L’emergenza rom di Salvini nasconde la vera “emergenza sicurezza”, quella del lavoro

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Questo è il post di Matteo Salvini di qualche ora fa: “Censimento” dei Rom e controllo dei soldi pubblici spesi. Se lo propone la sinistra va bene, se lo propongo io è RAZZISMO. Io non mollo e vado dritto!
Prima gli italiani e la loro sicurezza”
. Il ministrro dell’interno, dopo aver in parte smentito le aberranti dichiarazioni di ieri sugli “zingari” (“i rom italiani purtroppo te li devi tenere a casa“) e la loro, di fatto, schedatura, oggi smentisce la smentita. E, con parole che derivano in tutta evidenza dalle fascistissime “boia chi molla” e “noi tireremo diritto” ripete lo slogan “Prima gli italiani e la loro sicurezza“.

Bene, cioè male. A quale sicurezza, Salvini, si riferisce? A quella di avere un lavoro? A quella nei luoghi di lavoro? Si fanno queste domande perché l’assenza di lavoro è caratteristica abituale e non solo per gli italiani ma per chi vorrebbe lavorare in generale, mentre chi lavora lo fa spesso e volentieri in condizioni di precarietà e insicurezza devastanti. Perché nei luoghi di lavoro ci si infortuna e si muore sempre più facilmente. Perché, da inizio anno, sono 340 i morti nei luoghi di lavoro e circa il doppio considerando i lavoratori deceduti in itinere e sulle strade. Italiani e stranieri, giovani e anziani, uomini e donne, sul lavoro gli incidenti e le morti non fanno distinguo. Perché è nel considerare la sicurezza sul lavoro un costo e i lavoratori pezzi di ricambio che il nostro paese dimostra una palese inciviltà.

Allora, invece di abbaiare contro etnie diverse dalla nostra (dimostrando, anche in queste sue distinzioni ignoranza se non malafede) il ministro dell’interno operi perché il lavoro sia più sicuro, perché si individuino e si condannino i responsabili dei massacri di lavoratori (i responsabili veri, quelli che di solito non pagano mai perché arrivano attenuanti e prescrizione).

È quella del lavoro la vera “emergenza sicurezza” che mette in pericolo l’esistenza di chi vive del proprio lavoro; non certo l’esistenza di qualche migliaio di “zingari” o l’arrivo di qualche centinaio di esseri umani, inferiori a nessuno, che fuggono da guerre e fame.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.