Venetisti in piazza a due anni dal referendum: “in Catalogna manifestano molti di più…”

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Un giapponese, un cinese, un peruviano, un veneto… Un americano, un tedesco, un inglese, un veneziano… Seppur per pochi intimi, confusi tra i turisti che affollano Venezia, spirano dal Ponte di Rialto i venti della fronda nei confronti della Lega Nord e del governatore Luca Zaia. Perché dopo due anni, nonostante un governo amico come quello di Salvini e più di due milioni di voti, la richiesta di autonomia del Veneto non si è concretizzata.

NUOVO MOVIMENTO
A Padova diversi esuli del Carroccio lanciano una lista: “Basta patti con i partiti romani”
Nel giorno del secondo anniversario del referendum (22 ottobre 2017) i veneti si sono dati appuntamento nel cuore di Venezia, su chiamata di Marino Finozzi, ex assessore regionale di fede leghista. Sono venuti appena un centinaio, ma si consolano spiegando che “al martedì i veneti lavorano per pagare le tasse”. Però devono ammettere: “In Catalogna hanno manifestato molti, ma molti di più”. Colpa anche della tiepidezza con cui la Lega ha accolto l’evento, che pure dovrebbe marcare un’identità e una richiesta non ancora esaudita.

È vero che Zaia ha mandato un pugno di consiglieri, per non restare isolato da quello che l’avvocato Alessio Morosin, venetista di lungo corso, definisce “un giorno di tristezza, non di festa, perchè non abbiamo raccolto nulla”. Ma è altrettanto indubbio che la piazza chiede fatti concreti e le bandiere con il Leone di San Marco vengono sventolate a Rialto tre giorni dopo la benedizione, avvenuta sabato a Padova, del Partito dei Veneti. Praticamente, un’anti-Lega, il partito dell’orgoglio di chi – come è stato detto durante una convention affollatissima – “non vuole scendere a patti con i partiti romani”. E tra i partiti contaminati ha diritto a un posto anche la Lega per Salvini premier, accusata di guardare troppo all’Italia e troppo poco al Veneto.

L’assemblea di Padova era piuttosto rappresentativa, tra nostalgici della Serenissima e delusi della Lega. In prima fila c’era Silvia Nizzetto, assessore allo sport del Comune di Treviso, il cui sindaco Mario Conte è un fedelissimo di Zaia. Ma c’erano anche gli ex parlamentari del Carroccio Paola Goisis, Paolo Franco, Corrado Callegari ed Emanuela Munerato. Presenze che non passano inosservate. Attorno a loro tante sigle che disegnano la geografia di un venetismo pronto ad andare allo scontro elettorale con la Lega. Il Partito dei Veneti raccoglie Grande Nord, Indipendenza Veneta, il Gruppo Chiavegato (dell’ex leader dei “forconi”, l’imprenditore Lucio Chiavegato), Rete 22 ottobre, Bard-Belluno Autonomo Regione Dolomiti, Progetto Veneto Autonomo e Siamo Veneto di Antonio Guadagnini, il consigliere regionale che vuole sfidare Zaia la prossima primavera.

Si sono già messi pancia a terra per preparare liste e candidati in tutto il Veneto. Il portavoce Giacomo Mirto: “Ora comincia il lavoro capillare sul territorio. Andremo in tutti i Comuni del Veneto a far capire come la partitocrazia italiana abbia fallito e come nel 2020 i veneti hanno la possibilità di voltare finalmente pagina”.

Sarà difficile che riescano a intralciare l’avanzata di Zaia verso la riconferma, ma che siano una spina nel fianco è fuor di dubbio. “Avremo liste di peso, con persone conosciute, preparate e pronte a prendere in mano il governo regionale”. E la Lega? “È a Roma, con la Meloni e con gente che con noi non c’entra nulla. Anche la Lega è diventato un partito nazionale, di quel tipo che abbiamo sempre contestato”.

Il governatore leghista, che finora sul fronte dell’autonomia ha raccolto solo parole, ieri ha reagito con apparente distacco sia alla sparuta manifestazione veneziana, che alla ben più nutrita assemblea padovana, durante la quale è stato tirato in ballo più volte con l’accusa di un’inconcludenza supina al volere di Salvini. Invece di andare sul Ponte, ha preferito la cornice istituzionale e più protetta di Palazzo Balbi dove, circondato dagli assessori, ha celebrato l’anniversario. Non ha citato i venetisti, ma ha mandato loro un messaggio, segno di un certo nervosismo: “Dopo due anni, i veneti non devono fare un errore: se il fronte non è unito, Roma ride. Roma sogghigna, Roma si gratta l’ombelico dalle risate”. Vuoi vedere che, se l’autonomia non arriva anche stavolta, la colpa diventa loro?

Ma quelli di Rialto gli hanno risposto per bocca di Morosin: “Attenti! Salvini sta facendo fuori Zaia, perché gli interessa solo il partito nazionale. E se fa fuori Zaia, si mangia anche il Veneto”.

di Giuseppe Pietrobelli da Venezia per Il Fatto Quotidiano