Via Nava da Consob: era incompatibile

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Alla fine Mario Nava ha gettato la spugna, ponendo fine a una situazione surreale. Il presidente della Consob si è dimesso ieri sera, a meno di cinque mesi dalla sua nomina, dopo l’invito arrivato dalla maggioranza di governo a lasciare l’incarico per “responsabilità istituzionale”. Un gesto maturato dopo che Palazzo Chigi, a quanto pare con l’assenso del Quirinale, aveva deciso di accelerare per chiudere un capitolo imbarazzante nella storia dell’Authority di Borsa: avere al vertice un dipendente “in comando” nell’interesse di un’altra amministrazione, la Commissione europea.

È l’epilogo di un braccio di ferro che Nava ha deciso di aprire con l’attuale esecutivo e con l’ordinamento italiano e da cui è uscito perdente. Tutto nasce dalla nomina del governo Gentiloni che lo aveva designato prima di Natale, nonostante Nava avesse deciso di non mettersi in aspettativa – come impone la legge istitutiva dell’autorità a tutela della propria indipendenza – ma di farsi distaccare in comando da Bruxelles, dove guida la Divisione mercati finanziari, per di più solo per 3 anni mentre il mandato è di 7. Così è rimasto un dipendente a tutti gli effetti della Commissione, conservando l’immunità rispetto alla giurisdizione nazionale, gli scatti di carriera, i benefit e la tassazione agevolata che gli consentivano di ottenere un emolumento netto ben più alto di quello incassato dal suo predecessore. In quanto dipendente di Bruxelles restava poi vincolato ai vari obblighi dei funzionari europei, perfino il dover riferire ogni mese sul suo operato all’amministrazione che lo aveva inviato in comando. Una situazione mai vista nella quarantennale storia della Consob, che avrebbe esposto l’autorità a un mare di ricorsi. Ieri Nava ha rassegnato le dimissioni al collegio dei commissari, convocato d’urgenza, indossando i panni del martire. Parla di “non gradimento politico” e si dice “certo che questo mio sacrificio personale rasserenerà gli animi e permetterà al Governo di indicare un Presidente con caratteristiche a esso più congeniali”. Poi attacca: “Sono stato chiamato con l’obiettivo di integrare la Consob meglio nei vari consessi europei e internazionali. Ora però queste mie caratteristiche e obiettivi sembrano essere considerati un insormontabile ostacolo”. Nell’uscire di scena ringrazia Gentiloni, l’ex ministro dell’Economia Padoan e Sergio Mattarella per “il loro costante supporto”. Anche se il Quirinale non si è mai speso ufficialmente a sua difesa. “Averlo costretto alle dimissioni danneggia l’Italia, è un governo di cialtroni”, attacca Renzi. “Ha preso atto che era incompatibile. Nomineremo un servitore dello stato e non della finanza internazionale”, spiega Di Maio. Mercoledì i gruppi parlamentari di Lega e M5S avevano chiesto al presidente Consob un passo indietro. Nelle scorse settimane Palazzo Chigi gli aveva fatto pervenire inutilmente la soluzione per farlo uscire dall’angolo in cui si è infilato da solo: lasciare l’Ue o mettersi in aspettativa.

Quando si è insediato, il 16 aprile scorso, Nava ha sostenuto di non essere incompatibile e si è giustificato davanti ai commissari spiegando che l’aspettativa gli era preclusa dalle norme europee. Una linea smentita dalla Commissione, che a inizio agosto, per bocca del commissario Ue Günther Oettinger, ha risposto a un’interrogazione degli europarlamentari M5S spiegando che l’aspettativa è una delle due opzioni a disposizione dei funzionari che vogliono andare in un’altra amministrazione. Bruxelles, ha spiegato Oettinger, ha scelto di inviare Nava in comando nel suo interesse dopo aver ricevuto rassicurazioni da Gentiloni che il comando, peraltro triennale, con la subordinazione gerarchica a un’altra amministrazione non avrebbe inciso sulla sua indipendenza che va esercitata con “un mandato in regime di esclusività a tempo pieno”. Un non sense giuridico che per mesi ha creato non pochi imbarazzi a Roma e Bruxelles. Nava ha poi nominato come direttore generale di Consob Giulia Bertezzolo, sua collega a Bruxelles e semplice funzionaria che, al contrario suo, ha chiesto l’aspettativa, smentendo suo malgrado la sua linea di difesa. L’ultima bizzarria di cinque mesi vissuti pericolosamente.

di Carlo Di Foggia e Antonella Mascali, da Il Fatto Quotidiano