(Articolo sul salario minimo visto da Giovanni Novello di Cub da Vicenza Più Viva n. 2 ottobre-novembre 2023, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Secondo i dati forniti dall’Ocse l’Italia è l’unico, tra i membri europei che vi aderiscono, in cui i salari medi sono diminuiti rispetto al 1990. Che ci sia un problema salariale nel nostro paese, è ormai evidente a tutti; non a caso questo è diventato un argomento largamente dibattuto, e alcune forze politiche hanno indicato nel “salario minimo legale” lo strumento per eccellenza per contrastare questa tendenza. Il crollo della dinamica salariale nel nostro paese è dovuto all’incidenza di diversi fattori: un aumento dei rapporti a part-time, soprattutto “involontari” e diffusi principalmente nei settori dei servizi e tra le donne; l’applicazione di contratti collettivi se non anche alcuni dei cosiddetti “contratti collettivi pirata particolarmente diffusi tra le aziende che gestiscono servizi esternalizzati in appalto; il diffondersi di rapporti di lavoro a cui non sono riconosciute, in parte o in toto, voci del salario diretto e indiretto della contrattazione collettiva come i soci di cooperativa, i co.co.co., le false partite iva monocommittenti, gli stagisti.
Assente dal dibattito, è però la principale causa del crollo della dinamica salariale nel nostro paese, cioè i modelli con cui Cgil-Cisl-Uil, Governo e Associazioni datoriali hanno definito modalità e contenuti della contrattazione collettiva. Il risultato di trent’anni di “concertazione sociale” è rappresentato dal grande divario nella forbice reddituale nel nostro paese, con i profitti degli imprenditori che sono cresciuti esponenzialmente, mentre i salari dei lavoratori sono diminuiti del – 2,9% rispetto al 1990. Quindi occorre una piattaforma più complessiva per rimettere nelle mani dei lavoratori la definizione della “questione salariale”, che riparta da rinnovi contrattuali con aumenti retributivi di almeno 300 euro per recuperare l’inflazione, reintroduzione della Scala Mobile, oltre che un netto contrasto ai contratti precari e alla flessibilità.
La definizione di un Salario Minimo, in questo contesto, può essere un elemento utile per impedire le retribuzioni povere, che oggi riguardano tra i 2 e i 3 milioni di lavoratori dipendenti. Infatti, noi chiediamo un Salario Minimo di almeno 12 euro lordi all’ora, come in Germania. Ciò che però bisogna evitare, è che il salario minimo possa trasformarsi in un elemento sostitutivo dei trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva. L’uscita delle aziende dai contratti collettivi è un rischio giuridicamente possibile: non c’è infatti una legge che definisce come misurare quali sono i soggetti sindacali e datoriali effettivamente rappresentativi, pertanto legittimati a stipulare contratti collettivi con efficacia obbligatoria. Oggi i contratti collettivi sono dei meri atti di autonomia privata. L’introduzione del Salario Minimo, pertanto, deve essere affiancata da una non più rinviabile “Legge sulla rappresentanza sindacale e l’efficacia dei contratti” contrastata dalle associazioni datoriali e dai sindacati confederali. Solo con questa legge, i contratti collettivi sottoscritti dalle parti sociali (la cui rappresentatività verrebbe misurata sulla base, per esempio, di elezioni) sarebbero obbligatori per tutte le aziende del settore e solo così il salario minimo si tradurrebbe in un plafond al di sotto del quale la contrattazione collettiva non può scendere. Inoltre, i lavoratori tornerebbero ad eleggere quali sindacati devono rappresentarli nelle trattative con le aziende, scardinando il “sistema” della “concertazione sociale” che ne ha attribuito il monopolio alla “Triplice” motivo, per cui questi tre sindacati, non hanno mai lottato realmente per una legge sulla rappresentanza sindacale, dato che in realtà finirebbe per danneggiare l’impalcatura del sistema neo-corporativo che in decenni hanno costruito con Confindustria.