Se n’è andato Moti Hakimi, il penultimo Ebreo di Vicenza

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Se n’è andato anche Moti Hakimi in un incidente stradale a Castelfranco Veneto, adesso a Vicenza resta un solo ebreo votante in Comunità e altri cinque o sei che votano, se vogliono, in Comune. Gli stranieri non frequentano la Comunità Ebraica e tantomeno votano, anche se in possesso di doppia cittadinanza. Ora mi resta solo Enrico. Quando questa mattina il Rabbino mi ha chiamato per sapere se ero disponibile a un riconoscimento, gli ho risposto di sì anche se è una delle cose più tristi che si possa fare.
Ma, consapevole del fatto che difficilmente un corpo è più devastato di quello di un attentato, non mi sono sottratta a questa richiesta; poi per fortuna è stato trovato un parente a Milano e sono stata esentata dall’incarico.
Ho appreso dalla stampa che era pakistano, io lo conoscevo come ebreo persiano, visto che negli anni 80 ero solita a Pesach frequentare la sinagoga persiana di Milano. Nel 1941 un censimento del Governo del Pakistan sanciva che gli ebrei pakistani erano 1199, 513 uomini e 538 donne, provenienti dall’India e dalla Persia, ma poi tra il 50 e il 60 a causa di scontri con gli islamici, quasi tutti lasciarono il Pakistan e andarono a vivere in Israele. I più ricchi tornarono in India, nello stato meridionale del Kerela. Una donna rimase fino alla morte – Rachel Joseph – una ex insegnante, che non vantava titoli accademici, ma era molto ricca davvero di cultura ebraica, anima e coraggio, sempre pronta a portare avanti la sua battaglia a favore degli ebrei e della cultura, sfidando mafia ed integralisti islamici… Infatti il cimitero ebraico di Karachi venne profanato solo dopo la morte di Rachel, considerata l’ultima custode, avvenuta il 17 luglio del 2006.
Moti Hakimi non mi aveva mai detto di essere pakistano, ma sempre persiano. Non eravamo legati da un vincolo indissolubile di amicizia, spesso si scontravamo, non gli piaceva molto quel mio modo di dire le cose in faccia, così come stanno le cose e a volte con brutalità, ma nel contempo apprezzava la mia schiettezza; io ho sempre riconosciuto che “era un uomo buono” e, se avevo bisogno di una mano per qualcuno, mi faceva mille domande, ma non mi negava il suo contributo, ci scambiavamo le nostre confidenze e se ci incontravamo ci fermavamo a chiacchierare. Ricordo che una volta ci scontrammo su una persona che lui voleva aiutare ed io no, perché ritenevo – a ragione – che fosse un opportunista. Lui lo aiutò, ci trovammo a Verona qualche settimana dopo e mi disse “Stai zitta, hai ragione, ormai è fatta“. Era buono. Mi piaceva quando diceva di me “Non c’è un Premio per la diplomazia, se ci fosse ti candiderei per vederti perdente“.
Alle figlie, ai parenti il mio pensiero: riposa in pace Moti!