Paolo Lioy e le Valli di Fimon nel Vicentino

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Paolo Lioy, pur avendo effettuato studi in legge a Padova senza peraltro conseguire la laurea, fu sempre attratto dalle scienze naturali pubblicando svariate opere sull’argomento, oltre ad essere autore di svariate conferenze scientifiche.

Nel 1853, a seguito di lavori eseguiti per un abbassamento di acque a Meilen sul lago di Zurigo fu per la prima volta annunciata al mondo scientifico da Ferdinand Keller, archeologo svizzero e direttore dell Antiquarischen Gesellschaft, la notizia di un importante ritrovamento: durante gli scavi erano venuti alla luce i resti di villaggi palafitticoli risalenti alla tarda età della pietra e del bronzo; tale fortuita scoperta ebbe una larghissima risonanza nel mondo accademico dell’epoca e diede il via a ulteriori esplorazioni nei bassi fondali di altri laghi elvetici.

Da allora e per tutto l’Ottocento rimase altissimo l’interesse di studiosi ed archeologi per gli insediamenti palafitticoli preistorici, interesse alimentato da continue e importanti scoperte sia sui laghi italiani che esteri, tanto da essere definita un’autentica “febbre da palafitte”; la ricerca era favorita anche dalla massiccia attività di estrazione della torba allora in atto nei giacimenti lacustri.

Paolo Lioy ebbe fin da subito la certezza che tale notizia rappresentasse un importante strumento di indagine e ricerca per il mondo scientifico tanto da affermare con entusiasmo: “Avevo davanti a me un campo quasi vergine e inesplorato”.

Sull’onda dei ritrovamenti elvetici, e successivamente anche nei laghi lombardi, egli ebbe subito la lungimiranza di intuire che tra i siti con potenziale analogia ambientale, in ambito lacustre poteva figurare una particolare area nostrana: il bacino naturale tre le valli di Fimon dove un lago di antichissima formazione, un tempo dotato di esteso bacino, era stato nei secoli progressivamente ridimensionato ed era oggetto di importanti opere di bonifica protrattasi fino ai primi decenni del novecento (Un decreto Reale del 16 dicembre 1926 firmato da Vittorio Emanuele III classificava di prima categoria le opere di bonifica del bacino di Fimon assicurando quindi assoluta priorità nella loro esecuzione).

Il merito di Lioy è proprio quello di essere stato un pioniere nella ricerca e un divulgatore scientifico; si dedicò in maniera approfondita alla Paleontologia, conducendo ricerche sistematiche in Italia e in Europa e diede inizio a vere e proprie campagne di scavo sia nei siti lacustri di Fimon sia nelle grotte di Lumignano.

Da allora, oltre all’amicizia con il Keller, intrattenne copiosi e continui rapporti con altri studiosi dell’epoca, in Italia e all’estero, per continui confronti e dibattiti in materia. Nei territori di Fimon il Lioy iniziò le sue esplorazioni nel 1864 e fu un vero precursore. Accompagnato dal medico del paese (tale Ludovico De Favari) si recò di casa in casa presso i contadini del luogo per chiedere se coltivando le terre limitrofe al lago si fossero mai imbattuti in pali sotterrati, in cumuli di stoviglie o di ossa o in armi antiche, ma da loro ricevette solo risposte sconsolanti e meravigliate “come se parlasse di favole”.

I piccoli proprietari del posto non avevano alcun interesse che venissero deturpate le loro povere colture per imprese di cui non comprendevano l’utilità, se non forse dietro il compenso economico che egli era disposto a elargire.

Senza alcun indizio che ne incoraggiamo le indagini, senza alcuna indicazione da parte di contadini e pescatori del luogo, il Lioy intraprese alcuni scavi nelle aree che riteneva le antiche rive del lago vincendo la resistenza dei proprietari e con l’aiuto della guida alpina Giovanni Meneguzzo.

Dopo aver speso inutilmente tempo e denaro stava rinunciando alla sua impresa quando nel prato chiamato Pascolone dissotterrò finalmente i resti di una palafitta che si estendeva per parecchi metri quadrati con pali di quercia del diametro dai 20 ai 30 centimetri. L’area si presentava stratificata, con torba e limo lacustre che coprivano il livello archeologico vero e proprio dello spessore di circa trenta centimetri contenente grandi quantità di ossa, cocci di vasellame, selci e attrezzi che giacevano su quello che un tempo era stato il fondo del lago.

L’entusiasmo della scoperta gli fece scrivere: “Non credevo ai miei occhi quando, dopo avere per alcuni giorni fatto scavare nelle antiche rive del lago di Fimon presso Vicenza, cominciarono ad apparire palafitte, e intonaci di casolari, e punte di lance di selce, e fionde, noccioli, ossa, carboni.”

E procedendo con l’attività di scavo riuscì a individuare e descrivere quelle “abitazioni” che formavano un piccolo, antichissimo villaggio lacustre: “La disposizione dei pali, che per quanto irregolare accenna a raggruppamenti circolari, le curve interne con argille che servivano di intonaco alle pareti, mostrano che codesti piccoli tuguri erano ovali, oblunghi o rotondi, stipati insieme. Avevano probabilmente conico il tetto e tessuto di canne e di frasche. Certo il pavimento doveva essere cosparso di fori o di botole, per i quali cadevano nell’acqua i rimasugli dei pasti, i cocci, gli utensili.

Gli utensili e le armi erano rozzi: di legno, di pietra calcare, di selce o di osso. L’aspetto delle stoviglie è singolare, hanno una certa rozzezza elegante, una semplicità misera ma superba. Le ossa formano un così vasto ossario che se ne potrebbe raccogliere a carri … Non si potè scorgere traccia di ponti per i quali il villaggio si collegasse alle rive; pare che sorgesse isolato sul lago; presso alle rovine trovai sepolto nel fango un frammento di una piccola piroga scavata in un tronco con l’aiuto del fuoco di cui serba ancora le vestigia”.Travi incendiati, mucchi di carbone e di cenere che ingombrano il fondo gli fecero ipotizzare che il villaggio fosse stato distrutto dal fuoco.

Le zone archeologiche erano caratterizzate da strati riferiti ad epoche più e meno arcaiche e Lioy nelle sue pubblicazioni evidenzia la diversità dei ritrovamenti di uno strato rispetto ad un altro, inoltre descrive minutamente gli utensili e i cocci di vasellame nelle loro varie forme ed ornamenti (molto interessante la presenza di vasi “a bocca quadrata”); poi le ossa e le corna ritrovate attribuendole alle specie animali a cui erano appartenute.

Lioy confrontò le varie specie di flora e di fauna presenti in loco al suo tempo con quelle rinvenute negli scavi (segnala un enorme abbondanza di gusci di tartaruga); riferiva di avere trovato un dente di carnivoro e una mandibola che era in dubbio se appartenesse a una volpe o a un cane, studi successivi hanno dimostrato che apparteneva a un tasso.

Tra i mammiferi domestici il primo la cui assenza appariva notevole era quella del cane, amico dell’uomo da remota data, la cui immagine compare nei monumenti egizi più antichi o coevi alle palafitte, ma questa lacuna non è sufficiente a dimostrare la mancanza di cani nelle palafitte tuttalpiù, afferma Lioy, essendo presenti nello strato archeologico solo le ossa dei resti alimentari si potrebbe affermare che “gli abitatori delle palafitte non erano cinofili come gli antichi Danesi”.

La campagna di scavi proseguì anche nel 1865 ed i risultati di queste indagini vennero pubblicati in una prima relazione che risale allo stesso anno. Notevoli le osservazioni del Lioy sui resti della fauna. “Molti denti di maiali di Fimon sono piatti e smussati; gli individui a cui appartenevano devono essere stati uccisi vecchissimi, e questa longevità potrebbe parere improbabile in animali domestici.

Nei crani di maiali trovati nelle palafitte svizzere più recenti si riscontrano alcune differenze derivanti dalla domesticità.” Rileva la mancanza di ossa di lontre, di ricci e di volpi. “Mancano a Fimon non solo le ossa ma anche le impronte di rosicchiamenti di topi.”

Cervi e cinghiali sono i mammiferi i cui resti sono più abbondanti, cervi a Fimon appartenuti per lo più a giovani esemplari, forse perché i più vecchi erano astuti nell’evitare gli agguati. Erano abbondantissimi i cervi comuni, seguiti dai cinghiali (la cui statura “superava senza paragone quelli di Sardegna e di Calabria”), meno frequenti i resti di buoi con piccolissime corna, caprioli, montoni e tassi, con il predominio quindi di razze selvatiche. L’esame dei resti di cibi vegetali, negli strati archeologici più remoti, indusse il Lioy a ritenere che gli abitanti del villaggio non praticassero l’agricoltura.

In pochissime ossa trovò traccia di fuoco, come se fosse consuetudine cibarsi di carni crude. E l’osservazione dei ritrovamenti animali e vegetali gli dette elementi per ipotizzare una sommaria descrizione del territorio vicentino in quell’epoca: era selvoso e incolto, circondato da una grande foresta dalla quale erano stati prelevati i tronchi delle piante infissi nel fondo del lago. In “Escursione sotterra”, pubblicato nel 1868, Paolo Lioy tra altri saggi naturalistici e di paleontologia fa il punto sulla sua attività di archeologo ed in particolare illustra ancora una volta i ritrovamenti di Fimon, corredando il testo con un bel disegno di una ricostruzione ideale del villaggio palafitticolo.

Paolo Lioy

Nel 1871 il Lioy condusse un’ulteriore fruttuosa campagna di scavo a nord del Ponte della Debba, detto anche Ponte di Legno, sempre nelle Valli di Fimon. Negli anni ottanta dell’Ottocento le successive indagini si allargarono alle valli limitrofe: la Valdemarca e la Fontega, quest’ultima si presentava come un laghetto situato nella conca più settentrionale delle Valli, congiunto in epoche remote con il lago di Fimon. Nella zona della Fontega i ritrovamenti più importanti erano costituiti da parecchie piroghe, ovvero barche scavate con l’aiuto del fuoco in grossi tronchi di quercia, tutte d’un pezzo; purtroppo – afferma il Lioy – esse andarono distrutte per imperizia e negligenza dei recuperanti in quanto il legno, antico e delicatissimo, si sgretolò all’aria aperta.

Ma la torbiera della Fontega doveva riservare altre sorprese ancora più importanti: alcuni “ordigni” (così li definì Lioy) in legno di quercia lunghi circa 70 centimetri e larghi circa 20, che a prima vista avevano l’aspetto di barchette pigmee o di modellini di barche; vennero infatti chiamate “le barchette della Fontega”. Erano costruite per formare “complicati congegni, con fori laterali, con una grande apertura centrale chiusa da due ribaltelle mobili che si aprivano dal basso all’alto, imperniate alle sponde, e con altri perni e assicelle a ruota e vermene ricurve, evidentemente destinate con la elasticità a dare scatto ai battenti”. Questi misteriosi attrezzi furono studiati anche da Luigi Meschinelli, dottore in scienze naturali vicentino, che partecipò agli scavi della Fontega negli anni 1884-1885. Gli studiosi stimarono che di questi strani strumenti ve ne fossero in tutta Europa solo diciassette esemplari. E sul loro utilizzo si aprirono dotte disquisizioni, anche se l’utilizzo più probabile pareva quello di essere trappole per la caccia; ma per quali animali? e perché nella loro rarità erano state rinvenute a distanze così lontane? Il Lioy espose la descrizione di questo enigmatico ritrovamento (l’ultimo esemplare lo rinvenne sempre alla Fontega nel 1895 a una profondità di metri 2,60) e gli interrogativi che comportava in una relazione pubblicata tra gli atti del Regio Istituto di Scienze negli ultimi anni dell’Ottocento.

Mentre la prima pubblicazione sugli scavi di Fimon del 1865 è un saggio succinto di una cinquantina di pagine, con l’edizione del 1876 il Lioy fornisce un resoconto dettagliato della sua attività di archeologo; il libro è corredato da numerose tavole (i cui disegni particolareggiati furono commissionati a tre professori) che illustrano le aree oggetto di scavo, la sezione dei terreni e una ricca casistica dei reperti rinvenuti nelle Valli nonché particolari esemplari rinvenuti in altre zone europee ed extra europee. I ritrovamenti di Fimon dettero al Lioy una vasta notorietà tra gli studiosi anche fuori Italia, tale da fargli affermare: “Questi ritrovamenti ebbero una rinomanza superiore a ogni mia aspettativa, non vi è opera di paleoetnologia italiana ove non si citino per confronti e spesso come fondamento di deduzioni etnografiche, e sono moltissimi i dotti di altre nazioni che vi posero la loro attenzione”. Le sue relazioni venivano presentate ai congressi di antropologia e pubblicate tra gli atti del Regio Istituto di Scienze Lettere e Arti, venivano tradotte e pubblicate anche all’estero. Proseguì le campagne di scavo nella zona di Fimon a più riprese con buoni risultati e successivamente lo seguirono altri ricercatori tra i quali: Luigi Meschinelli che concentrò la sua attività nelle torbiere della Valdemarca e della Fontega negli anni ottanta dell’Ottocento, Gastone Trevisiol che scavò nelle torbiere delle valli di Fimon dal 1942 al 1944; il prof. Broglio dell’Università di Ferrara e il prof. Barfieid dell’Università di Birmingham che negli anni 1969-1972 ripresero le ricerche nell’area individuata da Trevisiol; una campagna di scavo è stata effettuata anche nel 2011.

Il Lioy eseguì scavi archeologici anche nelle grotte di Lumignano, alcune delle quali erano fino allora del tutto insondate. In particolare cita il Colle di Guerra, una tra le più belle e maestose, dove rinvenne una stratificazione archeologica nell’area di ingresso e ne descrisse i ritrovamenti, i cui più interessanti sono stati riprodotti in disegno, nella pubblicazione del 1876. Nel 1884 il Lioy dette alle stampe “Sui laghi”, altro libro che ha come tema l’archeologia lacustre. Quest’opera ha però un taglio insolito, tra il romanzo e il saggio scientifico, e racconta di un viaggio dell’autore presso un borgo montano sulle rive di un lago non meglio precisato, a cui egli perviene con lo scopo di cercare “nuove rivelazioni sui misteri dei villaggi lacustri scomparsi da tanti secoli e dei quali più non restano che rovine accumulate tra i pali nel fondo dei laghi”.

Nel mezzo delle sue escursioni su questo lago montano, circondato da una seducente natura, Lioy riporta spezzoni di discorsi e di conferenze con i quali intrattiene un pubblico eterogeneo di autorità, di studiosi, di accademici e di curiosi che interviene con vivo interesse attirato da tali scoperte e con i quali non manca un vivace contradditorio. Il Lioy, nel definire queste zone archeologiche le “Pompei sott’acqua”, è in grado di sviluppare un resoconto con estesi confronti supportati delle sue conoscenze in materia di archeologia palafitticola frutto di circa un trentennio di studi, facendo ripetuti cenni ai rinvenimenti in analoghi siti sia in Italia che all’estero.

Anche in questo libro dedica largo spazio alla disamina naturalistica, sul catalogare i resti di vegetali e di ossa animali rinvenuti nei fondali e fu in grado di stabilire quali specie fossero allora presenti in natura dai resti dei pasti, in un sito rispetto ad un altro. Un motivo di interesse del Lioy è l’indagine sulle cronologie degli animali che dopo essere vissuti contemporanei all’uomo in alcune regioni vi si estinsero o emigrarono altrove. Tutto ciò perché l’uomo “con la sua azione è più veloce delle cause lente che hanno modificato la flora e la fauna nelle epoche passate”. Riflessione valida, attualissima ai giorni nostri in cui la velocità delle modifiche all’ambiente ha assunto ormai eccessi catastrofici.

E porta un esempio: “Cinque pecore e tre montoni condotti in Australia dal capitano Mac Arthur nel 1779, furono antenati dei cento milioni di pecore le cui lane sono trasportate ora in Europa da centinaia di navi.” Ma il libro è anche intessuto di un racconto misterioso, appena accennato: l’incontro e la conoscenza “di una piccola bruna con gli occhi lampeggianti di fata…” che su di una piccola barca si accosta alla riva al chiarore delle stelle; con lei intesse una relazione amorosa che deve rimanere segreta perché la donna è sorvegliata tenacemente da qualcuno nel gruppo degli ascoltatori.

Non è forse da riconoscere un grado di veridicità a questa storia che diventa un contorno sfumato alla materia scientifica e ne fa quasi da contrappunto e da intreccio romanzato. Potrebbe essere un pretesto, una fantasia per ingentilire una materia di per sé troppo specifica e funerea e romanzarla, così come scrisse Matilde Serao circa lo stile del Lioy, la quale gli riconobbe l’arte di scrivere “tutta questa storia naturale, che pare un romanzo”… Come ha osservato qualche critico Lioy tende a conciliare il lavoro scientifico con le fantasie e le suggestioni del letterato. Fin da piccolo Lioy si era dedicato allo scrivere (e proprio in questo libro egli rammenta gli episodi di quand’era bambino ed esponeva i suoi scritti all’audizione dei famigliari); con gli anni ha incrociato la sua innata passione letteraria con un’altrettanto viva passione per la storia naturale e gli studi scientifici.

Con le sue campagne di scavo Lioy aveva messo insieme una importante collezione di reperti, di cui una parte, fin dal 1876, era stata donata al Museo Naturalistico e Archeologico di Vicenza, a cui si aggiunsero successivamente i lasciti del Trevisiol e di altri. Giova ricordare che alcuni interessanti e rari reperti rinvenuti proprio nelle valli di Fimon, quali piroghe monossili e le trappole a battenti della Fontega, andarono purtroppo completamente distrutti con il bombardamento e il disastroso incendio del Museo nel 1945, all’epoca allestito all’interno del palazzo Chiericati. Lioy portò avanti i suoi studi e le sue ricerche sempre con la consapevolezza che il campo della ricerca sia un terreno oltremodo sconfinato da sondare e lo afferma con una immagine suggestiva: “Scrutando l’antichità dell’uomo sulla terra si prova il sentimento di vertigine, come abbassando lo sguardo verso il fondo di un pozzo del quale non di conosce la fine.”

Fonti di riferimento:

Le abitazioni lacustri della età della età della pietra nel lago di Fimon nel Vicentino di Paolo Lioy – Tipografia Giuseppe Antonelli – Venezia, 1865

Escursione sotterra di Paolo Lioy Treves & C. Editori Milano 1868

Le abitazioni lacustri di Fimon di Paolo Lioy –

Tipografia Giuseppe Antonelli Venezia 1876

Le abitazioni lacustri in “Conferenze scientifiche” di Paolo Lioy UTET Torino 1877

Sui laghi di Paolo Lioy Zanichelli Bologna 1888

Di Luciano Cestonaro da Storie Vicentine n. 5 Novembre-Dicembre 2021

In uscita il prossimo numero di Marzo 2023

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Fonte: Paolo Lioy e le Valli di Fimon nel Vicentino , L’altra Vicenza