Ancora squadrismo fascista dopo un secolo: “Filosofia in Agorà”. La devastazione della sede della CGIL e il fallimento dell’educazione

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L'assalto fascista alla CGIL e il fallimento dell'educazione
L'assalto fascista alla CGIL e il fallimento dell'educazione

Scriviamo queste righe in preda ad un profondo senso di frustrazione, avvertito a causa del fallimento che siamo costretti a registrare dopo aver assistito sabato 9 ottobre alla devastazione della sede della CGIL a Roma da parte di un piccolo gruppo, sebbene sia stato abbastanza rumoroso, di loschi personaggi che, a vario titolo, si richiamano ancora oggi all’ideologia fascista o, che sarebbe anche peggio dal punto di vista storico, morale e culturale, ad un fantomatico neofascismo.

In questa circostanza sentiamo di aver fallito come adulti per non aver estirpato già all’interno delle nostre case, a partire della conversazione che intratteniamo quotidianamente con i nostri figli e le nostre figlie e da come ci atteggiamo nei loro confronti, il seme di ogni deriva fascista, magari spiegando semplicemente, come fa Tahar Ben Jelloun, nel suo Il razzismo spiegato a mia figlia[1] che la scienza ha ampiamente dimostrato che non esistono razze umane, ma un solo genere umano nel quale i soggetti differiscono per i loro tratti somatici.

Sentiamo di aver fallito come educatori, perché se è vero che il termine latino educĕre, nel suo pregiudiziale ottimismo filosofico e religioso, voglia dire “tirare fuori la parte migliore che è nascosta” nelle persone, allora bisogna prendere atto che tale compito non è stato svolto affatto adeguatamente negli ultimi decenni, considerato che abbiamo permesso a ideologie di guerra e di morte di prendere il sopravvento.

Abbiamo poi fallito come professionisti della carta stampata per non aver denunciato abbastanza, quando era necessario, per timore di ritorsioni o per inseguire il successo mediatico nazional-popolare sui social piuttosto che valori deontologici più nobili, le prevaricazioni che diffusamente la logica fascista ha continuato a mettere in atto nonché le connivenze che quel fascismo genera e registra con successo nella società civile in virtù della sfruttamento dell’indifferenza e del risentimento sociale dilagante.

Non solo, ma abbiamo fallito anche come insegnanti e formatori per non aver fatto della scuola il luogo primario di costruzione, mediante il linguaggio, le conoscenze, le competenze e le abilità, di una soggettività nuova inclusiva e interculturale, in grado di abbandonare tanto il seme del razzismo biologico, quanto quello di matrice religiosa, culturale, etnica, sessuale, nel quale la discriminazione fascista trova il suo humus ideale, come spiega acutamente Pierre-Andrè Taguieff nel sul Il razzismo. Pregiudizi, teorie comportamenti[2].

E, infine, abbiamo fallito come docenti di storia e di filosofia perché, evidentemente, quella storia e quella filosofia di cui siamo stati ritenuti competenti non le abbiamo sapute spiegare adeguatamente e non abbiamo mostrato tutti i legami tra fascismo e razzismo, xenofobia, omofobia, totalitarismo, becero nazionalismo e tutto ciò che i nostri bisnonni hanno subito in Europa e nel mondo a causa di questa profonda negazione del senso stesso dell’umanità in ogni sua forma, che poi è la sola veste che il fascismo e il nazismo hanno sempre indossato.

Ma il senso di frustrazione aumenta quando prendiamo coscienza del fallimento, con e accanto a noi, di almeno due generazioni di adulti, educatori, giornalisti, insegnanti e docenti di filosofia e storia per aver abdicato in maniera convinta alla funzione di costruttori di pace, per aver tollerato forme anche sottili di esclusione e di prevaricazione, per non aver osato infrangere in passato e nel presente più immediato quel velo di ipocrisia liberale che ci fa ritenere il fascismo un’opinione accanto alle altre.

E così, sulla scorta di tale leggerezza, diversamente dalla Germania, che ha impedito anche il patetico saluto romano in pubblico, e dalla Grecia, che ha messo definitivamente fuori legge Alba Dorata, noi abbiamo permesso, nel corso degli anni, ai vari movimenti fascisti, come il Movimento Sociale Italiano o il più recente Fascismo e Libertà, fondato da Giorgio Pisanò nel 1991, di evitare lo scioglimento per il reato di apologia del fascismo, previsto dalla Legge Scelba del 1952, solo perché, nonostante il palese riferimento neonazista, essi non si ponevano programmaticamente nel loro statuto il ritorno della dittatura fascista (sic!).

Ma, forse, il fallimento maggiore, rimanendo su un piano prettamente politico, sta nel considerare l’ideologia del fascismo, con tutto ciò che ha comportato nella prima metà del XX secolo e comporta in questo scorcio tristissimo dell’epoca che viviamo, un fenomeno alieno, estraneo, frutto dell’iniziativa di un manipolo di uomini invasati provenienti da ambienti militari, allora, o da cloache che variamente attingono al tifo calcistico o alle periferie urbane, oggi. Dovremmo, invece, come sostiene lucidamente Luciano Canfora[3], considerarlo una naturale evoluzione delle democrazie liberali europee dopo un processo di chiusura nei confronti della presa del potere da parte delle classi popolari e di martellante sfiducia nei confronti della democrazia parlamentare, cavalcata dai recenti movimenti pigliatutto, che hanno attinto anch’essi, colpevolmente, al bacino fascista in seguito al becero endorsement nei confronti di CasaPound.

È così che, nella generale insensibilità liberale per ciò che è profondamente illiberale, dall’emergere di quella terribile e diffusa prevaricazione nazionalistica e fascista in un’Europa imperiale, caratterizzata da una crisi economica galoppante, si permetteva a spregiudicati personaggi di sfruttare agevolmente il risentimento popolare sulla scorta di un pregiudizio scientifico legato all’affermazione della razza ariana.

Ed è così che, dopo circa 100 anni, in un contesto globale imperiale[4], caratterizzato da un modello biopolitico che manipola la vita sociale, oggi assistiamo, più o meno analogamente indifferenti, anche in seguito alle conseguenze di una crisi pandemica che ha trascinato con sé tutta l’economia, a piazze che si riempiono con una moltitudine di persone guidate da analoghi spregiudicati personaggi che brandiscono ideologie smaccatamente sovraniste e populiste.

Forse è il caso, una volta per tutte, di chiudere i conti con il passato, di riconoscere con chiarezza nella nostra storia la relazione tra oppressore e oppresso, tra liberale e illiberale, giacché solo a partire da tale riconoscimento possiamo con una responsabilità condivisa e un impegno civico costante evitare il perpetuarsi della prevaricazione insita nel fascismo, da combattere in primo luogo con lo scioglimento di tutte le organizzazioni che ad esso si richiamano e in seconda battuta con un’adeguata formazione socio-etico-politica.

[1] T. Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, RCS Libri, Milano 1998.

[2] P. A. Taguieff, Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti, Raffaello Cortina editore, Milano 1999.

[3] L. Canfora, La democrazia. Storia di un’ideologia, Laterza, Roma-Bari 2008.

[4] M. Hardt, A. Negri, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, BUR, Milano 2001.


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a cura di Michele Lucivero

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