Che cosa non si farebbe per strappare il consenso

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Sotto uno dei varchi d’ingresso alla Gare Centrale (la stazione centrale) di Bruxelles, un bambino trattiene la madre indicando il soffitto. Tutta la volta è occupata dalla scena di un villaggio con figurine bianche e blu: “Les Schtroumpfs”, i puffi, creazioni proprio di un belga nato a Schaerbeek, Pierre Culliford detto Peyo. Anch’io resto disorientato. Sotto quell’arco abbellito con pietre squadrate di Vallonìa non mi sarei aspettato una striscia di fumetti. Ma non c’è che dire, è in fin dei conti una celebrazione di uno del posto, come se alla stazione di Roma o di Bari ci fosse un grande affresco di una pagina di Jacovitti, con i vermetti e i salami tagliati.

 


Più in là c’è la statua di Leopoldo, poi quella di Alberto che guarda la sposa Elisabetta di Baviera nella piazzetta di fronte al suo monumento equestre. Celebrazioni anch’esse, di un’epoca in cui al popolo bastavano le immagini austere delle facce reali per ricordare il loro potere e incutere soggezione. Tempi in cui il suffragio era limitato ad una ristretta cerchia di cittadini, sebbene il Belgio fosse il paese più all’avanguardia al mondo in tema di democrazia.

Oggi la ricerca del consenso è quotidiana e capillare, e non si può limitare solo ai messaggi litici, come quelli nella vicina cattedrale gotica di san Michele e san Gudula – quasi un’enciclopedia popolare, come in ogni parte della cristianità. Oggi il potere del sistema deve blandire la volontà del popolo fin nel suo più intimo quotidiano, deve mostrarsi familiare e accessibile, persino vicino alle forme del dissenso per strappare alla fine l’approvazione.

Dal romanzo di Michael Ende (Die unendliche Geschichte) tradotto in italiano con “La storia infinita”, è stato tratto un film di successo negli anni ’80. Il romanzo e il film raccontano la storia di un ragazzo che mentre legge viene risucchiato negli eventi raccontati nel libro, fatti di un mondo aggredito da un misterioso “Nulla” a cui si oppongono un giovane cavaliere, una principessa e un cane volante. Il mondo è quello di “Fantàsia” e i protagonisti sono Atreju, l’infanta imperatrice e il fortunadrago, la missione è quella di contrastare la distruzione di un mondo in cui avanzano chiari i segni del neocapitalismo e della sua morale livellatrice e mercificatrice.

I valori etici che soccombono davanti all’avanzata del Nulla sono quelli che predispongono alla totale remissività, “Perché è più facile dominare colui che non crede in niente” come dice Gmork, il servo del potere che si nasconde dietro il Nulla. Una visione questa, che avrebbe potuto far parte dell’armamentario onirico della sinistra, ma che è invece stata scippata dalla destra di Fratelli d’Italia, sempre desiderosa di appropriarsi di immagini e valori fantastici, slegati dalla realtà dei principi sociali ed economici.

La festa di Atreju, organizzata per la prima volta da Giorgia Meloni nel 1998 quale dirigente romana di Azione Giovani (movimento giovanile di Alleanza Nazionale), si è chiusa proprio ieri. Il suo nome nasconde ancora lo scopo di blandire un ragazzo, un cittadino immaturo non ideologizzato, che ha intercettato parziali barbagli dell’ordine sociale e politico, e parzialmente dissente. La leggerezza della missione civile di questo cittadino lo fa ricorrere a figure ideali e fantastiche, a cavalieri e dame lontani dalla realtà dei rapporti economici, figure che dal punto di vista sentimentale e onirico passano docilmente a quello politico.

Ciononostante nel nostro mondo post-ideologico i poli d’attrazione, i fulcri dell’appartenenza possono sorgere con qualsiasi immagine, meglio se con immagini semipolitiche e patrimonio di tutti come Atreju, come un fumetto benigno e colorato. Nel mondo della mistificazione generale, potrebbe anche essere che si utilizzi l’immagine di un cavaliere dei valori per servire il potere che li distrugge. Tuttavia la Meloni avrebbe potuto intitolare la festa “Falkor” – il nome del drago della fortuna con la faccia di cane che guida il cavaliere nella sua avventura – un nome, una faccia con cui identificare se stessa e la missione del proprio partito.