Di sciopero si muore. “Agorà. La Filosofia in Piazza”: il capitale che divide il mondo operaio mentre a Novara muore sindacalista SI Cobas

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Adil Belakhdim, coordinatore SI Cobas
Adil Belakhdim, coordinatore SI Cobas

Parlarne e scriverne rappresenta, personalmente, una delle più sentite sconfitte sociali, ma non accendere i riflettori sui fatti, occorsi nell’ultima settimana, che hanno visto coinvolti due uomini, mentre manifestavano davanti ai cancelli di due aziende diverse, costituisce, a nostro avviso, una sonante disfatta soprattutto di natura civile.

Accade che la notte tra il 10 e l’11 giugno a Tavazzano con Villavesco (LO) un operaio della FedEx di Piacenza, Abdelhamid Elazab, iscritto al sindacato SI Cobas, l’unico rimasto sul territorio a lottare contro i licenziamenti, venga ferito alla testa in seguito a scontri con personaggi non meglio precisati al soldo della ditta. L’uomo, condotto in ospedale, se la caverà con 15 giorni di prognosi, ma sono in totale otto le persone ferite durante i tafferugli, di cui rimangono le immagini raccapriccianti a testimonianza di una violenza inaudita tra due fazioni di uomini, sotto gli occhi “vigili”, ma non troppo, della polizia.

A distanza di una settimana la cronaca di una morte annunciata: il 18 giugno a Biandrate (NO) il coordinatore del sindacato SI Cobas di Novara, Adil Belakhdim, di soli 37 anni, viene travolto e ucciso da un camionista che forza il blocco degli scioperanti davanti al cancello della Lidl, mentre era in corso lo sciopero nazionale del settore della logistica proclamato dai sindacati autonomi. A distanza di poche ore il camionista sarà fermato e accusato di omicidio stradale, resistenza e omissione di soccorso.

A spiegare i motivi delle proteste del sindacato è Aboutabikh Mahmoud, coordinatore provinciale dei SI Cobas di Torino, il quale, intervistato da «ilsole24ore», spiega che le mobilitazioni sono cominciate quando i sindacati confederali hanno stipulato un accordo per un aumento di 104 euro in 4 anni. Tutto ciò in barba al fatto che SI Cobas è il sindacato più rappresentativo nel settore, quindi quello più titolato a condurre le trattative, il quale chiede aumenti più adeguati e la ricollocazione dei 280 lavoratori licenziati all’interno di un accordo collettivo.

Ma, per chi dovesse avere la memoria corta e avesse la pazienza di farsi un giro tra i giornali, anche quelli nazionali, non dovrebbe essere difficile incappare in altre notizie del genere. Già ad aprile, quando la FedEx aveva annunciato i licenziamenti, il sindacato autonomo dei SI Cobas aveva cominciato le manifestazioni di protesta a San Giuliano Milanese (MI), protrattesi per tutto il mese di maggio, quando anche «ilfattoquotidiano» comincia a puntare i riflettori su ciò che accade nel polo della logistica tra scioperi e scontri di personaggi armati di spranghe, bastoni e taser elettrici.

Ed è proprio l’articolo di redazione de «ilfattoquotidiano» del 27 maggio 2021 a sottolineare una circostanza insolita in questa vicenda, dando voce ai lavoratori che sono sul terreno dello scontro: la presenza costante di un gruppo di uomini, che si camuffano tra i lavoratori, i quali, assoldati dalla proprietà della struttura che ospita la ditta FedEx, la Zampieri Holding, non lesina al momento opportuno di dispensare bastonate e punizioni corporali agli operai. Per di più, nel medesimo articolo il redattore fa riferimento ad una ditta esterna la SKP, incaricata della sicurezza, che già nel luglio del 2020 era stata denunciata presso la Procura di Milano «per violenze su lavoratori e sindacalisti […], aggrediti con calci, pugni e con la pistola a impulsi elettrici».

Sarebbe interessante capire meglio chi siano i dipendenti, presumibilmente guardie giurate, della SKP e ci dispiace che il loro sito non sia disponibile, nonostante i professionisti associati si ritengano sempre raggiungibili. Qualche informazione in più, tuttavia, possiamo ricavarla tra le righe della cronaca, sicuramente di parte, cioè quella dalla parte degli operai, che viene fatta delle vicende di San Giuliano Milanese già alla vigilia degli scontri, nell’aprile 2021, dal portale «ilpungolorosso». Nel sito si legge che la SKP arruola mazzieri e picchiatori con particolare cura, anche per servizi antipirateria nel Corno d’Africa, tra i quali vi sarebbero «parecchi ultras dell’Inter appartenenti ai gruppi filo nazisti e vicini all’ndrangheta». Il portale, del resto, confermerebbe il fatto che il sindacato dei SI Cobas avrebbe già sottoposto anche all’attenzione della Procura di Lodi episodi di violenza a danno degli operai nelle strade adiacenti l’azienda, perpetrate da personaggi legati alla SKP.

A margine di queste vicende e alla luce di queste coincidenze, che diventano poi chiari indizi di una mentalità diffusa, alcune riflessioni sono doverose. È necessario, infatti, stigmatizzare fermamente la violenza e cercare di capire dove si annida la fonte dell’odio che fa venire meno ogni considerazione sulla dignità degli esseri umani.

Le riflessioni, tuttavia, vorremmo che scaturissero a partire da alcune domande, che non possiamo continuare ad eludere nel momento in cui ci accostiamo a problematiche che coinvolgono non solo il mondo del lavoro, ma anche le politiche sociali e i presupposti interculturali della nostra società. Dovremmo chiederci, infatti, a partire, evidentemente, dai loro nomi, chi sono questi operai, vittime di violenze da parte del capitale che assolda mazzieri? Perché questi stessi operai si sentono traditi dai sindacati confederali e cercano nei sindacati autonomi più a sinistra, per usare una categoria d’altri tempi, una voce più rispondente alle loro esigenze e alle loro richieste? E, sull’altro versante, dovremmo chiederci qual è la subcultura strisciante che ancora alimenta la cloaca del risentimento aggressivo, antioperaio, razzista, antiumano in ultima analisi, compatibile con il fatto di svolgere un lavoro che consiste nel picchiare altri uomini?

Le risposte a tali interrogativi potrebbero essere, prese congiuntamente, il corollario di una strategia che ci porterebbe da vicino a capire dove si annida il radicalismo e, qualora volessimo evitare il peggio, ad intervenire immediatamente a livello culturale ed educativo nel tentativo di costruire una vera solidarietà, evidenziando tutte le storture dell’attuale spregiudicato assetto economico capitalistico.


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a cura di Michele Lucivero

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