina della Popolare di Vicenza“.

Poi Paoli cita gli incontri a palazzo Thiene: “avvenivano almeno due volte l’anno, a dicembre 2014 ci fu la mia prima partecipazione: Sorato parlava degli andamenti della banca mentre il presidente Zonin si focalizzava più sulla vicinanza al territorio. Invitò i presenti a comprare azioni della banca piuttosto che una villa a Cortina, invito poi contenuto anche in una lettera indirizzata a tutti i soci. Diceva che la banca era come la ‘musìna’: poi mi sono fatto spiegare il significato del termine, salvadanaio… A Vicenza tutti dovevano essere azionisti della banca secondo il presidente“.

Infine lo scottante tema della vendita delle azioni: “in un periodo in cui si poteva ancora vendere, c’erano tante richieste di cedere le azioni sul tavolo di Sergio Romano (ex responsabile Ufficio soci ndr): mi diceva che andava spesso dal presidente il quale stabiliva quale era l’ordine di priorità nella vendita“.

“Ma c’erano difficoltà – aggiunge Paoli – bisognava contingentare le vendite, ricordo che alcuni colleghi in banca si lamentavano di voler vendere le loro azioni ma non ci riuscivano e avevano disagi anche in famiglia: c’era una lista scritta a mano e Zonin doveva dire quali avevano la precedenza e quali no. Ho visto ad esempio una mail in cui Carmine Ciccarelli, da anni dipendente della banca, implorava la vendita. Un giorno aspettò Romano sotto la banca che gli chiese se fosse sicuro, ricordandogli che suo figlio lavorava in banca: alla fine gliene vendettero solo la metà e gli diedero un finanziamento baciato di importo importo pari al presidio per ristrutturare la casa“.

Evidentemente non una villa a Cortina…


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