«Beau non ce l’ha fatta», il pianto umano di Tiziano Ferro ma non i morti sul lavoro in prima pagina: lì c’é anche Bonomi col patto sociale

120
Beau, il cane di Tiziano Ferro
Beau, il cane di Tiziano Ferro

Ieri, un articolo pubblicato in “primo piano” su lastampa.it iniziava così:

«Beau non ce l’ha fatta. Il suo cuore si è fermato durante la notte». Inizia così il triste messaggio che Tiziano Ferro pubblica sul suo profilo Instagram per dare l’annuncio della morte del suo cane.

Lunga lista di morti sul lavoro
Lunga lista di morti sul lavoro

Certamente Tiziano Ferro starà soffrendo, a ragione, per la morte del suo cane. È giusto così. È qualcosa di profondamente umano. Quello che non riesco a sopportare sono gli articoli in primo piano delle testate giornalistiche su questo fatto, mentre lavoratrici e lavoratori continuano a morire nei luoghi di lavoro per infortunio, malore o malattia senza che gli stessi organi di informazione dicano niente.

Certo Tiziano Ferro è famoso, fa notizia il suo dolore … mentre il dolore di chi muore lavorando, la disperazione dei familiari, l’orrore di un sistema che è spietato … rientra nella normalità. E’ il prezzo da pagare per “il progresso”. E poi, bisogna essere realisti: è il profitto che conta e nulla più.

Del resto siamo tutti sulla stessa barca come afferma presidente di Confindustria Carlo Bonomi nella sua intervista (clicca qui) a La Stampa (non a caso la stessa dell’articolo sulla morte del cane di Ferro), Tutti, chi accumula ricchezze enormi e chi lavora, si infortuna, si ammala, muore. Tutti devono accettare un “patto sociale”. Lo chiede Bonomi che finisce l’intervista con “Noi imprenditori amiamo profondamente il nostro Paese. Vorremmo essere ricambiati con lo stesso amore.”

Però, quanto amore disinteressato e quanta dedizione verso il nostro Paese … e che sentimenti “alti” e “puri” nelle parole dal presidente di Confindustria!

Ebbene, io non ci sto e lo voglio dire con chiarezza, quasi come atto di ribellione e accusa.

Leggendo parole del capo di Confindustria e ricordando che da inizio anno sono morte (dati dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro) 365 persone a causa di infortunio nei luoghi di lavoro (senza contare i 276 – lavoratori e lavoratrici – che sono deceduti per covid-19 contratto nei luoghi di lavoro secondo il monitoraggio ISTAT al 31 luglio 2020), io provo un sincero e non sottile disgusto.

La cosa che dovrebbe indignare è anche che lorsignori vorrebbero ci inchinassimo di fronte alla loro “saggezza”.

Ma, ci dicono, cosa si pretende dai padroni? Che provino almeno un po’ di dolore per i morti sul lavoro? Che si sentano anche solo “leggermente responsabili” di qualcosa?

Nulla di tutto questo. Loro non c’entrano mai né con la (poca) sicurezza sul lavoro, né con i licenziamenti, né con i bassi salari, né con lo sfruttamento …

Lorsignori tengono ai propri soldi. Non hanno tempo per altro. Devono guadagnare.

Loro, affermano sempre, non si possono permettere di perdersi in tenerezze, badano ai fatti … sono realisti …

Ecco, Signore e Signori, questo è solo un esempio del “realismo capitalista” nel quale siamo sprofondati.


Clicca qui se apprezzi e vuoi supportare il network VicenzaPiù

Articolo precedenteCampo Marzo, pulizia straordinaria mattutina con Aim Ambiente e sindaco Rucco
Articolo successivoMaltempo in arrivo, un vademecum per i sindaci: la corretta gestione dei volontari di Protezione civile
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.