l Tribunale di Vicenza condanna gli ex manager di Miteni per disastro ambientale e avvelenamento delle acque nel maxi-processo Pfas, ma la società è fallita dal 2018. Le parti civili ottengono riconoscimenti simbolici e morali, ma sul fronte dei risarcimenti resta una domanda aperta: chi pagherà davvero?
La Corte d’Assise di Vicenza ha emesso oggi una delle sentenze più attese e storiche del panorama ambientale italiano: 11 manager del gruppo Miteni, Icig e Mitsubishi sono stati condannati a pene totali che arrivano a 141 anni di carcere, con singole condanne che oscillano da 2 anni e 8 mesi fino a 17 anni e mezzo. Quattro sono gli assolti (in copertina l’intervista di Martino Montagna a Cristina Colla – No Pfas).

Il Ministero dell’Ambiente ottiene, sulla carta come vedremo, un risarcimento di 58 milioni di euro per i danni subiti. Oltre 300 parti civili, tra cui Comuni, cittadini e associazioni come le Mamme No‑PFAS, si vedranno riconosciuti, sempre sulla carta, indennizzi per l’inquinamento delle falde, che ha colpito circa 350.000 persone in tre province.
Reazione da “bocca aperta”
Al termine della lettura della sentenza, di cui ci occuperemo anche a seguire con i vari commenti che riusciremo a raccogliere anche dei condannati in I° grado, l’aula si è sciolta tra applausi e commozione, con le Mamme No‑PFAS in lacrime e ambientalisti in visibile sollievo. Parole di elogio da Legambiente e Greenpeace: si parla di “sentenza storica, grande vittoria per il popolo inquinato”.
Riconoscimento medico‑legale inedito
Qualche settimana fa, il tribunale civile di Vicenza aveva anche stabilito per la prima volta in Italia la connessione tra esposizione ai PFAS e tumore mortale di un ex-operaio della Miteni, Pasqualino Zenere, riconoscendo il risarcimento alla famiglia (corrieredelveneto.corriere.it). Un passo che è come se avesse preparato il terreno per l’esito della sentenza odierna.
Perché questa sentenza è un punto di svolta
È il primo grande processo penale in Europa a condannare dirigenti per disastro ambientale e avvelenamento delle acque provocato da PFAS
Attesta la responsabilità dolosa dei manager nel non monitorare e comunicare l’emergenza ambientale iniziata già negli anni ’90.
Impone un precedente per future bonifiche: il Comune di Trissino ha già approvato il piano di analisi del rischio, preludio alla pulizia della falda.
Cosa succede adesso
Gli imputati hanno diritto ad appellarsi.
Il percorso di bonifica dovrà passare alle istanze amministrative e tecniche, con un piano operativo entro 6 mesi per sanare il sito Miteni.
Le parti civili seguiranno l’iter: tra loro i cittadini, gli enti, importanti risorse messe in campo grazie ai risarcimenti.
Ma chi pagherà i danni, se la sentenza verrà confermata?
In sintesi il 26 giugno 2025 entra nella storia come giorno in cui si è sancita una giustizia ambientale. Le condanne esprimono una moralità giudiziaria severa verso chi ha anteposto profitti alla salute e all’ambiente, mentre i risarcimenti testimoniano che chi inquina deve pagare. Ora resta da vedere se, al di là delle aule giudiziarie, le acque contaminate troveranno la via della bonifica ed effettiva guarigione. E chi pagherà i danni? Lo Stato?
Il dubbio che “a risarcirli sarà lo Stato”, vi dicono qualcosa le sentenze monetaria di condanna dei vertici di BPVi e Veneto Banca?, nasce da una considerazione sulle difficoltà concrete a ottenere risarcimenti da società dichiarate fallite o in liquidazione, come Miteni, e sulla tendenza (già vista in altri casi italiani) a ricorrere poi a fondi pubblici per coprire bonifiche e risarcimenti, almeno in parte.
Nel caso specifico:
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Miteni è in liquidazione coatta amministrativa dal 2018, e quindi non ha beni sufficienti per coprire gli ingenti danni ambientali e sanitari accertati.
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La sentenza condanna gli imputati anche a risarcire i danni alle parti civili (tra cui cittadini e associazioni) e riconosce importanti danni morali.
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Tuttavia, l’effettività di questi risarcimenti è legata alla disponibilità patrimoniale dei condannati (persone fisiche) e dell’azienda, che è nulla o quasi.
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In casi analoghi (es. Eternit, Ilva, ecc.), l’intervento pubblico – regionale o statale – è stato, poi, necessario per bonifiche ambientali e sostegni sanitari alle popolazioni colpite.
Quindi, non è scritto nella sentenza che sarà lo Stato a pagare, ma il rischio (o la probabilità) è concreto, e già paventato da associazioni ambientaliste, avvocati delle parti civili e giornalisti che seguono il processo.
A livello giudiziario, quella di oggi al processo Pfas è una sentenza-svolta, comunque, che, speriamo, non resti un bel discorso in Corte ma diventi reale pulizia delle acque e, nei prossimi anni, precursore di un’Italia più attenta all’ambiente e alla salute.