Colgo spunto dall’articolo, a firma Federico Nicoletti, apparso su Il Corriere del Veneto ("panino" locale de Il Corriere della Sera, ndr) di sabato 23 gennaio u.s. (dal titolo “Ex popolari, in 31mila si rivolgono alle liquidazioni: i soldi non ci sono”) per tornare su un argomento che è diventato il punto nodale della grave vicenda delle due ex banche popolari venete: su di esse l’organo di Vigilanza bancaria ha sempre tentato di accreditare una verità mistificata, perché basata su dati non veritieri e fuorvianti, per tali palesatisi anche in virtù dei documenti (in origine riservatissimi) recentemente rinvenuti, sui quali io stesso ho avuto occasione di svolgere qualche riflessione su questo stesso giornale.
Federico Nicoletti ha riportato alcuni dati numerici forniti dai commissari delle due banche popolari in liquidazione, traendone alcune conclusioni, che mi permetto di non condividere. Il giornalista annota dati che sembrano suggerire differenti quantità di crediti nei due istituti. Riguardo alle cosiddette “baciate” i commissari hanno parlato di 740 milioni di euro per BPVi e di 238 milioni per Veneto Banca, la quale, c'è da sottolinearlo, a differenza della prima, non ha mai accettato i dati numerici relativi alle operazioni finanziate)
Orbene il consiglio di Amministrazione di Veneto Banca, in documenti ufficiali, il presidente Trinca e l’amministratore delegato Consoli hanno sempre affermato e ribadito che, per la banca montebellunese, Banca d’Italia aveva disposto una ispezione mirata per costringerla a fondersi, in posizione subordinata, in quella di Vicenza, considerata di elevato standing.
In pratica, Bankitalia voleva che Veneto Banca finisse nella pancia di BPVi ed aveva programmato, anche con ispezioni ad hoc, le premesse per una tale soluzione. E, in questa prospettiva, l'Istituto montebellunese aveva accusato Banca d’Italia di essere stata l’artefice della programmata fusione, che, poi, ha finito per portare entrambi gli istituti bancari alla morte.
Banca d’Italia ha sempre e ostinatamente negato tutto ciò, sostenendo la tesi che la banca di Montebelluna era, semplicemente, molto più debole di quella di Vicenza. E, per sostenere questa impostazione, il capo della Vigilanza, dott. Carmelo Barbagallo, ha addirittura fornito alla Commissione parlamentare di inchiesta targata Casini nelle audizioni del 9 dicembre e del 19 dicembre 2017 falsi dati numerici delle due banche. Nell’audizione del 19 dicembre (v. pag. 3 dell'AQR) egli ha addebitato a Veneto Banca percentuali di credito deteriorato maggiori di quelli di Popolare di Vicenza e di molto superiori ai dati medi del sistema.
I dati reali, invece, dicono che Veneto Banca stava meglio di BPVi ed era assolutamente in linea con i dati di credito deteriorato di tutte le altre banche. Per l’AQR, Barbagallo ha affermato che per VB erano stati richiesti accantonamenti su crediti per 600 milioni mentre per BPVi ne sarebbero stati chiesti per 100 milioni. Dall’aggregate report on the comprensive assessment, october 2014 di BCE, si rilevano, invece per Banca Popolare di Vicenza accantonamenti per 728 milioni di euro mentre per Veneto Banca gli accantonamenti si fermavano a euro 572 milioni!
Nell’audizione del 19 dicembre (pag. 15 del resoconto stenografico) il governatore Visco ha affermato di aver incontrato Zonin alcune volte e per non più di cinque minuti. Zonin, invece, in sede di dichiarazioni spontanee al Tribunale di Vicenza, nel processo a suo carico, ha ricordato di aver avuto a Roma, nella sede di Bankitalia, un incontro con Visco e Barbagallo, durato più di due ore e mezza, nel corso del quale, gli era stato dato esplicitamente l’input di procedere alla fusione dei due istituti.
Tutto questo concorre ad evidenziare la singolare anomalia di fondo, che ha innescato il disastro per migliaia di risparmiatori che si erano fidati della tanto conclamata (da parte di Bankitalia) solidità sul sistema delle banche popolari, tradizionale salvadanaio di famiglie e piccole imprese, sconvolto da un improvvido provvedimento legislativo di urgenza, voluto dall’Europa: per realizzare il programma, imposto da BCE, di ridurre forzatamente il numero degli istituti bancari, ritenuto eccessivo, Banca d’Italia ha (peraltro maldestramente) svolto il duplice ruolo di controllore e di regista del sistema bancario. E, in questa equivoca posizione, ha puntato ad un’operazione, la cui forzatura era evidente fin dall’inizio: salvare Popolare di Vicenza usando Veneto Banca. Operazione naufragata per gli errori valutativi di Bankitalia e per i suoi gravi preconcetti verso Veneto Banca, punita anche oltre le risultanze delle plurime ispezioni, accanitamente disposte nei suoi confronti.
Lo stesso governatore Visco, nell’audizione alla commissione parlamentare di inchiesta del 19 dicembre 2017 si è posto il dubbio sui possibili errori della vigilanza, testualmente spiegando: “…ho due rimpianti. Uno è la questione delle sofferenze, non aver spinto con forza le banche ad avere tutti i documenti giusti per le sofferenze che avevano; l’altro è, effettivamente, Vicenza, perché noi, nelle discussioni del direttorio, nelle valutazioni sulla base delle carte, l’abbiamo sempre considerata fino ad allora una banca non straordinaria, c’erano altre “popolari” migliori, ma in quell’ambito sicuramente in grado di fare acquisizioni di banche più piccole”.
Quindi, ai gravi errori di valutazione (costruiti anche su dati falsi) circa la solidità delle due banche si sono aggiunte le insistenti pressioni per accelerare la fusione, che, secondo Barbagallo (come risulta anche dalle testimonianze di Zonin e Trinca, avvalorate dalla registrazione del 19 febbraio 2014 nella sede di Banca d’Italia (pubblicata in esclusiva da questo mezzo e poi ripresa da Il Fatto Quotidiano, ndr), avrebbe dovuto avvenire urgentemente e, comunque, entro novembre 2014, data prevista per il passaggio della funzione di vigilanza bancaria alla BCE.
Si spiegano allora i forti dubbi espressi dall’on. Sibilia, riportati a pag. 35 del resoconto stenografico dell’inchiesta parlamentare del 2 novembre 2017: “dal momento che l’on Capezzone sostiene che l’audito” (Barbagallo) “avanza delle tesi non veritiere, vorrei suggerire alla Presidenza, nell’ambito delle sue facoltà, di trasformare questa sua audizione in testimonianza” …”Concludo dicendo che, personalmente, mi sono fatto un’idea, dott. Barbagallo, che lei eventualmente confermerà. Ho la sensazione che ci sia stata un’operazione di induzione di fusione, tra l’altro scegliendo, tra le due, la banca più debole, che si andava a rafforzare con il patrimonio dell’altra banca più forte, Veneto Banca, facendo fare alla Banca di Vicenza la parte del leone”.
E, ad avvalorare il pensiero dell’on. Sibilia, sono apparsi recentemente due nuovi documenti interni di Bankitalia definiti “riservatissimi”: note per il Capo Dipartimento del 7 febbraio 2014, relativo all’incontro in Banca d’Italia con l’AD di Popolare Vicenza, Sorato, e del 24 febbraio 2014, relativo all’incontro di Barbagallo, con Trinca e Zonin (ViPiù lo ha messo nella disponibilità della Commissione Ruocco e breve lo renderemo pubblico, ndr)).
Insomma, ogni giorno emergono nuovi elementi che valgono a smentire le tesi fino ad oggi prospettate da Bankitalia e, a quanto pare, accreditate dai più, inquirenti e associazioni di risparmiatori compresi: quella secondo cui il disastro (che ha colpito, contemporaneamente, altre banche, oltre alle due venete, in particolare) sia stato frutto non di errori e di deviazioni di sistema, ma di spregiudicate gestioni da parte dei singoli amministratori.
Ma è giunto il momento che tutti, nessuno escluso, aprano gli occhi e si attivino, in qualsiasi sede, per ricercare le reali responsabilità, senza timori e senza riguardo alcuno, se non per la verità.
Nessuno ha finora ritenuto di indagare su quanto accaduto a Veneto Banca, a partire dalla seconda metà del 2015 fino al 2017 con la folle imposizione, da parte di BCE, vedasi la lettera 9 dicembre 2015 a firma Daniéle Nouy, presidente del Consiglio di Vigilanza BCE (anch'essa nota, consegnata alla Commissione e in via di pubblicazione su questo mezzo, ndr), della quotazione in borsa nel momento peggiore della vita della banca e recepita acriticamente dal consiglio di amministrazione del tempo, che ha portato alla drammatica conclusione per la banca e per i suoi soci.
Ma, su questo argomento penso di ritornare prossimamente.
Concludo queste riflessioni con un auspicio. Ho svolto la mia professione di magistrato per oltre 43 anni e, da questa lunga esperienza, ho imparato soprattutto a rispettare sempre, anche in caso di mio dissenso, l’operato dei magistrati e a non interferire sulla loro coscienza. Perciò, non farò ora l’errore di rivolgere un appello alla magistratura perché si impegni a rettificare il distorto (a mio parere) impianto autoassolutorio pensato dai vertici di Bankitalia, impegnati a dar le colpe sempre ad altri.
Vorrei, invece, contribuire a convincere cittadini e associazioni di risparmiatori che i veri destinatari delle loro giuste rimostranze non sono ancora sul banco degli imputati e, se ancora possibile, a ricercare gli opportuni rimedi.
Giovanni Schiavon
Magistrato, già presidente del tribunale di Treviso
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