Boomers vicentini a Sottomarina. La spiaggia e le compagnie

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Boomers vicentini a Sottomarina
Boomers vicentini a Sottomarina

(Articolo sui boomers vicentini a Sottomarina da VicenzaPiù Viva n. 10sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

-Tirate su che ‘ndemo in spiaggia, l’aria più bona xe quea dea matina
– Minchia sono le sei dove vuoi andare a quest’ora? Ci hanno assunti tutti come metronotte?
– Tirate su che caminemo fin la diga.
– La diga? Quattro kilometri andare e quattro tornare? Ceste, lasciami stare
– Tirate su o te torni casa in botega con mi a tacar etichete e i pressi ai sottovasi.
Non era una minaccia, ma una promessa quindi mi alzavo. Da “Cherubino”, il nostro alloggio per le vacanze, distava un kilometro dalla spiaggia, una palla mostruosa. Quindi conti alla mano, dieci kilometri.
Solo per respirare l’aria. Ma porca di quella miseria st’aria sarà stata uguale alle undici come alle sei no? Cosa succedeva di notte? C’era qualcuno che la cambiava e la ricambiava? Eolo in persona che finito di rompere i coglioni a Ulisse aveva deciso di iniziare con me? Così con mestizia camminavo lungo la battigia, prendendo nervosamente a calci l’acqua e respirando con la bocca aperta sia all’andata che al ritorno al fine di coglierne la differenza e capire se questa leggenda metropolitana dell’aria, del fantomatico iodio di Sottomarina, fosse veramente o no una presa per il culo. Al ritorno avevo la gola secca come quella di un disperso nel deserto del Karakorum. Pertanto correvo al chiosco per assaporarmi il (primo) ghiacciolo (20 lire). Non trovavo mai, dico mai quello all’arancio, rimaneva sempre quello alla menta che mi faceva schifo, anzi talvolta mi fregavano, me ne consegnavano uno bianco spacciandolo per quello al limone mentre era sempre menta, ma bianca. Tornavo indietro a lamentarmi ma mi rispondevano scusandosi per l’errore e alle scuse replicavo che dovevano allora cambiarmelo.
– Ma fio se teo ghe xà ciucià come fasso a cambiarteo. Detto in cioxoto arcaico
Ma come facevo a sapere, microcefalo, che era menta se non lo succhiavo. Si si va bene, spero ti possa mancare la corrente tutta l’estate e possiate vendere solo punch, come nei rifugi.

boomers vicentini a Sottomarina
boomers vicentini a Sottomarina

E così gli anni, tra un ghiacciolo e l’altro, passavano gli anni rimanendo “silenziosi, leggeri” stando “dove li metti, nascondendosi negli odori, nei fogli, nel whisky, nei cassetti” dicendola melanconicamente alla Vecchioni, e così facendomi raggiungere l’adolescenza del sedicenne e un po’ di autonomia, pur frequentando sempre la stessa località ma migliorando l’alloggio.
Sottomarina tra il 1979 e il 1981 era un’autentica cangiante festa di gioventù, ragazzi dappertutto infestavano (non c’è verbo più appropriato) le spiagge di giorno ed il lungomare di sera. La musica che usciva dai jukebox (50 lire a canzone), presenti in ogni stabilimento balneare, si confondeva l’una con l’altra: con un orecchio ascoltavi On my own di Nikka Costa con l’altro Maledetta Primavera della Goggi.
Stabilimenti che costituivano i punti di aggregazione principali, non si aveva che l’imbarazzo della scelta.
La spiaggia di Sottomarina, allora, era un caleidoscopio colorato di bagni attrezzati, intervallati dalle c.d. spiagge libere (quee dei poareti) dove all’inizio si tumulavano gli anziani che costruendo le loro bare di sabbia ci si ficcavano all’interno (le sabbiature, la psammatoterapia), coprendosi fino al collo, nella speranza che i dolori invernali dell’artrosi trovassero requie.
Ore 13, ora legale, di un 25 luglio qualsiasi, sole allo zenit, conversazione tra l’insabbiato ed il sabbiatore :
– Mario ciapa la paeta e coversame
– Toni fin dove?
– Riva fin al coo che go la cervicae che me fa morire, gò provà con la Vegetallumina ma non xe servio a gnente
– Toni te vegnarà sen te porto anca da bevare, perche se te continui alsarte me toca coverxate diexe volte ora de sera;
– Si va ben dighe aa Maria chea me porta un giosso de bianco, el xe dentro la vaiseta dea Style.
Ecco, fosse stato uno solo sarebbe passato inosservato, ma come i cimiteri militari anche queste tombe di zombies erano chilometriche e per non perdere il posto per il pomeriggio o addirittura per il giorno dopo, questi cadaveri viventi usavano conficcare la paletta sulla
montagnola di sabbia, con legato un fazzoletto colorato a mò di bandiera, per attestarne il possesso:
– Nonno no me serve la paeta par fare la pista
– Non sta cavarla o te scavesso, la paeta la resta dove chea xè, fate tirare da to nonna le gambe sua sabia così el cuo te fa a pista
– Ma nonno la nonna xe do ore chea ciacoa con quea de l’ombreon vissin e mi cosa fasso?
– Va via se no te sepeisso ti e anca to nonna al posto mio e daa contentessa me passa anca la cervicae.
La verità, tutta la verità, null’altro che la verità: ecce homines!
Le compagnie di ragazzi e ragazze occupavano poi con i loro asciugamani ettari di spiaggia. C’era chi giocava a carte, chi semplicemente chiaccherava, chi giocava a Momola. Una sorta di variante della cavallina ossia non si saltava solo il compagno a schiena piegata e posto ad una certa distanza ma era molto più pericolosa. Due Squadre. Un giocatore, in piedi, teneva la testa infilata nel proprio fianco del secondo giocatore piegato sulla schiena e a seguire tutti gli altri parimenti piegati uno dietro l’altro, uniti in un’unica serpentina. I giocatori della squadra avversaria prendevano la rincorsa, saltavano ed atterravano sulla schiena di questi malcapitati.

boomers vicentini a Sottomarina
boomers vicentini a Sottomarina

Vinceva la squadra dei piegati se al termine del salto dei concorrenti dell’altra compagine era riuscita a fare cadere almeno un avversario.
Fino a qua, nulla di strano. Il problema era costituito dal fatto che l’atterraggio sulla schiena, preceduto dal terrificante grido di battaglia rivooo ( mama, mama, fa che nol casca sua me schena ), avveniva, frigido pacatoque animo, non dolcemente come quello di un Boeing d’ultima generazione bensì come quello di un Cesnam da turismo in piena avaria.
Sinceramente non si è mai capito come si riusciva a portare a casa la schiena integra. Ma da ragazzi si sa, si è fatti di gomma.
Poi c’era chi faceva i classici gavettoni e precisiamo non quelli innocui fatti con i palloncini. Quelli erano giochini per gli impuberi, quisquilie, pinzillacchere. Noi si faceva le cose per bene, come Dio comanda. Prelevavamo in prestito dallo stabilimento “Pagoda” (il nostro campo base), il bidone industriale della spazzatura, quello nero, suppongo fossero 100 litri e lo riempivamo interamente, fino all’orlo, nella consapevolezza che il tragitto dal mare al locus commissi delicti avrebbe comportato la perdita di una ventina di litri e pertanto era melius abundare quam deficere. Il trasporto ovviamente necessitava di almeno tre persone, di una certa costituzione fisica, alle quali seguivano altri tre giovani energumeni (per il cambio, come avviene per le processioni quando si porta la Madonna) facendo tappe sotto più ombrelloni sia per riposarsi, sia per non farsi sorprendere
– ma fioi dove ‘ndasio con sto bidon pien de acqua
– non si preoccupi signora stiamo aiutando tutti i bambini della spiaggia a riempire il loro secchiello cosi le mamme non si stancano ad andare a prenderla
– ma che bravi fioi, averghene de così, vedito Bertin, impara da sti bravi toxi che to nona xe stufa. Po’ se vansè aqua passè anca da mi
– Certamente signora fatto il giro veniamo qua.
Arrivati nei pressi della vittima predestinata iniziava la corsa e giunti sotto di lui gli si rovesciava il piccolo Vajont sulla testa. L’annegato, annaspando come un naufrago del Titanic che agita le mani per la richiesta di aiuto e cerca quell’aria che, per pochi secondi, gli era stata negata, appena tornato compus sui iniziava la caccia ai propri ghignanti aguzzini, rincorrendoli come un pazzo in mezzo alle file degli ombrelloni per consegnarli alla sua sommaria ed immediata giustizia
– toxiiiii bastaaa corareee alsè la sabia che la và dentro la borsa dei panini dei bocia, li gò fati ao strachin
– signoraaa diventano più buoniii se sono croccantiii.
Oltre al classico bagno in compagnia (quando si entrava in acqua, tutta la gente abbandonava il nostro pezzo di mare, tanto era il casino che si faceva) la chicca più innovativa dell’epoca rappresentò l’allestimento di uno scivolo d’acqua allo stabilimento Clodia, una primizia per quell’epoca (esiste ancora). Si usava scendere in comitiva, una decina di ragazzi uniti uno dietro l’altro come dei bobbisti alle olimpiadi d’inverno, urlando e cantando la colegiala, tormentone dell’epoca. Tra gli atleti, c’ero pure io, in mezzo, berciante come un’aquila.
Capitò, una delle tante volte si facesse un giro che, arrivato nell’acqua della vasca finale, venissi travolto dagli altri rimanendo sotto, a bocca aperta, abbandonato nel fondale della piscinetta alla stregua del relitto di Zante, quasi prossimo all’annegamento evitato solo dal pronto intervento di uno dei dieci
– Dove xeo Massimo, non lo vedo
– Cazzo, sto morendo, rincoglioniti, tiratemi su.
Beh, da quel giorno non sono più sceso da nessun scivolo d’acqua.
E così tra un bagno e l’altro si tirava sera. L’imbrunire vedeva una moltitudine di ragazzi seduti sul muretto del lungomare a decidere come vivere la serata: le discoteche Shaker ( dove splendeva la stella del D.J. Glenn White, Kano, autore di canzoni internazionali che avrebbero spopolato in Europa ed in America come Another Life). Il cinema all’aperto Corallo, Il Mago del Gelato. Luoghi dei quali, oggi, rimangono solo macerie o addirittura nulla in quanto oggetto di ripetute ristrutturazioni.
Oppure semplicemente tirare notte a chiaccherare sotto un poggiolo di un condomino
– Ma toxi xe un boto e mezo nde’ in leto, go i fioi in leto che ciama mama mama, sposteve almanco soto n’altro pogioo.
Era tra le mura di questi locali che amici come Pino (il ragazzo che incantava le discoteche interrompendone i balli quando eseguiva la danza del Robot sulle note dell’omonima canzone dei Kraftwerk), Paolo (che mai ha indossato un costume in spiaggia ma solo i suoi consunti, mitici, jeans), Franco (Bragagna il celeberrimo commentatore televisivo sportivo della RAI), Clemente, Andrea, Umberto, Giampietro che per poter villeggiare alcuni giorni al mare si accontentavano di dormire in quattro dentro una Mini Minor, avrebbero passato i loro più bei giorni di gioventù. Tra loro c’ero pure io.
E la vita anni ‘80 era così: bellissima! Noi, Facebook, Tiktok ed Instagram li avremmo buttati a mare.