La villa romana di Gianola detta “di Mamurra”, vicino Formia tra storia e leggende

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Cisterna Maggiore 2
La Cisterna Maggiore

Dopo aver parlato delle bellezze nascoste dei sentieri e della biodiversità del Parco Regionale di Gianola, è il momento di raccontare un altro capitolo della sua storia, che ci porta indietro nel tempo, a quando la città di Formia era un importante centro della Repubblica Romana.

Uno dei tre sentieri del Parco, quello detto “di Mamurra”, si snoda in direzione ovest del promontorio del Monte di Gianola, accompagnando i visitatori attraverso un tratto boscoso circondato da sughere e roverelle che, man mano che ci si avvicina al mare, lasciano il posto a una vegetazione di arbusti. Il sentiero arriva poi alla costa, regalando una vista mozzafiato.

Sentiero di Mamurra
Sentiero di Mamurra

Chi non sognerebbe di costruire una villa in un luogo simile? Qualcuno, molti secoli fa, ebbe proprio questa idea. Le rovine presenti su questo versante del promontorio sono ciò di che resta di un grande complesso abitativo di epoca tardo repubblicana. La convinzione che a costruire (e a godere di) questa villa a picco sul mare sia stato il facoltoso cavaliere formiano Mamurra, praefectus fabrum di Cesare in Gallia, è radicata molto indietro nel tempo: l’aggettivo “Mamurranus” (declinato in diverse varianti e “storpiature”) è attestato come sinonimo di Gianola o di Formia, o come attributo delle genti che da lì provenivano, da numerose testimonianze di epoca medievale.

Il tempo, la vicinanza al mare e gli ultimi eventi bellici non sono stati clementi con la villa, che ha visto una buona parte del più basso dei tre livelli sui quali si sviluppava (quello dove si trovavano le terme) oggi quasi del tutto sommerso dall’acqua. Sono tuttavia ben conservate molte parti del complesso, come le due cisterne: la maggiore, oggi rimasta senza copertura, e la minore, detta “delle trentasei colonne”.

La Cisterna Maggiore. Ben visibili le basi dei pilastri, che sostenevano la copertura a volte.
La Cisterna Maggiore. Ben visibili le basi dei pilastri, che sostenevano la copertura della cisterna.

Il tutto era stato progettato nel massimo rispetto dell’armonia: un edificio a pianta ottagonale costituiva, con il suo asse centrale, il fulcro ai lati del quale si sviluppavano l’ala est e ovest della villa, tra loro speculari. Dell’aspetto originario di questa misteriosa costruzione abbiamo notizie grazie ai sopralluoghi del pittore formiano Pasquale Mattej, che la descrisse e la raffigurò nei suoi schizzi a metà ’800, un secolo prima che i bombardamenti della Seconda guerra mondiale infliggessero alla struttura i pesanti danni che le hanno donato il suo aspetto odierno.

Disegno di Pasquale Mattej del 1845, raffigurante il cosiddetto "Tempio di Giano" nel 1847
Disegno di Pasquale Mattej del 1845, raffigurante il cosiddetto “Tempio di Giano” nel 1847
La "Grotta della Janara" foto di Riccardo Eramo
La “Grotta della Janara” foto di Riccardo Eramo

L’edificio ottagonale fu a lungo identificato con un tempio dedicato a Giano, il dio bifronte. Tale supposizione derivava probabilmente dal toponimo “Gianola”; curiosamente, nel tempo si venne a creare la convinzione inversa, ovvero che il toponimo stesso derivasse dalla presenza del presunto “tempio”. Sappiamo però che l’ipotesi più probabile è che a dare il nome a questa località sia stata la dea della caccia e delle selve Diana, conosciuta dai contadini che frequentavano il luogo (lontano ben due chilometri dall’Appia e quindi piuttosto isolato e “selvaggio”) anche con la variante del nome “Jana“. L’interpretazione medievale volle che venisse in seguito identificata con le “janare“, le streghe della tradizione popolare. C’è una parte del complesso archeologico che porta proprio il loro nome: la Grotta della Janara. Restaurata nel 1995, la “grotta” deve questa sua denominazione proprio ad un errore di valutazione, dovuto in larga parte ai detriti che ricoprivano i gradini, resti di mosaici e decorazioni parietali, che oggi la identificano invece come una scalinata coperta, che metteva in comunicazione due dei tre livelli della costruzione.

Il Porticciolo "Romano"
Il Porticciolo “Romano”

Ad ulteriore riprova dell’opulenza che caratterizzava la villa, la presenza delle peschiere, allevamenti ittici fiori all’occhiello delle villae maritimae dei più facoltosi aristocratici romani. Sui resti di queste ultime sorge oggi il cosiddetto “Porticciolo Romano”, la cui conformazione odierna, contrariamente a quanto si pensa, è di fattura contemporanea. Fu un nobile, Afan de Rivera, a commissionarla agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso per facilitare l’attracco delle navi nei pressi della sua tenuta sul promontorio.

Al momento una buona parte del complesso archeologico – con un riguardo particolare per il recupero dell’edificio ottagonale – è oggetto di restauro e ristrutturazione, perché sia presto restituito a cittadini e turisti.