Il giorno della memoria … sempre, dopo quel 27 gennaio 1945 ad Auschwitz

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Il giorno della memoria, sempre
Il giorno della memoria, sempre

Il 27 gennaio 1945, che viene ricordato ogni 27 gennaio come Giorno della memoria, i soldati dell’armata rossa sovietica entrarono nel campo di sterminio di Auschwitz e liberarono gli ultimi sopravvissuti di quello che fu l’inferno in terra. Il genocidio sistematico e “scientifico” di intere etnie, popoli, persone che venivano massacrate perché ebrei, rom, sinti, serbi, omosessuali, testimoni di Geova, “asociali”, “subumani”, politicamente pericolosi essendo comunisti, antifascisti.

Milioni di persone alle quali veniva cancellata, oltre che la vita, qualsiasi dignità umana (e questo è uno dei crimini più brutali e odiosi dell’ideologia nazi-fascista). Da molti definito follia delirante, questa aberrazione è avvenuta in una nazione civile tra le più avanzate culturalmente. E questo ci deve essere di monito e ci deve rendere sempre più attenti e pronti a rintuzzare qualsiasi rigurgito nazi-fascista.

Bisogna avere coscienza ogni giorno e non solo nel Giorno della memoria che, di quello che è successo oltre 75 anni fa, nulla è passato e niente può essere considerato vecchio o un ricordo e basta. Dobbiamo capire che nessuna conciliazione con quella storia è possibile. E che non ci può essere nessun benevole perdono. Quello è stato e perché quello non possa tornare dobbiamo essere inflessibili.

Lo dobbiamo fare perché oggi si possono vedere sempre più fatti che fanno temere il ritorno di quella realtà (che, si badi bene, non è un incubo spiacevole). Episodi che non sono isolati né atti di qualche pazzo nostalgico. Costituiscono una “sirena d’allarme” per chi vuol vedere.

Dalle scritte ignobili, che ricordano la “notte dei cristalli”, vergate sulla porta di famiglie di antifascisti, all’odio verso i “diversi”, gli ebrei e gli “asociali” (e mi riferisco principalmente al popolo romanì), verso chi professa una religione che non è quella “ufficiale”, al considerare un pericolo persone solo perché hanno la pelle di un altro colore, perché sono disperati, profughi, esuli, clandestini … è un susseguirsi di fatti che solo gli indifferenti e gli stolti possono considerare ininfluenti o normali. Non possono muovere solo a una condanna generica ma devono provocare la mobilitazione di tutti “i giusti”.

Siamo noi che dobbiamo vigilare e impedire che la disumanità del nazi-fascismo possa ritornare, che si insinui (come sta già facendo) nelle nostre vite, che assorba le nostre menti, che ci faccia diventare gli aguzzini di chi consideriamo inferiore.

Dobbiamo avere paura di quello che è stato e che sta tornando. Ma la paura non deve ridurci all’impotenza e alla rassegnazione, deve spronarci alla lotta.

E, allora, non solo il 27 gennaio di ogni anno, il Giorno della memoria, ma sempre è necessario avere memoria di quello che è stato. E lottare perché non possa tornare mai più.

Rileggiamo le parole di Primo Levi.

Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

E ricordiamo anche che nell’inferno di Auschwitz, nel 1944, quegli “asociali”, quei “subumani”, quelle persone che oggi tanti chiamano “zingari” con un evidente disprezzo che sconfina nell’odio, proprio loro alzarono la testa e dimostrarono che, anche nelle condizioni peggiori, ribellarsi è possibile.

Da un articolo di Federico Rucco pubblicato su contropiano.org:

“Una pagina di rivolta contro lo sterminio. La ribellione dei Rom nel lager di Auschwitz-Birkenau

Il 16 Maggio 1944, nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, le SS in armi si presentarono agli ingressi dello Zigeunerlager (il campo di sterminio degli “zingari”) per liquidare gli ultimi 5000 Rom e Sinti, donne, uomini e bambini che vi erano rinchiusi.

Normale amministrazione, tutti in fila per entrare nelle camere a gas e poi nei forni crematori, ma questa volta succede qualcosa di anormale: gli “zingari, questi vagabondi, queste persone indegne di vivere”, invece di subire si ribellano. Donne e uomini con ogni mezzo oppongono resistenza e, fatto inaudito, le SS si ritirano, il massacro è sospeso. La rivolta degli “zingari” nel 1944 ad Auschwitz, insieme a quella degli ebrei del 1943 nel lager di Sobibor, furono gli unici episodi di Resistenza attiva, mai verificatisi nei lager nazisti.

… di quegli ultimi 5000 “zingari” dello Zigeunerlager, i circa 2000 più forti che vennero trasferiti in altri Lager e poi i 2.897 rimasti, bambini, donne e vecchi, che vennero sterminati tutti insieme nella notte del 2 Agosto di quello stesso anno …

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.