Morti sul lavoro, un tragico bilancio: 413 nei luoghi di lavoro, 841 con i decessi in itinere

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Morti sul lavoro
Morti sul lavoro

Da inizio anno al 31 luglio sono stati 413 i lavoratori morti nei luoghi di lavoro. Diventano 841 se si considerano anche i decessi in itinere. Nel solo mese di luglio sono morte (nei luoghi di lavoro, senza considerare quelle in itinere) oltre 70 persone.

E’ un massacro al quale non si vuole porre fine. Che si accetta come inevitabile. Si, forse c’è qualche moto di sdegno, una “grande solidarietà” a chi muore e alle famiglie … ma di concreto, cosa si fa? Del resto di questa vera e propria guerra (visti i numeri dei morti e degli infortunati non esito a definirla tale) non si parla se non in casi eccezionali. Così è diventata una “normale” carneficina avvolta nell’indifferenza anche perché è meglio, per “lorsignori”, parlare d’altro, incutere la paura nella “gente” (entità composta ormai da “spettatori”).

Paura per il diverso, per chi arriva dal mare, per chi tenta di sollevare la testa, di non adeguarsi. Si badi bene, nel sentire comune chi è che porta via il lavoro? I migranti (che, tra l’altro, vengono considerati “sfaticati”, privilegiati ecc. ecc. Mai si fa accenno a chi e cosa porta via il lavoro e la vita a chi lavora. Nulla si dice su chi sfrutta, chi pretende di pagare retribuzioni sempre più basse, a chi costringe giovani e meno giovani ad aprire partita iva e lavorare a costi da fame.

E mai si indicano i responsabili veri dei licenziamenti, delle delocalizzazioni, delle chiusure di stabilimenti, dell’inquinamento prodotto da lavorazioni che hanno poco o nulla di sicuro e scarti tossici che devastano l’ambiente e distruggono la salute della popolazione (si vedano i casi Rimar-Miteni e l’inquinamento da PFAS, l’ILVA, la Marlane Marzotto, la Terra dei Fuochi, la Pedemontana con tutti i dubbi – per molti sono certezze – riguardo i materiali utilizzati, l’Eternit con i principali condannati che sono ancora a piede libero in Germania .. e si potrebbero citare centinaia di altri esempi).

Così va il sistema capitalista e questi sono i risultati della cultura del profitto. Un pensiero unico e totalizzante che ci sta distruggendo. Una vera e propria dittatura che ci fanno credere sia l’unica democrazia possibile.

Ma i numeri dei morti di lavoro, l’endemico sfruttamento, l’innalzamento della precarietà a prevalente o unica forma di rapporto di lavoro, la timidezza di chi dovrebbe opporsi a questa barbarie (e mi riferisco anche e soprattutto a quei sindacati che sono ormai integrati nel sistema e si muovono solo per “concordare” con i padroni o con il governo qualche piccolo aggiustamento non certo strutturale a un sistema irriformabile), ci spiegano che la democrazia, quella vera, è qualcosa di lontano, un’utopia astratta. E che sta vincendo quella cultura miserabile, quel “realismo capitalista”, che ci vuole spiegare come l’attuale sistema non sia tanto il migliore, ma l’unico possibile. Così ci vogliono togliere il futuro e la speranza di poterlo costruire migliore e più giusto.

Non arrendiamoci a questo grigiore. Alziamo la testa, ragioniamo e organizziamoci. E, soprattutto, lottiamo.

Io sono sempre dell’idea che non abbiamo nulla da perdere se non le catene. Ma, se riusciremo a unirci e uscire dal torpore che ci avvolge, abbiamo un mondo da guadagnare.

PS: a proposito dei morti sul lavoro, oggi arriva questa notizia (lanazione.it):
Castelfiorentino (Firenze), 1 agosto 2019 – Un operaio albanese di 27 anni è morto in un incidente sul lavoro. Si trovava sul tetto di un magazzino di via Niccoli (la ditta Ve.Ca.) per eseguire lavori di posa di catrame e improvvisamente ha preso fuoco la copertura. L’operaio si è mosso per evitare il fuoco e a quel punto è precipitato da un’altezza di dieci metri sul piazzale dell’azienda. Sul posto sono intervenuti vigili del fuoco, 118 e carabinieri. Inviato anche l’elisoccorso Pegaso ma per l’uomo non c’è stato nulla da fare. L’area è stata intanto posta sotto sequestro e stanno operando anche i tecnici della prevenzione dell’Asl Toscana Centro. La salma è stata già trasferita all’istituto di medicina legale di Careggi. 

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.