Viver con la DaD o seguir virtude e canoscenza? “Agorà. La Filosofia in Piazza”: dopo Pasqua si torna a scuola in presenza…forse

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DaD-tedì
DaD-tedì

di Michele Lucivero e Andrea Petracca

«Fatti non foste a viver con la DAD, ma per seguir virtude e canoscenza IN PRESENZA

La frase, parafrasando il monito dantesco a considerar la propria semenza (le origini) e praticare la virtù e la ricerca della conoscenza, è apparsa durante la manifestazione del 26 marzo 2021 indetta dai COBAS Scuola e Trasporto Pubblico Locale (TPL). Il motivo, che ha portato allo sciopero più di 10 mila persone in 67 città italiane, lo riportiamo semplicemente: riaprire le scuole in sicurezza e potenziare il settore dei trasporti.

Proprio venerdì 26 marzo il Presidente del Consiglio Mario Draghi è intervenuto per ribadire che la scuola è tra le priorità del Governo e che i più piccoli – fino alla prima media – potranno, con l’aiuto dell’esercito, tornare tra i banchi già all’indomani delle vacanze pasquali. Noi, fedeli alla nostra ingenua buona fede, non possiamo che prender nota dell’ulteriore atto d’amore da parte delle alte cariche istituzionali dello Stato nei confronti della scuola pubblica e siamo confortati dal sostegno che riusciamo ad ottenere, noi che a scuola vogliamo andarci e vogliamo che i nostri figli e le nostre figlie continuino ad andare, in massima sicurezza, ovviamente.

E però non possiamo fare a meno di sottolineare l’ennesimo passo indietro rispetto a regole che prima valevano, sulla base di sbandierate evidenze scientifiche, che imponevano la chiusura delle scuole nelle zone rosse, e poi non valgono più, per cui nelle zone rosse le scuole possono restare anche aperte. In tal senso, non possiamo nemmeno esimerci dall’evidenziare il fatto che, nel passaggio dalla guida del Governo Conte a quella di Mario Draghi, il Comitato Tecnico Scientifico si sia ridotto di numero e in gran parte sia stato sostituito, testimoniando come anche la scientificità non sia che una variabile che vira verso le sponde imposte dalla politica, con le sue varianti regionali, che puzzano, tra le molteplici comparsate e le astruse iniziative dei vari Zaia, Emiliano, Bonaccini, De Luca e Fontana, di protagonismo in vista della riorganizzazione delle coalizioni per le prossime elezioni politiche, ormai orfane di veri leader che lavorino per il paese.

Infine, non ci è sfuggito nemmeno il fatto che l’incarico di Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica sia passato dalle mani di un manager economista, Domenico Arcuri, ad un generale dell’esercito, Francesco Paolo Figliuolo, che non rinuncia ad apparire in prima serata in TV in uniforme color cachi tempestata di medaglie e riconoscimenti, e noi, che ci occupiamo di scuola e di cultura, non riusciamo a capire come la militarizzazione del paese possa aiutarci a cogliere il senso dell’urgenza di riprendere le relazioni educative interpersonali in presenza.

Non intendiamo entrare nei meccanismi politici della gestione della scienza, che non è mai neutrale, così come non comprendiamo la scelta di personaggi decorati al merito militare per convincere le persone a vaccinarsi, che tra l’altro dovrebbe restare una scelta libera, ma sappiamo che se pronunciamo la parola scuola, magari in un parco, dove abbiamo portato i nostri bambini a passare un po’ di tempo all’aria aperta, immediatamente tra i genitori si apre un dibattito infinito che spazia dall’inutile e vetusta questione dei banchi con le rotelle sino alla misura, ritenuta quasi unanimemente assurda, del tempo pieno in DaD.

Abbiamo portato la scuola nelle case delle famiglie, abbiamo mostrato in tutti i modi che la scuola poteva riorganizzarsi e l’ha fatto, certo costringendo i genitori a fare enormi sacrifici per il futuro dei propri figli e delle proprie figlie, anche a licenziarsi e a chiedere congedi perché, sia chiaro, possono essere anche dei geni dell’informatica i nostri nativi digitali, ma se la mamma non apre il libro alla pagina giusta e non sistema tutto il materiale sul tavolino improvvisato, i più piccoli, da soli, a casa, non fanno proprio nulla, se non sperimentare un terribile senso di scarsa autoefficacia nelle proprie capacità.

E, quindi, cosa abbiamo imparato in un anno di pandemia nell’ambito dell’istruzione? Quale potrà essere il cambio di passo sugli investimenti da fare, al di là dell’amara constatazione di una necessaria modernizzazione? Come sfruttare questo tempo pandemico, che si dice sospeso, ma scorre via in modo inesorabile?

Certo, anche a distanza, non possiamo farci mancare i momenti virtuosi che dovrebbero farci riflettere: celebriamo la grandezza di Dante Alighieri, rinverdiamo la memoria della Shoah, commemoriamo le vittime delle mafie. Eppure, tutto ciò fa parte di una pratica scolastica in realtà già in uso ben prima dell’avvento della DaD, ma oggi, proprio nell’arsura di momenti di partecipazione ad eventi culturali, questi incontri, acquisiscono un valore aggiunto per le studentesse e gli studenti, probabilmente perché spezzano la routine di giornate divenute ormai troppo uguali.

Tuttavia, proviamo a guardare i documenti con i quali si pensa di ricostruire il futuro dei giovani e così nel Recovery Plan, anziché investire nella riduzione del numero degli alunni e delle alunne per classe, giacché il fatto di avere 30 ragazzi ammassati in bugigattoli in cartongesso costituisce il vero pericolo educativo e sanitario, non si trova di meglio che destinare i fondi alla digitalizzazione (ma cosa ancora bisogna digitalizzare?), andando incontro ad un futuro nelle mani delle multinazionali del web, mentre i docenti si riducono a meri comunicatori anaffettivi, appiattiti sulla prospettiva bidimensionale, incapaci di far apprezzare la bellezza della convivialità al banchetto del sapere, proprio come diceva il sommo Poeta nel Convivio: «Oh beati quelli pochi che seggiono a quella mensa dove lo pane de li angeli si manuca! e miseri quelli che con le pecore hanno comune cibo!»


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a cura di Michele Lucivero

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