Made in Italy, Meritocrazia Italia: “Sia marchio d’origine e legalità”

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Made in Italy

Del Made in Italy si parla tanto. E si sa dell’importanza del cosiddetto “marchio d’origine” sui prodotti acquistati.

Pochi sanno, però, che, oltre a garantire la provenienza italiana della merce in vendita, tale indicazione apposta sui prodotti trova anche una precisa disciplina legislativa.
La l. 24 dicembre 2003, n. 350 disciplina le categorie di prodotto che possono definirsi Made in Italy, includendo prodotti realizzati interamente o anche solo in parte in Italia.
Chiaramente la seconda ipotesi necessita di una più rigida selezione: applicando le regole previste dal Codice Doganale Comunitario Aggiornato (Regolamento CE 23/04/2008 n° 450 – art. 36 – sull’origine doganale non preferenziale delle merci), un prodotto può essere considerato di origine italiana (in senso doganale) e contenere, quindi, l’indicazione “Made in Italy” anche quando nel nostro Paese è avvenuta soltanto l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale.

Sul punto rileva, in particolare, l’art. 4, comma 49, secondo il quale «costituisce falsa indicazione la stampigliatura “Made in Italy” su prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine»; si chiarisce che non è prevista l’applicabilità del marchio se l’attività di trasformazione non si sia svolta in Italia o, se ivi svolta, sia stata del tutto marginale o irrilevante.
Si aggiunge che «l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell’articolo 517 del codice penale». Trattasi di vero e proprio delitto – e non di mera contravvenzione –, punito con la reclusione fino a due anni e multa fino a ventimila euro (come previsto dal Decreto Competitività). Il profilo penalmente rilevante della condotta si giustifica in ragione del fatto che è quantomai necessario scongiurare il rischio che prodotti con falsa indicazione di provenienza possano essere commercializzati e distribuiti, in chiara violazione anche del legittimo affidamento del cliente finale circa le caratteristiche del prodotto.
Gli estremi del reato risultano integrati sin dalla semplice presentazione dei prodotti o delle merci alla dogana per la successiva immissione in consumo e vendita al dettaglio.

Il d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito in l. 20 novembre 2009, n. 166 ha, invece, introdotto l’art. 49 bis secondo il quale «costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto».

Particolare regime è riservato ai prodotti alimentari, rispetto ai quali per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale.
Però, a oggi, molte sono le perplessità che ineriscono all’apposizione del marchio, soprattutto quando si tratta di prodotti che sono stati “trasformati” in vari paesi, in quanto di non facile interpretazione risulta la stessa lettura di “trasformazione sostanziale”.

In effetti alcune proposte sono state avanzate, ma risultano allo stato sospese.
A tal proposito si ricorda che ad oggi non ha trovato ancora attuazione la l. n. 55 del 2010, meglio nota come l. ‘Reguzzoni-Versace’, che introduce nel settore del tessile e della pelletteria un sistema di etichettatura obbligatoria per identificare il luogo di origine di ciascuna fase della lavorazione e prevede la possibilità di apporre la dicitura Made in Italy solo sui prodotti di cui almeno due fasi della lavorazione siano avvenute in Italia.

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Fonte: Meritocrazia Italia

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