Cominciamo con alcune premesse, che serviranno a capire l’incredibile orrore urbano che oggi è sotto gli occhi di tutti, si spera inconsapevolmente. Primo: la roggia Seriola non attraversa più la città da cinquant’anni, da quando cioè è tornata a confluire nel Bacchiglione in zona Albera. Secondo: quello del Giardino Valmarana-Salvi è un laghetto artificiale e, nemmeno in questo caso, si tratta della Seriola.
Esattamente come – terza premessa – non lo è quel triste ruscelletto che perimetra a est Campo Marzo e sfocia nel Retrone poco prima di Ponte Furo. E proprio questo è l’orrore. Perché quel corso d’acqua è in realtà una cloaca a cielo aperto. In pieno centro storico e all’interno di un parco che dovrebbe essere una delle grandi bellezze della città.
Visita guidata. Il punto di partenza è nel ramo di via Gorizia che si diparte alla destra di quello principale prima della salita verso via Mure Pallamaio. In corrispondenza del retro di un albergo e del civico 19, le acque (se lo sono) o, diciamo meglio, i liquidi fuoriescono all’aperto sotto una sorta di ponticello e si immettono in quello che era l’alveo del fossato che difendeva la sovrastante cinta muraria. Nell’alveo, una volta, scorreva la Seriola.
Il letto e le rive del rigagnolo sono ben visibili perché, in anni recenti, è stata divelta la siepe sul lato del parco. Ospitava tossicodipendenti in fase di assunzione ed era usata dagli spacciatori per nascondere la droga.
L’immondo spettacolo è quindi ora tranquillamente in bella vista: oltre al liquido, alto pochi centimetri, di composita natura e ignota origine, il fondo del fossato ospita spazzatura di ogni tipo, anche se prevalgono lattine e bottiglie. Anche le pareti del fossato sono ricettacolo di rifiuti. E non manca la fauna: una bella colonia di pingui pantegane condivide il territorio con poche ignare anatre.
Ma che fine ha fatto la Seriola? È tornata a confluire nel Bacchiglione in località Albera, poco lontano dalle sorgenti alle Maddalene Vecchie. Uno dei siti naturalistici più affascinanti di Vicenza. Ma la roggia ha fatto parte della città per sette secoli, da quando – nel Trecento – è deviata verso sud per diventare opera difensiva delle mura: le incontrava a Porta Santa Croce e le affiancava fino alla Rocchetta, attorno alla quale virava ad angolo retto verso Porta Nova e il Castello. Da qui passava sotto la omonima Porta e proseguiva fino alla confluenza nel Retrone.
Nel Cinquecento, i Valmarana si appropriano del tratto fra la porta e il maniero per alimentare la peschiera che cinge su due lati il loro giardino. La Seriola ha perso la sua funzione militare ma continua a fornire acqua ed energia idraulica alle case e ai laboratori lungo il suo percorso.
La roggia resiste a cielo aperto fino al Novecento, almeno nella tratta esterna al centro città. Ma, alla fine, è interrata anche in viale Trento e riappare alla vista dei cittadini solo quando sbuca sotto la Loggia del Longhena del Giardino Salvi. A metà degli Anni Trenta la Seriola finisce intubata anche sotto Piazzale Roma e tutta l’area antistante Porta Castello assume l’aspetto che, più o meno, è quello attuale.
Ma da quando (Anni Sessanta) i reggitori della città decidono di rimandare la roggia nel Bacchiglione, la sua acqua non arriva più in centro. La peschiera del Giardino Salvi dev’essere alimentata da falde artesiane ed è isolata con una paratia la galleria sotto Piazzale Roma. Un tratto di questa è sicuramente abbattuto per far posto al parcheggio sotterraneo di un supermercato che sta all’inizio di viale Roma.
Cosa esce quindi oggi nell’alveo della Seriola? Nulla di buono. Con ogni probabilità si tratta di acque nere che provengono dagli edifici di via Gorizia e di via Mure Pallamaio, di acque piovane e liquami fuoriuscenti dai giardini di quegli edifici e di acque filtranti dai prati del parco e dalla strada. Non proprio chiare fresche e dolci acque, insomma.
La provenienza dei liquidi dalle sovrastanti case è fuori di dubbio. Lungo l’argine sinistro e, in alcuni punti, direttamente dai muri di contenimento dei giardini privati si aprono numerose bocche di condotti di un diametro sovradimensionato per la sola funzione di scarico di acque piovane.
Da decenni, dunque, il centro è abbellito da questa cloaca che non si limita a versare in uno dei due fiumi di Vicenza le schifezze rilasciate dalle abitazioni ma che ha creato ai suoi lati un ambiente inquinato anche dalle immondizie e dai rifiuti che cittadini, privi di qualsiasi scrupolo e educazione, ritengono opportuno e comodo scaricare lungo il mezzo chilometro del percorso.
Nel caso della cloaca di Campo Marzo le autorità non si sono però scatenate in progetti di recupero o riutilizzo irrealizzati, come invece hanno fatto nei decenni per altri siti. Si è parlato molto di rivitalizzare il maggiore parco cittadino ma i propositi sono stati indirizzati piuttosto alla sua liberazione da tossicodipendenti, spacciatori e gang. Cosa peraltro non riuscita nemmeno all’ultima amministrazione, che pure ne aveva fatto uno dei punti qualificanti del programma elettorale. Il sindaco Rucco, presentando il recente progettone di riqualificazione del quadrante sud-ovest (e quindi anche di Campo Marzo) non ha parlato della ex-Seriola. Ci vorrebbe, invece, un piano specifico per risanare e dare un valore ambientale a questo margine del parco.
Almeno, intanto, mandasse le municipalizzate a fare un po’ di pulizia.
Qui gli articoli della rubrica “La Vicenza degli orrori”
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