… e sono 700 (i morti nei luoghi di lavoro). Con quelli in itinere sono 1435 i morti di lavoro e per il lavoro

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Morti sul lavoro: un'opera di Carlo Soricelli
Morti sul lavoro: un'opera di Carlo Soricelli

E sono 700! I dati diffusi questa mattina dell’Osservatorio Indipendente di Bologna Morti sul Lavoro curato da Carlo Soricelli ci danno la fotografia di un altro anno tragico.  I lavoratori morti a causa di infortunio nei luoghi di lavoro sono 700.

Complessivamente, tenendo conto dei deceduti in itinere, il totale raggiunge un numero impressionante: 1435 persone in quest’anno che volge al termine sono morte di lavoro e per il lavoro.

Senza contare i decessi a causa di malattie professionali dei quali si sa poco o nulla.

I dati pubblicati dall’Osservatorio di Carlo Soricelli non sono statistiche o proiezioni, sono la realtà. Una realtà brutale che tiene conto di tutti i morti sul lavoro e non solo degli assicurati INAIl. Perché non è che se un lavoratore non è assicurato, se è costretto a lavorare in nero, se fa parte dei Vigili del Fuoco (tanto per fare un esempio) allora non è morto. Solamente non fa parte degli elenchi ufficiali dell’INAIL anche se non fa più parte della comunità dei vivi.

Non ci stancheremo mai di ribadirlo: la morte di chi vive del proprio lavoro è raramente dovuta a tragica fatalità. È il lavoro stesso che uccide. Perché è stato trasformato in “violenza” da innumerevoli leggi e decreti che ne hanno svuotato lo spirito e l’obiettivo costituzionale. Non più un diritto di ogni essere umano per riscattare la propria condizione e partecipare allo sviluppo collettivo della società, il lavoro è diventato una specie di elargizione che i padroni fanno. Un regalo al quale, secondo un noto proverbio, non si deve “guardare in bocca”. Anzi, bisogna ringraziare chi lo fa. Non importa se si lavora in maniera precaria, intermittente, stressante, alienante … non importa se le retribuzioni sono talmente insufficienti da impedire la costruzione di un futuro degno di questo nome … non importa se si lavora in condizioni di assoluta insicurezza, se si utilizzano materiali tossici senza precauzioni … non importa se bisogna lavorare fino allo sfinimento ben oltre i sessant’anni … quello che importa è il profitto di “lorpadroni”. È quello, ci dicono, che fa girare l’economia ed è per questo che bisogna adeguarsi a subire qualsiasi condizione venga imposta.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. In questi ultimi anni è stato un crescendo di infortuni, malattie, morte e questo a fronte di un calo complessivo delle ore (ufficialmente) lavorate. Si è tornati indietro, a condizioni di qualche secolo fa, altro che “modernità”.

Quello della sicurezza sul lavoro è un problema serio, anzi è “il problema” che bisognerebbe risolvere. Per la sua soluzione ci vogliono investimenti con una pianificazione adeguata e seria degli interventi da portare avanti. Ci vuole un impulso alla ricerca e allo sviluppo tecnologico finalizzate al “lavorare meglio e in sicurezza”. E ci vuole anche la repressione necessaria di chi delinque perché, si badi bene, non garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro non è una svista, è un crimine e come tale deve essere trattato. Non c’è prescrizione che tenga.

Ci vorrebbero tanti soldi, ci dicono, e l’Italia non li ha … poi si vanno a leggere i dati e risulta che ci sono oltre 100 miliardi all’anno di evasione fiscale, oltre 60 miliardi di corruzione (il Mose insegna di come vengono sperperati i nostri soldi) … si viene a sapere anche che i primi dieci ricchi in Italia hanno patrimoni per un totale di oltre 100 miliardi (ma tutti affermano che la patrimoniale non si può fare) … No, cari signori i soldi ci sarebbero. Il punto è che non volete prenderli là dove sono. Il punto è che i nostri politicanti non vogliono farlo. Che a loro va bene così. Che alimentano la paura non perché le condizioni di lavoro uccidono ma perché ci sono gli immigrati, i diversi, quelli che credono in religioni diverse, gli “stati canaglia” da bombardare. Così si spendono decine di miliardi per le armi, per gli F35, per mantenere nostri contingenti militari (non di pace ma di difesa dei privilegi del mondo ricco a scapito del benessere di quello povero) nelle “aree di crisi” che abbiamo creato noi, la Nato, gli USA, la UE.

I soldi per le devastazioni e la guerra ci sono. Quelli per impedire o, almeno, contrastare il massacro di chi vive del proprio lavoro, quelli no, non ci sono. Trovarli sarebbe un sacrificio troppo grande per chi comanda, per chi “finanzia” la “politica”, per chi la controlla … per i padroni.

Così i 700 morti nei luoghi di lavoro e i 1.435 con quelli in itinere sono un tributo da pagare per la ricchezza di pochi. Qualcosa di normale. Al massimo si fa qualche dichiarazione di circostanza, si fa finta di indignarsi e, in fin dei conti, ci si gira dall’altra parte e si continua a sfruttare, a cancellare diritti perché costano, a considerare i lavoratori parti di un meccanismo. Senza umanità.

Ribelliamoci.

(l’immagine allegata è un’opera di Carlo Soricelli – il tema è chiaro, lavoratore metalmeccanico in croce)

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.