«E quivi in lettre d’or un motto dica / a gloria non si vien senza fatica». Era la scritta, purtroppo oggi scomparsa, che campeggiava sopra la soglia della scala di Palazzo Sale Serbelloni a Vicenza. Parole sante, vien da dire, pensando alle lungaggini, ai rinvii, ai mille progetti irrealizzati che identificano da più di un secolo le procedure di tutela, ripristino e riutilizzo del patrimonio architettonico, monumentale e ambientale della città. Il più delle volte, però, non basta nemmeno la fatica e, non solo non arriva la gloria, intesa come riuscito compimento di un iter, ma il risultato è zero. Tutto resta nello stato in cui versa da decenni e, intanto, il tempo fa il suo corso e ciò che era solo malmesso diventa rudere.
È questa la sorte che si prospetta anche per il palazzo di proprietà Ipab che sorge con la facciata in contrà Oratorio dei Proti e, sul retro, nella suggestiva ansa del fiume Retrone, che porta al ponte intitolato all’apostolo Paolo e che ha come sfondo la loggia meridionale della Basilica Palladiana. Siamo in pieno Centro Storico, insomma, a pochi metri dal fulcro urbano di Vicenza.
Chiariamo subito che Palazzo Serbelloni non è una delle architetture top della città. Tant’è che pur approfondite ricerche non hanno trovato fonti da cui conoscere la data dell’edificazione, il progettista e il committente. Strano davvero, sia perché è nota la storia di pressochè tutti i palazzi storici vicentini, sia perché quello Serbelloni non è certo uno dei meno pregevoli. Tutto si sa, invece, dell’adiacente Ospizio dei Proti, imponente edificio eretto da Giampietro dei Proti all’inizio del Quattrocento trasformando un paio di palazzi di famiglia in una (si direbbe oggi) casa di riposo per nobili in decadenza e povertà. Destinazione, questa, decisamente singolare: beneficenza di casta, non proprio spirito cristiano. L’ospizio ha due facciate su strada: quella principale dà su contrà Proti, quella laterale sulla perpendicolare contrà dell’Oratorio. Che si chiama così perché in questa fronte è incastonato un piccolo edificio religioso, un oratorio appunto, dedicato alla Madonna Sancta Maria Misericordiosa. Tutta la fama, però, si è concentrata sull’Ospizio, che ha oscurato il forse meno appariscente vicino, il Palazzo Serbelloni.
Il frontespizio è elegante anche se semplice (è arricchito da una serliana al piano nobile) e gli interni, articolati su due livelli, pur non essendo spettacolari, presentano il meglio nel salone del primo piano decorato da eleganti stucchi. Affascinante il giardino posteriore a picco sul fiume, più o meno nel punto in cui c’era un porto commerciale.
Ribadito che nulla si sa delle sue origini, da una scheda della Sovrintendenza di Verona risulta che si può all’incirca precisarne la costruzione alla metà del Seicento e che, nella proprietà, si sono succedute alcune delle nobili famiglie della città: i Trento, i Caldogno, i Sale. Nel 1690 Ludovico Caldogno lo affitta a Ottavio Sale, il cui figlio Antonio Nicolò l’acquista e apporta migliorie.
L’aspetto definitivo dell’edificio, che è anche l’attuale, è determinato proprio da questi interventi, come dimostra la riproduzione che ne fa Giandomenico Dell’Acqua nella famosa pianta di Vicenza del 1711. La progettazione definitiva è attribuita all’architetto Francesco Muttoni, attivissimo in città a cavallo dei due secoli.
Un Serbelloni lo acquista nel 1814 e l’ultimo della famiglia lo lascia in eredità nel 1841 all’Ospedale Civile che, trent’anni dopo, lo vende all’Ospizio dei Proti. A questo punto cambia la destinazione d’uso del palazzo: da nobile residenza diventa sede della Congregazione di Carità e, nel Novecento, dell’Ente Comunale Assistenza, che poi lo cede all’Ipab. L’ultima locazione risale a vent’anni fa, l’inquilino è il Coni provinciale. A seguire: chiusura e abbandono.
Il declino di Palazzo Serbelloni comincia così. L’Ipab non ha soldi per restaurarlo ed è costretta a tenerlo chiuso. Nel 2012 Regione, Comune e Ipab sottoscrivono un accordo di programma che varia la destinazione d’uso del Sale-Serbelloni. Tanto per cambiare nel palazzo si potranno realizzare abitazioni, uffici e negozi. La via per attirare il privato è aperta.
L’Ipab lo mette in vendita nel 2014 insieme con altre proprietà considerate non essenziali, l’obbiettivo è trovare le risorse necessarie a sanare il bilancio. Il prezzo non è altissimo, circa un milione e trecentomila euro, ma il palazzo rimane invenduto nonostante la possibilità di nuovi utilizzi.
L’aspetto attuale è desolante. I muri esterni sono grigi e tendono ormai al cupo, le finestre inferriate a piano terra tamponate da assi di legno, il portone serrato e scrostato. L’aspetto degradato è reso peggiore dal contrasto con la luminosità del contiguo frontespizio dell’Oratorio dei Proti. Dal restauro del Palazzo la stretta contrà, poco più larga di una calle veneziana, sarebbe notevolmente migliorata e sottratta all’odierna cupa oscurità. Si potesse, almeno, mettere a disposizione di turisti e cittadini il delizioso giardino sul Retrone, che riserva scorci inediti e suggestivi della grande bellezza di Vicenza.
Nell’attesa non può che continuare a peggiorare “lo stato di forte degrado e decadimento”, riprendendo la delibera della Commissione Patrimonio del 20 marzo 2018. Il rudere in pieno centro è in bella vista.
Qui gli articoli della rubrica “La Vicenza degli orrori”
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